Non bastano le alluvioni dello scorso anno che hanno duramente colpito l’Emilia-Romagna per cambiare il corso della storia recente. Una storia che fotografa uno dei periodi di più grave siccità da oltre un secolo per l’Italia, un paese tradizionalmente ricco di acqua ma che sta subendo i contraccolpi dovuti al clima impazzito.
E proprio la siccità, la scarsità di acqua, rappresenta un fattore critico per il funzionamento degli impianti idroelettrici, ovvero la prima fonte di energia pulita italiana. Quando i bacini delle dighe si prosciugano e i canali idrici che alimentano le turbine delle centrali perdono potenza, l’energia prodotta si riduce. È quanto accaduto negli ultimi anni, proprio per gli effetti della carenza di acqua.
E infatti nel 2023 (prima di questo terribile inverno in cui la neve si è vista pochissimo su molte catene montuose del paese), la Fondazione CIMA, Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale, ha certificato che la copertura nivale è stata la più bassa degli ultimi 11 anni. Si aggiunge poi che l’anno precedente, il 2022, vanta il triste record della siccità peggiore degli ultimi 70 anni con effetti inevitabili che hanno attivato processi di micro-desertificazione collegati naturalmente all’assenza di acqua.
Inoltre, in questo periodo di grande incertezza internazionale, la carenza di acqua si lega anche a un altro fenomeno altrettanto preoccupante: la volatilità degli approvvigionamenti energetici. La guerra in Ucraina così come la crisi mediorientale hanno riaperto la questione energetica, nella quale proprio l’acqua, sfruttata all’interno degli impianti idroelettrici, può giocare un ruolo determinante.
Ecco perché investire sulla riqualificazione delle rete idrica, così come sull’ammodernamento degli impianti idroelettrici e delle dighe, diventa la strada maestra per rispondere al meglio alla crisi dell’acqua.
Le centrali idroelettriche in Italia alla ricerca di acqua
La scarsità di acqua, unita ai bassi investimenti nel settore, ha contribuito a ridurre la produzione di energia da impianti idroelettrici. Secondo elaborazioni realizzate da ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale su dati di Terna (l’azienda che gestisce la rete elettrica del paese), nel corso del 2024 la produzione da impianti di questo genere non supererà i 27,7 TWh già raggiunti nel 2023 (circa il 10% del totale dell’energia prodotta in Italia in un anno). Un risultato di poco inferiore ai dati del 2022 (29,7 TWh), ma significativamente inferiore ai 48,3 del 2021. Se poi si pensa che tra il 2018 e il 2021 la media di energia prodotta da impianti idroelettrici si era attestata intorno ai 49 TWh, ossia il 30% in più rispetto ai risultati degli ultimi due anni, è evidente che è urgente invertire il trend.
Per capire l’impatto di questi dati sul totale di energia prodotta nel paese, bisogna considerare che in condizioni normali l’Italia produce da fonti idroelettriche circa il 15% di tutta l’elettricità che consuma. Il crollo registrato negli ultimi due anni ha portato questa percentuale al 9%, riducendo di conseguenza in maniera significativa anche la percentuale di energia rinnovabile sul totale di quella prodotta dal paese. Se in media il 35% della produzione energetica italiana viene da rinnovabili, il calo dell’idroelettrico ha portato la quota delle energie green al 30%, un passo indietro rispetto all’impegno di molti paesi europei che puntano a raggiungere le emissioni zero entro il 2050.
Quegli investimenti necessari per uno sviluppo green
L’idroelettrico si conferma quindi una fonte energetica essenziale per l’Italia, oltre a essere uno strumento formidabile per inseguire l’obiettivo delle energie pulite. Su questa strada stanno investendo alcuni dei paesi più avanzati al mondo, con il supporto del Gruppo Webuild, storicamente uno dei leader mondiali nelle infrastrutture del settore hydro. È il caso ad esempio dell’Australia, che proprio con Webuild sta costruendo Snowy 2.0, l’impianto di produzione e stoccaggio di energia più grande della sua storia, alimentato proprio dalle acque delle Snowy Mountains.
Per colmare il suo gap – almeno secondo lo studio “Acqua: azioni e investimenti per l’energia, le persone e i territori” realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con la multiutility italiana A2A – l’Italia dovrebbe investire nel settore 48 miliardi di euro da destinare principalmente a interventi di efficientamento del sistema esistente. L’investimento avrebbe un impatto positivo non solo dal punto di vista energetico, ma anche in termini economici. Migliorare la rete idrica esistente permetterebbe infatti un risparmio idrico pari a 9,5 miliardi di metri cubi, assicurando dal punto di vista economico ricadute positive per l’economia nazionale pari a 77 miliardi di euro.
Proprio la costruzione di hydro-pumped scheme, sulla scorta di quanto sta facendo l’Australia con Snowy 2,0, ovvero impianti che sfruttano l’acqua per produrre e stoccare energia, sarebbe la strada più veloce per aumentare il peso delle fonti pulite all’interno della produzione energetica italiana riducendo allo stesso tempo gli impatti negativi del clima impazzito.