New York fa sempre notizia. È forse una delle città più osservate al mondo, dove ogni cosa diventa trend, dove c’è tutto e il suo esatto contrario. Dove un evento mondano diventa un must e dove l’incidente è più serio che altrove ma viene assorbito prima che altrove. Alla fine di settembre strade allagate, auto portate via come barche alla deriva, negozi e uffici sott’acqua, un vero disastro ambientale, frutto di piogge torrenziali, miste a raffiche di vento e strutture fognarie obsolete. Poi, con il defluire dell’acqua e del fango verso il mare, anche il “disastro” è scivolato via, ridando alla città la sua anima quotidiana, quella della città che non dorme mai.
Secondo le statistiche pubblicate dai media nei giorni dell’allagamento, New York City e la maggior parte delle città americane sono “sotto-progettate” perché sarebbe molto costoso costruire strutture per gestire eventi che, sempre secondo le statistiche, possono capitare in misura assai minima in cento anni.
Il New York Times ha reso noto che i sistemi di drenaggio della città hanno un limite di 1,75 pollici all’ora (4,5 cm), superato con la tempesta di fine settembre che ha travolto 7.400 miglia (quasi 12mila chilometri) di tubi che trasportano l’acqua piovana e le acque reflue al disotto della città verso gli impianti di trattamento, nei fiumi e nelle baie più vicine. Il deflusso si è quindi riversato nelle strade, provocando inondazioni nelle stazioni della metropolitana di Brooklyn e del Queens.
Secondo Rohit Aggarwala, commissario del Dipartimento per la protezione ambientale di New York City, la città è in “emergenza climatica”. «Questo cambiamento del modello meteorologico è il risultato del cambiamento climatico e la triste realtà è che il clima sta cambiando più velocemente di quanto le nostre infrastrutture possano rispondere». D’altra parte, appena due anni fa, con l’uragano Ida si erano viste le stesse scene, con fiumi d’acqua che inondavano le strade mettendo a dura prova il sistema di drenaggio che combina il deflusso delle tempeste con le acque reflue negli stessi tubi. Questo mix di pioggia e liquami non trattati, con acquazzoni come questi, finisce direttamente nei corsi d’acqua come l’East River, ma se i tubi s’intasano rischia di penetrare nei sistemi idrici di case e uffici.
Una delle soluzioni è nel cemento “green”
Lo Stato di New York qualche giorno prima dell’alluvione aveva emanato un provvedimento innovativo per gli Stati Uniti proprio volto a limitare l’impatto delle emissioni nocive nell’atmosfera. Il provvedimento, chiamato “Buy Clean Concrete” – ha spiegato la governatrice Kathy Hochul – «rappresenta un passo fondamentale nell’impegno dello Stato di New York a favore della sostenibilità ambientale».
La norma, annunciata a metà settembre, impone limiti alle emissioni del calcestruzzo utilizzato nei progetti di edilizia pubblica e di trasporto finanziati dallo Stato. La soluzione del “calcestruzzo green” entrerà in vigore dal 2025 e si applicherà ai contratti delle agenzie statali superiori al milione di dollari che prevedono l’impiego di oltre 50 metri cubi di cemento o ai contratti del Dipartimento dei Trasporti per importi superiori a 3 milioni di dollari con l’uso previsto di almeno 200 metri cubi di cemento. New York, anche grazie a queste norme, punta a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio a livello economico entro il 2050.
Il “clean concrete” nelle opere di Webuild
L’utilizzo di calcestruzzo eco-friendly nelle costruzioni private o pubbliche non è una novità per il settore delle infrastrutture, tanto meno negli Stati Uniti, anche se frutto della best practice di alcuni costruttori piuttosto che da leggi mirate. Esempio ne è il Northeast Boundary Tunnel (NEBT), appena completato a Washington D.C. da Webuild e dalla sua controllata americana Lane Construction, progettato proprio per migliorare la qualità dell’acqua dei fiumi attorno alla capitale e per ridurre le inondazioni, gestendo al meglio il deflusso delle acque piovane e delle acque reflue. Il progetto, un modello nel suo genere, è stato realizzato utilizzando un composto del tipo low carbon, a bassa emissione, grazie all’utilizzo di leganti alternativi al tradizionale cemento.
Una formula sperimentata già dal 2015 da Webuild e utilizzata nei cantieri in Italia e all’estero, per realizzare con “clean concrete” anche grandi opere infrastrutturali come la metropolitana leggera Airport Link per il collegamento cittadino con l’aeroporto di Perth, nell’Australia Occidentale, che prevede una riduzione di 2 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Un’attenzione speciale alle miscele del calcestruzzo è stata posta anche nella costruzione del nuovo Centro Direzionale dell’Eni, il colosso italiano degli idrocarburi. Anche in questo caso è stato utilizzato un tipo di cemento a bassa emissione nelle miscele di calcestruzzo che ha permesso – insieme a tutte le altre caratteristiche di sostenibilità dell’edificio – di ottenere la certificazione LEED Gold.
Nel corso degli anni, Webuild per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali ha studiato e impiegato speciali miscele di calcestruzzo, contenenti tipologie di cemento a bassa emissione e/o materiali cementizi sostitutivi provenienti da altre filiere industriali (es. siderurgico), che permettono di ridurre l’impiego di cemento fino al 65%, oltre all’utilizzo di acciai a elevato contenuto riciclato.