Provare il ceviche o la papa a la huancaìna del Perù, partecipare alla cerimonia del caffè in Etiopia, addentare un khinkali in Georgia, oppure assaggiare le specialità della cucina locale in Malesia. E farlo, quando è possibile, nella mensa del cantiere, condividendo gusti e sapori con i propri colleghi.
Un’esperienza culturale e sociale prima ancora che culinaria, come direbbe l’antropologo e filosofo francese Claude Lévi-Strauss, che per primo all’inizio del Novecento ha teorizzato il ruolo culturale del cibo nella società moderna. Un ruolo che diventa ancora più importante in un luogo circoscritto come il cantiere di una grande opera, dove lavorano gomito a gomito persone di nazionalità differenti, che portano in eredità all’ambizioso obiettivo dell’integrazione le loro tradizioni e i loro costumi.
Questo accade negli oltre 120 cantieri di Salini Impregilo presenti in oltre 50 paesi, dove lavorano uomini e donne appartenenti a oltre 80 nazionalità, come nel caso di Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro in Etiopia, fino a Lima in Perù dove il Gruppo è impegnato per la costruzione di una linea metropolitana. Migliaia di uomini e donne al lavoro, tutti con origini differenti e differenti culture e fedi religiose. La loro “grammatica alimentare”, come la definiva il filosofo Roland Barthes, è varia e incredibilmente ricca, perché molti dei cantieri dove lavorano danno spazio alle cucine locali, non solo come arricchimento ed esperienza, ma soprattutto con l’obiettivo di favorire attraverso il cibo l’integrazione culturale tra le tante anime che li compongono.
Perù, materie prime e fantasia
Una delle culture culinarie più ricche (sono 491 i piatti tipici del Paese), una ricchezza incredibile di materie prime (sono quasi 3.000 le diverse varietà di patate coltivate) e una fantasia vibrante, unita a una forte voglia di sperimentare: tutto questo è il Perù, il luogo dove la cucina internazionale sta raggiungendo le sue vette più elevate e dove si danno appuntamento alcuni dei migliori chef del panorama gastronomico mondiale.
Una fortuna che non è casuale, ma figlia di una cultura alimentare che viene da lontano, ha radici profonde e si riflette in tutti gli ambiti.
Ne sa qualcosa Rubén Beltrán, country manager di Salini Impregilo nel Paese. «Il Perù – racconta – è la casa ideale per chi ama la buona cucina. E addirittura a Lima sono ormai molto diffusi i tour gastronomici per turisti che durano una settimana. L’offerta è ricchissima e, come avviene anche in Italia, si mangia bene ovunque».
«Anche nei cantieri – aggiunge Beltrán – dove Salini Impregilo è organizzato per fornire ai suoi operai una cucina sempre ricca e di qualità».
Nel Paese il Gruppo è molto presente. In passato è stato impegnato nella costruzione di grandi opere come ad esempio autostrade, il grande impianto idroelettrico di Mantaro e oggi di una linea della nuova metropolitana di Lima.
«Quando si lavora lontano dalla città – spiega il manager – magari a 4.000 metri di altitudine e a 100 chilometri dal centro abitato più vicino, è tutto più difficile. Quando abbiamo costruito l’autostrada abbiamo organizzato la mensa all’interno di un container. E il container camminava insieme all’opera. La maggior parte della cucina, 80/90%, è stata sempre tradizionale».
Anche in cantiere, la cucina peruviana non tradisce le sue origini. Il primo piatto servito è spesso espressione della comida criolla, quindi piatti tipici locali come la papa alla huancaìna (patate bollite condite con una salsa fatta con latte, olio, formaggio fresco e una varietà di peperoncino piccante). «Oltre a questa nei cantieri cuciniamo anche altri piatti forti della tradizione peruviana come il ceviche (la preparazione del pesce crudo tipica del Centro e Sud America, trattato con limone e cipolla) e il lomo saltado (un secondo piatto di carne servito con patate, cipolle e riso bianco). La cucina in generale è ricca: primo, secondo, contorni. Chi lavora in cantiere consuma molto e deve recuperare le forze».
Lo stesso discorso vale per il cantiere attuale nella capitale Lima. Qui le condizioni logistiche sono più comode, perchè il Gruppo – oltre al cantiere attivo – ha una sede nel quartiere storico della città, ma l’organizzazione è sempre curata al massimo.
«Anche nei lavori della metro – dichiara Rubén Beltrán – abbiamo allestito un comedor per tutto il personale, la cui gestione è stata affidata a un concessionario. Parliamo di circa 100-120 persone che frequentano la mensa tutti i giorni. Tra loro, argentini, ecuadoregni, cileni, colombiani, peruviani, italiani e spagnoli. La cucina qui è al 50% tradizionale e al 50% internazionale ma la qualità è sempre elevata».
Ancora una volta l’offerta gastronomica è ricca e si passa dal chupe de camarones (una zuppa di gamberi molto saporita) al seco (un piatto tipico di carne con patate e riso in bianco), fino al rocoto relleno (un peperone ripieno di carne, uova, olive e altro, e diffuso soprattutto nel Sud del Perù).
Delizie per il palato, dentro e fuori al cantiere.
La cerimonia del caffè in Etiopia
La cerimonia di caffè, in Etiopia, è una tradizione che coinvolge tutti. Perfino a Gerd, dove oltre 7mila persone di 35 nazionalità diverse stanno costruendo la diga più grande d’Africa, il rito si ripete.
Non tutti i giorni (la cerimonia richiede due, tre ore di tempo), ma nelle occasioni importanti o per le feste, giovani etiopi in abiti tradizionali condividono con i tecnici di mezzo mondo quest’antica tradizione, che inizia dalla pulizia del caffè vergine, e prosegue lungo tutti i processi (dalla tostatura alla macinazione) che si concludono con il consumo finale.
La cerimonia del caffè è un’occasione, ma nel cantiere vicino alle acque del Nilo Azzurro l’integrazione culturale in tema di alimentazione è una questione all’ordine del giorno. «Una volta a settimana – racconta il Camp Manager di Gerd, Alessandro Bellafà – offriamo nelle tre mense distribuite nel cantiere cibo tradizionale etiope». Si inizia con l’injera, una sfoglia di pane fatta con la farina di teff, a base di cereali. Si continua con il tads, un vitello tagliato a pezzetti e condito con spezie tipiche, oppure con il wat, una sorta di stufato tritato. «La tipicità della cucina etiope – prosegue Bellafà, che da 15 anni lavora per il Gruppo in Etiopia, passando da Gibe I, Gibe II, Gibe III e adesso Gerd – è rappresentata dalle spezie, la maggior parte delle quali sono molto piccanti. Quindi è l’ideale per chi ama il peperoncino».
Oltre alle questioni più strettamente legate all’alimentazione, il tema della cucina coinvolge la cultura ma anche la religione. «La maggioranza dei cittadini etiopi è di fede ortodossa – spiega Bellafà – questo significa che praticano una Quaresima perenne, tutti i mercoledì e i venerdì dell’anno. E in più in questo periodo, la Quaresima viene praticata per due mesi consecutivi prima della loro Pasqua. Questo significa che non mangiano carne, uova, latticini e quindi dobbiamo essere pronti nelle mense ad offrire loro delle valide alternative».
Tortelloni e pizza in salsa georgiana
Un Paese di passaggio, storicamente l’ultimo avamposto dell’Unione Sovietica prima del Mediterraneo, ma anche un passaggio obbligato per chi – nei secoli scorsi – percorreva la Via della Seta dalla Cina all’Europa.
La Georgia è tutto questo, tradizioni e dominazioni che ha messo nella sua cucina e nei suoi stili alimentari. Lo sanno bene gli uomini di Salini Impregilo che da qualche mese sono impegnati nel cantiere di Nenskra, vicino al confine con la Russia e non troppo lontano dalle vette del Caucaso che sfiorano i 5mila metri di altezza. Paolo Leoni è il project manager della nuova diga che il Gruppo è impegnato a costruire e, insieme ai circa 30 espatriati impegnati in queste fasi preliminari del progetto, si è già integrato con le tradizioni gastronomiche del luogo.
«A livello di cucina – racconta – la Georgia è una piacevole sorpresa perché, forse anche per via delle tante dominazioni che si sono sostituite negli anni, ha una tradizione culinaria originale e interessante». I lavoratori Salini Impregilo nel Paese hanno già fraternizzato con i khinkali e il khatsapuri. I primi sono equivalenti ai nostri tortelloni, fatti con ripieni vari, dalla carne ai funghi, cotti in brodo ma con la particolarità di essere mangiati con le mani.
«Una parte della pasta è dura – spiega Leoni – proprio perché il tortellone deve essere preso con le mani e ne deve essere succhiato direttamente il brodo».
Il khatsapuri invece è una sorta di pizza, cotta al forno e molto più ricca di condimenti rispetto alla classica versione italiana. I topping sono di tutti i tipi e vanno dalle uova, ai funghi, alla carne.
«Siamo qui da poche settimane – spiega il project manager del cantiere – ma siamo tutti molto interessati a integrarci con le abitudini alimentari del luogo. Del resto, proprio per le sue caratteristiche e la vicinanza al mare, la Georgia è un paese dal clima temperato e dalle forti influenze mediterranee. In fondo, non siamo troppo lontani da casa».
La cucina asiatica della Malesia
Sabrina Gaspari è camp manager di Ulu Jelai, il grande progetto idroelettrico che
mira a rispondere alla domanda energetica della Malesia. Un cantiere lontano, dove lavorano uomini e donne di 13 nazionalità differenti, dalla Guinea all’Etiopia, dal Vietnam alle Filippine, dal Pakistan fino, ovviamente, alla Malesia stessa. «Siamo tutti integrati – racconta oggi Sabrina Gaspari – e lavoriamo insieme ad un grande progetto. La cucina è uno degli strumenti di questa integrazione, anche se più che in cantiere viene vissuta come esperienza nelle cittadine vicine alla zona di lavoro. Qui gli stili e le culture gastronomiche si intrecciano e i lavoratori del cantiere scambiano esperienze, dalla cucina indiano-malese a quella cino-malese».
La cucina è ricca, i piatti sono vari e gli ingredienti colorati. Il nasi lemak è sicuramente una delle pietanze tipiche della cucina malese. Viene fatta con il riso, latte di cocco, acqua, sale ginger e erbe varie. Del resto, il riso è centrale in tutta la cucina asiatica. Oltre al nasi lemak, anche il nasi campur, un piatto tipico per il pranzo in cantiere, è fatto a base di riso, con l’aggiunta di ingredienti vari che vanno dai vegetali al pesce fino alla carne.
«Sono da tre anni in Malesia – aggiunge Sabrina Gaspari – parlo quattro lingue e la cucina è stata uno strumento importante per integrarmi con la cultura del luogo. È vero che in cantiere si mangia soprattutto cucina internazionale, ma insieme ai colleghi andiamo spesso nei ristoranti delle cittadine vicine per gustare i piatti tipici del luogo».
Slovacchia, patria del formaggio
«La cucina locale mette d’accordo tutti, anche perché non c’è altro a disposizione. Quello che c’è, si mangia». Scherza Barbora Nozdrovika, assistente amministrativo presso il cantiere di Višňové, in Slovacchia, dove Salini Impregilo sta costruendo un’autostrada e un tunnel. Qui lavorano diverse centinaia di persone, tra amministrativi e workers impegnati in cantiere.
La cucina locale è l’unico pasto disponibile, che viene condiviso da tutti i lavoratori, italiani, slovacchi, romeni, impegnati nel cantiere. «Nella cucina del luogo – spiega – si usano molto le patate, il riso, la carne e il cavolo acido. Poi sono molto diffusi i formaggi locali, a partire dal bryndza, un formaggio tipico che piace molto a tutti».
Il bryndza è tipico nella produzione slovacca: è un formaggio salato fatto con latte di pecora dell’Europa centrale e orientale, prodotto in Slovacchia fin dal XV secolo. È così diffuso da essere l’ingrediente indispensabile per la preparazione dei bryndzové halušky, il piatto nazionale slovacco.
«Siamo circa in 150 – conclude Barbora Nozdrovika – e ci dividiamo mangiando in gruppi. Questo fa cementare i rapporti tra colleghi e contribuisce a farci entrare nella cultura del luogo».
La ricetta dell’integrazione
Essere presenti in oltre 50 Paesi, dagli Emirati Arabi al Perù, dall’Etiopia agli Stati Uniti, dalla Malesia alla Danimarca, significa trasformare le risorse e le eccellenze locali in un patrimonio globale. Ogni persona lavora per un Gruppo, sotto la stessa bandiera, seguendo gli stessi principi di integrità, professionalità e condivisione. La cucina, così come molti altri momenti essenziali nella vita del cantiere, è un elemento del tutto. Strumento di integrazione, di socialità, di scambio.
Nel suo “Il dilemma dell’onnivoro”, Michael Pollan, uno dei più autorevoli esperti mondiali di alimentazione e professore all’università di Berkeley, spiega bene quanto sia profondo il rapporto culturale tra l’individuo e il cibo. Questo rapporto, all’interno della vita di cantiere, si trasforma in momento di condivisione, di scambio, nell’occasione per imparare le culture altrui dal cibo, di superamento della diversità che diventa elemento di coesione, senza bisogno di troppe parole. Mentre la bocca è impegnata a fare altro.