Per molti in Australia è l’inizio di una nuova era. Nell’aprile del 2023, Liddell, la più antica centrale elettrica alimentata a carbone del Paese, ha finalmente chiuso i battenti. È diventata la più recente stazione nel suo genere a spegnere le caldaie e andare in pensione, come previsto dal piano del paese che sta guidando il passaggio dai combustibili fossili inquinanti all’eolico, al solare e ad altre fonti rinnovabili, utili per soddisfare il fabbisogno energetico del Paese.
Situato nella Hunter Valley a Nord di Sydney, nello stato del Nuovo Galles del Sud, Liddell era in servizio da più di mezzo secolo. Al suo apice, assicurava quasi il 10% del fabbisogno energetico dello stato, emettendo però nell’atmosfera diverse tonnellate di anidride carbonica.
Come vincere la sfida delle emissioni zero
Al momento della sua chiusura, il contributo dell’impianto all’approvvigionamento elettrico dello stato era già ridotto al minimo, e quasi interamente sostituito da pannelli solari, turbine eoliche e altre fonti rinnovabili installate per soddisfare l’obiettivo dell’Australia di raggiungere un’economia a zero emissioni entro il 2050.
Tuttavia, secondo l’Australian Energy Market Operator (AEMO), che gestisce i sistemi e mercati di elettricità e del gas in tutto il paese, la chiusura delleprossime e ultime centrali non sarà così agevole come quella di Liddell. Nel New South Wales, ad esempio, l’impianto di Eraring, alimentato a carbone, ha tuttora una capacità produttiva di 2.800 megawatt mentre la centrale termoelettrica di Bayswater assicura una capacità di 2.640 MW. L’ultimo di questi impianti dovrebbe chiudere prima del 2040, tra poco più di dieci anni. Da qui l’urgenza di completare la transizione energetica, che comporta massicci investimenti non solo nella generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ma anche nel suo consolidamento, stoccaggio e trasmissione.
Le oscillazioni dei prezzi e i rischi di blackout
Nel suo ultimo piano biennale (il Draft 2024 Integrated System Plan), che definisce il modo migliore per l’Australia di completare questa transizione, l’Australian Energy Market Operator identifica la tempestica della chiusura di questi impianti come una delle sfide da affrontare per raggiungere l’obiettivo del 2050. E ritiene anche che, qualora il sistema non si facesse trovare pronto a compensare la chiusura degli impianti, si potrebbero verificare forti aumenti dei prezzi se non addirittura blackout energetici. «I rischi per l’affidabilità del sistema stanno già diventando visibili – si legge nel piano– e il National Electricity Market (NEM) deve essere resistente a shock derivanti da eventuali chiusure o interruzioni impreviste del carbone, eventi meteorologici violenti o, eventualmente, anche attacchi informatici. Di conseguenza, il NEM deve quasi triplicare la sua capacità di fornire energia entro il 2050 per sostituire il carbone “andato in pensione” e per soddisfare l’aumento dei consumi». Il NEM serve come piattaforma per il commercio di elettricità tra produttori e consumatori.
Stoccare energia per assicurare stabilità al mercato
Negli ultimi anni l’Australia ha compiuto grandi passi in avanti nel ridurre la sua dipendenza dal carbone. Sempre secondo l’Australian Energy Market Operator, nella prima metà del 2023 le fonti rinnovabili hanno assicurato quasi il 40% dell’energia totale fornita sul mercato. Lo stato di South Australia – fa sapere l’operatore – è quello più all’avanguardia proprio in tema di transizione energetica essendo passato in poco più di 20 anni dall’1 al 70% di energia prodotta da fonti rinnovabili. La previsione è che questa percentuale possa salire fino all’85%.
In questo senso, una delle aree di maggior investimento è quella dello stoccaggio che riguarda in particolare l’energia idroelettrica. Si tratta di un settore importante quanto quello dei pannelli solari o delle turbine eoliche perché aiuta ad attenuare le eventuali variazioni della domanda così come dell’offerta energetica, che potrebbero verificarsi soprattutto in assenza di vento o luce solare.
«Lo stoccaggio – si legge ancora nel Piano di Sistema Integrato 2024 della AEMO – permette alle aziende di mantenere la stabilità e l’inerzia della rete, attenuare la volatilità della produzione e bilanciare i rapidi cambiamenti nella domanda e nell’offerta».
Il ruolo di Snowy 2.0
Uno dei progetti che fornirà questo tipo di supporto al mercato è Snowy 2.0, situato nelle Snowy Mountains, e progettato per servire il New South Wales e lo stato di Victoria. L’impianto di pompaggio, che il Gruppo Webuild insieme alla sua controllata australiana Clough (unite nella joint venture Furture Generation) sta realizzando per Snowy Hydro Limited, sarà in grado di fornire elettricità su richiesta ogni volta che si verificherà un calo della fornitura da fonti rinnovabili.
Snowy 2.0 è il più grande progetto di questo tipo in costruzione nel paese e opererà collegando due bacini idrici esistenti (Tantangara e Talbingo) attraverso una rete di quasi 30 chilometri di tunnel con al centro una centrale elettrica sotterranea capace di produrre 2.200 megawatt, garantendo allo stesso tempo lo stoccaggio dell’energia e il suo utilizzo quando altre fonti rinnovabili, come il solare o l’eolico, non sono disponibili.
L’acqua dal bacino di Tantangara, a 1.230 metri sul livello del mare, verrà pompata lungo un tunnel per raggiungere la centrale elettrica sotterranea prima di riversarsi nel bacino di Talbingo a 540 metri sul livello del mare. In questo modo sarà possibile gestire la produzione ma anche lo stoccaggio dell’energia prodotta, distribuendola al mercato solo quando è necessario.