Dalle route semi abbandonate che attraversano i deserti del profondo West ai ponti che sovrastano i grandi fiumi fino alle ferrovie che hanno fatto la storia della rivoluzione industriale americana, gli Stati Uniti si interrogano sul futuro delle loro infrastrutture e per farlo guardano al nuovo Presidente Joe Biden e al Segretario ai Trasporti, Pete Buttigieg.
Il piano di investimenti annunciato in campagna elettorale e oggi alla prova delle analisi sul budget e delle indicazioni politiche, avrà un compito difficilissimo, quello di dare una scossa a un’economia da 20 trilioni di dollari che si regge proprio sulle infrastrutture. Strade, ponti, ferrovie, impianti elettrici, aeroporti, sono infatti i pilastri intorno ai quali gli Usa hanno eretto quel modello di sviluppo messo in crisi dal Covid-19.
I numeri e le analisi supportano le affermazioni: nel suo libro “The Road Taken: The History and Future of America’s Infrastructure”, lo storico e ingegnere Henry Petroski calcola che il congestionamento del traffico comporta un costo annuale per l’economia Usa di 120 miliardi di dollari. Allo stesso modo, alcune analisi riportate dal Council on Foreign Relations indicano che i ritardi o le cancellazioni dei voli dovute all’invecchiamento degli aeroporti americani causano ogni anno una perdita di 35 miliardi di dollari.
Al contrario, proprio per le caratteristiche del tessuto produttivo del paese, gli investimenti nelle infrastrutture hanno un effetto energizzante sull’economia. Business Roundtable, un gruppo che riunisce alcune delle più importanti imprese Usa del settore, stima che investire un extra pari all’1% del Pil possa generare solo in un anno una crescita economica pari a 320 miliardi di dollari, e ancora che un pacchetto di investimenti di 83 miliardi di dollari porti alla creazione di 1,7 milioni di posti di lavoro in soli tre anni.
È questo il punto di arrivo di un percorso lungo che nasce prima di tutto dalla consapevolezza di un’arretratezza ormai manifesta, capace di alimentare costi e rallentare la crescita in una delle congiunture più critiche nella storia degli Usa e del mondo intero.
Infrastrutture in cerca di investimenti per ammodernamento
Dagli anni Sessanta ad oggi la popolazione degli Stati Uniti d’America è più che raddoppiata. Non stupisce allora che le grandi infrastrutture, molte delle quali costruite nell’immediato Dopoguerra, non siano più adatte per supportare bisogni nati dal boom demografico.
La fotografia di questo ritardo è stata scattata dall’Asce che nell’ultimo Report, pubblicato nel 2017, ha stimato un gap infrastrutturale di 2 trilioni di dollari da colmare entro il 2025 per evitare che il costo reale sull’economia Usa raggiunga i 4 trilioni di dollari.
Non stupisce allora se lo US Government Accountability Office consideri un ponte su quattro con gravi carenze manutentive, e che il Bureau of Transportation Statistics del Department of Transportation abbia denunciato per il 2019 ritardi su arrivi e partenze per il 20% dei viaggi aerei.
Anche sul fronte del trasporto su rotaia molto deve ancora essere fatto al punto che Amtrak, il più grande operatore di trasporto passeggeri degli Usa, ha annunciato l’esigenza di investire 30 miliardi di dollari solo sulla manutenzione delle infrastrutture di trasporto. Stesso discorso per la gestione della risorsa idrica, acqua potabile, acque reflue e sistemi di irrigazione su tutti, che secondo l’Environmental Protection Agency avrebbero bisogno di 632 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.
Le infrastrutture americane chiedono aiuto. Ed è un allarme che suona più forte perché alimentato dal confronto con le prassi delle altre grandi economie mondiali che, almeno fino ad oggi, hanno riconosciuto alle grandi opere un peso strategico superiore di quanto non abbiano fatto gli Stati Uniti d’America.
Il confronto con i partner mondiali
Alle volte i paragoni rischiano di diventare dolorosi. Accade questo quando l’economia più ricca del mondo viene messa alla prova dei numeri sul tema degli investimenti infrastrutturali, una prassi dove molti altri stati fanno meglio e di più. Almeno fino ad oggi. Osservando i risultati di un’analisi del Council on Foreign Relations le previsioni di spesa per le infrastrutture sul Pil tra il 2016 e il 2040 raccontano un’America ancora molto indietro. A fronte media annuale del 5,1% del Pil da destinare alle grandi opere sbandierata con orgoglio dalla Cina (il paese che guida questa classifica mondiale), gli Usa si posizionano solo al 18° posto, prima del Messico e alle spalle di paesi come la Turchia, il Brasile, la Russia, la Corea del Sud, l’Indonesia. Non si tratta naturalmente di un dato assoluto, ma di una percentuale del prodotto interno lordo che ben racconta quale sia il peso fino ad oggi riconosciuto all’ammodernamento infrastrutturale.
Progetti ambiziosi ce ne sono, come ad esempio la prima linea ad alta velocità ferroviaria che il Gruppo Webuild dovrebbe realizzare tra Dallas e Houston in Texas, ma non bastano per raccontare un cambio di passo rispetto al passato. Per questo adesso il paese guarda al piano Biden sulle infrastrutture che dovrebbe trovare sostanza già nelle prossime settimane, offrendo forse la risposta più efficace alla crisi economica e di lavoro esplosa con la diffusione del Covid-19.
La crisi post Covid un’occasione per rilanciare le infrastrutture
Come molti altri paesi nel mondo, anche gli Stati Uniti si interrogano da mesi sull’impatto che gli investimenti infrastrutturali potranno avere in chiave anti ciclica. L’analisi del Council on Foreign Relations ha calcolato che dal mese di marzo, quando la pandemia è esplosa anche negli Usa, il Congresso americano ha approvato tre piani separati per un investimento complessivo di 2 trilioni di dollari. A luglio scorso, ad esempio, è stato approvato il piano da 1,5 miliardi presentato dal partito Democratico che prevede nuovi investimenti federali su strade, ferrovie, banda larga, scuole. Lo stesso Trump ha parlato di un ulteriore stimolo da 2 trilioni di dollari come quarto pacchetto di interventi messo in piedi in risposta al Coronavirus.
La volontà popolare emersa dalle ultime elezioni Presidenziali, ha messo nelle mani di Biden e della sua Amministrazione l’onere e l’onore di portare a compimento questa promessa. L’idea di rilanciare le infrastrutture americane come accadde dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il paese trovò nelle grandi opere che lo avevano reso grande un’occasione per riconquistare la sua posizione di leader nel panorama economico globale.