Venezia sott’acqua. Le piogge incessanti sommate al dragaggio scriteriato dei canali per assicurare il passaggio delle grandi navi e all’inadeguatezza del sistema di infrastrutture costruito a protezione delle acque, hanno per giorni messo a rischio uno dei patrimoni dell’umanità.
Ma i danni di oggi sono niente rispetto ai pericoli di domani. Il World Resource Institute, la fondazione no profit con sede a Washington D.C. impegnata nella battaglia contro i cambiamenti climatici, ha elaborato una piantina del mondo sulla quale vengono indicati i possibili effetti delle inondazioni nei prossimi 100 anni. Una piantina che già da qui al 2030 fotografa l’ingresso delle acque nelle terre di Venezia ben oltre i livelli attuali, arrivando a calcolare i danni economici che l’Italia potrebbe essere chiamata a subire.
Entro il 2030 il costo derivante dalle inondazioni potrebbe raggiungere i 6,5 miliardi di dollari, mentre il Pil italiano potrebbe arrivare a ridursi di quasi 1 miliardo di dollari all’anno proprio per gli effetti negativi delle catastrofi atmosferiche.
Ma quella di Venezia è solo l’ultima di tante tragedie legate al clima impazzito, che causano danni alle attività economiche e alle persone. Come l’Italia, molti altri paesi sono esposti al rischio inondazioni, con un trend in crescita costante per gli anni a venire. Il pericolo è diffuso, al punto che l’Aqueduct Global Flood Analyzer, il sito creato dalla Amsterdam University e dalla Utrecht University per monitorare il rischio inondazioni, parla di 21 milioni di persone al mondo chiamate a vivere con il rischio esondazione dei fiumi, un numero destinato ad aumentare fino a 54 milioni nel 2030.
Rischio esondazioni: fiumi che sommergono le città
Gran parte delle inondazioni dovute agli eventi climatici riguardano i fiumi. La loro esondazione è un fenomeno molto diffuso, che colpisce soprattutto le città. Tutti ricordano la piena della Senna che nel gennaio del 2018 ha tenuto con il fiato sospeso il mondo intero per il rischio che il fiume di Parigi potesse uscire dai suoi argini.
Così non è stato, ma nel resto del mondo i casi di esondazioni sono tantissimi e colpiscono alcuni stati più di altri. Secondo l’Aqueduct Global Flood Analyzer l’80% delle persone colpite dal fenomeno si concentra in 15 paesi. A guidare la classifica c’è l’India con 4,8 milioni di persone che rischiano ogni anno di essere colpite da un’esondazione, seguita dal Bangladesh (3,4 milioni di persone), dalla Cina (3,2 milioni) e dal Vietnam (900mila persone).
Questi fenomeni atmosferici hanno un impatto diretto sulle economie dei paesi che colpiscono. Tornando a Venezia, le prime stime parlano di danni che superano il miliardo di euro, e confermano quanto possano essere distruttivi eventi come le grandi inondazioni. Ne sa qualcosa anche New York City, dove l’uragano Sandy nel 2012 ha causato danni miliardari obbligando perfino la Borsa di Wall Street a rimanere chiusa per due giorni.
Oggi le esondazioni rappresentano per il Pil indiano un rischio annuale pari a 14 miliardi di dollari, un dato destinato a crescere in modo significativo nei prossimi 30 anni fino ad arrivare a 154 miliardi. Come è evidente, il peso negativo degli effetti climatici è altissimo e secondo l’Acqueduct Global Flood Analyzer riguarda anche le economie più sviluppate. Nel 2030 tra i paesi a rischio cominceranno a figurare molti stati europei come la Croazia, la Finlandia, il Portogallo, l’Irlanda e altri paesi sviluppati come l’Australia e Israele.
Un caso simbolo è proprio quello dell’Irlanda dove le 2mila persone che oggi sono chiamate ad affrontare il rischio delle inondazioni diventeranno 48.500 nel 2030.
Infrastrutture per proteggerci dalle acque
Se da un lato la lotta contro i cambiamenti climatici e le pressioni internazionali per l’adozione di un modello di sviluppo sostenibile sono ormai sull’agenda politica di molti governi, dall’altro la risposta più immediata e più sicura a tutto questo può venire solo dall’adozione di infrastrutture moderne in grado di proteggere beni e persone dagli eventi atmosferici.
Dopo che l’uragano Sandy ha colpito duramente New York City, l’amministrazione cittadina guidata da Bill de Blasio ha messo a punto lo studio “Lower Manhattan Climate Resilience Study” sugli effetti climatici nell’area Sud di Manhattan e i risultati sono stati drammatici. Secondo la ricerca, senza interventi infrastrutturali, entro il 2050 il 37% delle proprietà presenti in quest’area della città sarà a rischio, mentre nel 2100 la percentuale di proprietà a rischio raggiungerà il 50% del totale e il 20% delle strade sarà sottoposto a un pericolo giornaliero di inondazioni.
A partire da questa analisi, l’amministrazione cittadina ha avviato un piano di interventi con un primo stanziamento di 500 milioni di dollari, che prevede la messa in sicurezza delle coste toccate dall’Hudson e dall’East River, le barriere di un quartiere che produce il 10% del Pil cittadino e dove è concentrato il 10% dei posti di lavoro di New York City.
Sempre negli Usa, a Pittsburgh, nell’ultimo anno le piogge sono cadute incessanti, più di quanto sia mai avvenuto in passato, facendo gonfiare in modo preoccupante l’Allegheny, il Monongahela e l’Ohio, i tre grandi fiumi presenti in città. Per evitare il rischio esondazioni, la Pittsburgh Water and Sewer Authority ha stanziato nel 2018 88 milioni di dollari finalizzati a riqualificare la rete idrica cittadina.
A Washington D.C., il Clean Rivers Project è un progetto da 2,7 miliardi di dollari al quale partecipa Salini Impregilo e che prevede la costruzione di un sistema di tunnel per gestire le acque reflue dei fiumi della capitale degli Usa.
Anche Londra, minacciata dalle esondazioni del Tamigi (50 nel solo 2018), ha lanciato un progetto ambizioso in termini infrastrutturali. L’opera, tuttora in fase di realizzazione, prevede la costruzione di un tunnel sotterraneo lungo 25 chilometri nel quale transiteranno le acque reflue e quelle derivanti dalle piogge eccezionali. Il Thames Tideway Scheme (questo il nome dell’infrastruttura) costerà 4,7 miliardi di euro e dovrebbe essere terminato nel 2023.
Il caso della Grande Mela, così come quello di Londra o di Pittsburgh, è emblematico di come gli interventi infrastrutturali siano necessari soprattutto nelle grandi città a rischio inondazioni. Come riportato da “Webuildvalue” nell’articolo “I cambiamenti climatici aggrediscono le magacity” il problema è molto diffuso al punto che secondo l’Ocse su scala mondiale servirebbero interventi infrastrutturali per un valore di 6,3 trilioni di dollari proprio al fine di ridurre al minimo l’impatto negativo dei cambiamenti climatici. Un dato confermato anche dal C40 (il gruppo che riunisce le 40 più grandi città al mondo), secondo il quale 9 megacity su 10 devono affrontare rischi e problemi dovuti agli effetti nefasti dei cambiamenti climatici. Così, nella battaglia contro il clima impazzito, proprio le infrastrutture diventano l’argine più efficace ad un pericolo che non sembra risparmiare nessuno.