Sanità, economia, ma anche infrastrutture. Gli effetti della pandemia del Covid-19 si fanno sentire ormai non più e non solo sul fronte dell’emergenza sanitaria ed economica, ma anche sulla tenuta delle infrastrutture che diventano più che mai strategiche per arginarne la diffusione.
Il tema, ormai diffuso a livello globale, è quello delle infrastrutture idriche, essenziali per garantire igiene, salute e sicurezza a miliardi di persone.
E se è vero che una delle più importanti difese dal contagio è quella di lavarsi le mani, spesso e a fondo, questo fa capire quanto l’acqua sia una risorsa sempre più essenziale per il benessere delle persone. Oggi un terzo della popolazione mondiale non ha un accesso diretto all’acqua e proprio la pandemia sta dimostrando gli effetti di questo ritardo sul tasso di diffusione del Covid-19 in molti paesi.
Servono nuove infrastrutture: è questo il messaggio che l’International Finance Corporation del World Bank Group affida al rapporto “The impact of Covid-19 on the water and sanitation sector”.
Secondo l’analisi per colmare il gap infrastrutturale servirebbero altri 114 miliardi di dollari l’anno da qui al 2030 da destinare interamente alle infrastrutture idriche dei paesi in via di sviluppo.
La World Bank stima inoltre che gli investimenti attuali per estendere l’accesso all’acqua e ai servizi sanitari nel mondo siano pari a un terzo rispetto agli standard indicati dai Development Goals delle Nazioni Unite.
L’impatto del Covid sugli investimenti idrici
Il rapporto dell’International Finance Corporation stima che proprio la diffusione della pandemia avrà come effetto immediato una ulteriore contrazione degli investimenti nel settore idrico, nonostante questo sia in netta controtendenza rispetto alle esigenze del settore e della popolazione mondiale.
A questo proposito uno studio del Global Water Leaders Group stima che – nei mesi di picco del Covid-19 – la domanda di acqua a livello industriale calerà del 27%. Tutto questo mentre la domanda continuerà a crescere e le disponibilità economiche di molti strati della popolazione diminuiranno.
Per far fronte a queste esigenze, in Cile una utility idrica si è accordata con il governo per rimandare il pagamento delle tasse sul consumo di acqua; lo stesso è accaduto in Brasile, dove il governo ha stabilito un’esenzione fiscale di tre mesi proprio sui consumi idrici.
L’acqua è un bene prezioso, e lo è ancora di più in questi mesi. Da qui l’urgenza di intervenire sulle infrastrutture strategiche, non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche nelle economie più ricche.
Gli Usa alla ricerca di un rilancio delle infrastrutture idriche
Siccità, incendi, inondazioni hanno contribuito negli ultimi anni a mettere in ginocchio gran parte delle infrastrutture idriche perfino in un paese ricco come gli Stati Uniti d’America.
E proprio negli Usa il Brookings Institution, uno dei think tank più autorevoli del Paese, ha sollevato nei giorni scorsi la questione, ribadendo la necessità di nuovi investimenti sulle infrastrutture idriche. Sistemi fognari, impianti di trattamento, tubature per la gestione delle acque reflue sono solo alcune delle opere che hanno bisogno di un intervento urgente.
La questione chiave, almeno negli Usa, è l’assenza di una regia condivisa nella gestione delle infrastrutture idriche del paese.
Attualmente – spiega il Brookings Institution – in America sono presenti e attive 50.000 utilities idriche, una frammentazione che rende molto più difficile presentarsi al governo federale con un piano unitario e soprattutto in grado di esercitare una pressione effettiva per far approvare nuovi stanziamenti. Il concetto sostenuto dagli analisti dello studio è quello di “One Water”, ovvero considerare l’acqua come una risorsa unitaria nel paese, e quindi – anche sul fronte dei piani di sviluppo infrastrutturale – ragionare a livello federale. Un concetto che coinvolge acqua potabile, acqua piovana, acque reflue e in generare tutte le opere infrastrutturali necessarie per gestirle e trattarle.
Il rilancio di queste infrastrutture può essere lo stimolo anche per un rilancio del lavoro. Nuovi investimenti sul settore idrico, infatti, comportano un aumento considerevole della forza lavoro, un fenomeno che almeno in parte può controbilanciare i milioni di posti di lavoro persi per via della pandemia.
Il caso Washington D.C.
Trasformare un’infrastruttura idrica in uno strumento per riqualificare una grande città e insieme un’occasione di lavoro e di sviluppo è quanto viene fatto oggi a Washington D.C.
Nella capitale Usa è tuttora in corso la costruzione di una rete di tunnel e canali sotterranei per la gestione delle acque reflue. L’obiettivo è che le acque degli scarichi fognari, che si intasano soprattutto nei periodi di grandi piogge, non finiscano nei fiumi della metropoli, finendo per inquinarli.
Il progetto, chiamato Clean River Project, è stato lanciato dalla Water and Sewer Authority (DC Water) del Distretto della Columbia proprio per ridurre la quantità di acqua non trattata che scorre nei fiumi della città. Nell’insieme una grande opera, che coinvolge il ruscello Rock Creek e i fiumi Potomac e Anacostia, alla quale anche Webuild partecipa in joint venture con SA Healy (Lane Construction, a sua volta parte del Gruppo Webuild) e Parsons.
Quando, nel 2025, il progetto dovrebbe essere terminato, il volume delle acque reflue che finiranno nei fiumi si ridurrà del 96%, passando quindi da 4,8 miliardi di litri a 185 milioni.
L’opera, che ha un impatto enorme per la città in termini di sostenibilità, rientra nell’impegno del Gruppo Webuild proprio in tema di sviluppo sostenibile. Attualmente, l’85% del backlog costruzioni del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite e il 60% relativo a progetti mirati alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Un obiettivo comune in cui la tutela dell’acqua passa proprio per la modernizzazione delle sue infrastrutture.