Nell’unica regione al mondo in cui le riserve di petrolio superano quelle di acqua dolce, la sfida più grande è ridurre la dipendenza dall’oro nero trasformando la terra dei pozzi in una delle frontiere più moderne per le energie “pulite”.
Un obiettivo ambizioso, che tuttavia i paesi del Golfo sono decisi a raggiungere, spinti soprattutto dalla consapevolezza che è arrivato il momento di diversificare le loro economie da una risorsa che sembra aver perso “smalto” rispetto al passato. Sebbene il petrolio rimanga tuttora la principale fonte energetica al mondo, il suo peso si è ridotto notevolmente in nome delle energie “green”, partendo dall’idroelettrico e passando per l’eolico e il solare.
E così, di fronte ad una mutazione industriale sulla quale pesa moltissimo anche la pressione internazionale in tema di cambiamenti climatici, i paesi del Golfo, dal Bahrain al Kuwait, dall’Oman al Qatar, dall’Arabia Saudita fino agli Emirati Arabi Uniti hanno imboccato la strada dello sviluppo sostenibile.
La risposta dei singoli paesi
La questione aperta sull’affrancamento dal petrolio non è il “se”, ma il “come”. Perché il processo è già partito ma ogni paese del Golfo sta seguendo una propria strada fatta di investimenti, progetti innovativi, formazione di personale specializzato.
Alla base – secondo quanto rivelato dalla “Renewable Energy Market Analysis” pubblicata quest’anno dall’IRENA (International Renewable Energy Agency) – ci sono i target di produzione energetica che ogni paese si è dato, a partire dall’Arabia Saudita che intende arrivare al 2030 con il 30% di energia “green” sul totale prodotto. Guardando allo stesso termine temporale, il Kuwait punta a raggiungere il 15% e il Bahrain il 10%; mentre gli Emirati Arabi mirano al 44% entro il 2050.
Alle spalle di questi target, ci sono investimenti e progetti, che ogni stato ha lanciato negli ultimi anni per colmare l’enorme gap che li divide, in termini di energie sostenibili, dai paesi più sviluppati. Gli Emirati Arabi Uniti hanno cominciato a investire da qualche anno anche nella produzione di energia idroelettrica, avviando la realizzazione del primo impianto idroelettrico della regione. Il progetto, finanziato dalla Dubai Electricity and Water Authority, prevede la costruzione di una centrale nella località di Hatta (134 chilometri a Est di Dubai), dove verrà prodotta energia sfruttando l’acqua di una diga già esistente. A fine 2018, la Federal Electricity and Water Authority degli Emirati Arabi Uniti ha annunciato l’intenzione di costruire un secondo impianto idroelettrico, simile a quello di Hatta, che rientra nella “Energy Strategy 2050”, un piano di lungo termine per aumentare il peso delle energie pulite sul totale della produzione energetica.
Oltre agli Emirati, anche gli altri stati del Golfo sono impegnati in questa corsa alle rinnovabili. In Arabia Saudita, ad esempio, The King Abdulaziz City for Science and Technology, il più importante centro di ricerca governativo, sta studiando le potenziali applicazioni dell’energia solare. Investe molto sul solare anche il Qatar, mentre il Bahrain ha dato vita alla Sustainable Energy Unit, una unità di ricerca sul tema energie pulite che dialoga direttamente con lo United Nations Development Programme.
Energie pulite per la dissalazione
La produzione di energia sostenibile si lega molto al tema dell’acqua, strategico per i paesi del Golfo. Attualmente una delle tecnologie più efficienti per rispondere a questa esigenza è quella della dissalazione, che prevede il ricorso a impianti che trattano l’acqua del mare trasformandola in acqua dolce. Ma proprio la dissalazione richiede un consumo energetico elevato, che solleva una volta ancora la necessità di affidarsi alle energie pulite.
Affrontanto questo tema, il giornale “The New Arab” cita il professore Waleed Zubari, docente di gestione della risorsa idrica dell’Arabian Gulf University che spiega: «Considerato che la disponibilità di combustibili fossili è destinata a ridursi nel tempo è sempre più necessario sviluppare forme di energie rinnovabili per alimentare il processo di dissalazione. Tutti i paesi del Golfo hanno già previsto che parte della domanda energetica sia coperta nel breve termine da energie pulite. Ma questi target devono essere allargati riservando la priorità proprio agli impianti di dissalazione, responsabili di un consumo consistente di energia».
Investimenti per il futuro
Incrementare la produzione energetica per alimentare gli impianti di dissalazione è solo una delle ragioni che stanno spingendo i paesi del Golfo a investire nelle energie pulite. Oltre agli aspetti puramente ambientali, uno dei temi centrali rimane quello della diversificazione economica, ossia della volontà di favorire lo sviluppo anche di altri settori produttivi, come ad esempio quello finanziario o dei servizi, che possano contribuire a distribuire ricchezza alla popolazione.
Per farlo tutti gli stati del golfo hanno lanciato programmi a lungo termine, come ad esempio Vision 2030 dell’Arabia Saudita, che prevedono consistenti investimenti soprattutto nelle infrastrutture.
In termini di energie rinnovabili, invece, i paesi hanno iniziato a investire solo negli ultimi dieci anni. Lo studio dell’IRENA certifica che nel 2007 e nel 2008 gli investimenti nel settore erano praticamente pari a zero. I primi fondi stanziati risalgono al 2009, ma solo nel 2015 sono iniziati i programmi più rilevanti, arrivando nel biennio 2017-2018 a investire 7,2 miliardi di dollari.
Per quanto la volontà politica sia ormai evidente, il punto di partenza è ancora molto lontano dagli obiettivi. Secondo l’analisi dell’IRENA alla fine del 2017 meno dell’1% del totale della capacità energetica del Golfo era garantito da fonti rinnovabili.
Così, nella regione che detiene il 30% delle riserve mondiali di petrolio e il 22% delle riserve di gas, la strada delle energie pulite è stata presa, ma il percorso è ancora lungo.