È stata la Millennium Drought, la siccità del millennio – dal 2001 al 2009 – che ha colpito tante regioni del Sud Est asiatico e dell’Australia, a obbligare Melbourne a correre ai ripari, investendo su infrastrutture strategiche che avrebbero messo al sicuro la città e i suoi 4,5 milioni di abitanti.
Nei mesi più difficili della grande siccità, quando le riserve idriche della capitale dello stato di Vittoria avevano raggiunto poco più del 20% del fabbisogno totale, crollando di un 20% in un solo anno, il governo annunciò l’intenzione di costruire un impianto di dissalazione che potesse trattare l’acqua del mare assicurando alla città il fabbisogno di acqua potabile anche nei periodi più critici.
Nel giugno del 2007, l’allora Premier Steve Bracks parlò per la prima volta del progetto di costruzione di un impianto a Dalyston, nel Sud dello stato, il cosiddetto Victorian Desalination Plant. L’obiettivo sarebbe stato quello di proteggere la città, ma anche di contribuire alla diffusione di una nuova tecnologia di trattamento delle acque che sarebbe stata utile e utilizzata in tante città australiane, proprio per rispondere alla domanda idrica nei periodi di maggiore siccità.
È nato così il piano più ampio del governo dello stato di Victoria “Our Water, Our Future”, che ha messo al centro dell’agenda politica la realizzazione di una serie di progetti infrastrutturali (dighe, impianti di trattamento, nuove reti) centrati proprio sull’utilizzo efficiente delle acque.
Victorian Desalination Plant: l’impianto record per la dissalazione australiana
Il Wonthaggi Desalination Plant (questo il nome ufficiale dell’impianto) è sicuramente il più grande d’Australia per la capacità di acqua trattata. L’opera, realizzata con un investimento che sfiora i 4 miliardi di dollari australiani, ha una struttura molto complessa che si snoda dal mare fino ai confini di Melbourne. L’impianto di dissalazione è infatti da un lato collegato con un impianto marino attraverso una rete di tubi lunga fino a 2 chilometri e dall’altro con Berwick, nei pressi di Melbourne dove viene pompata l’acqua trattata. Il complesso dei tunnel sottomarini che trasportano l’acqua e corrono ad una profondità media di 20 metri, arriva a misurare 84 km mentre sono lunghe 87 km le reti energetiche che alimentano la centrale elettrica realizzata per alimentare l’impianto. Proprio la centrale assicura il fabbisogno energetico totale dell’impianto che viene alimentato al 100% con energie rinnovabili. Una delle caratteristiche principali dell’impianto è infatti l’esistenza di un tetto “green”, il più grande del suo genere in Australia, realizzato con materiali biodegradabili che danno vita a un vero e proprio cappotto termico, riducono il rischio di corrosione e il numero di interventi di manutenzione necessari.
Il trattamento dell’acqua marina viene condotto attraverso la tecnica della osmosi inversa, la stessa utilizzata in molti impianti di dissalazione nel mondo, a partire da quelli realizzati dalla società Fisia, uno dei leader mondiali del settore controllato dal Gruppo Webuild.
L’impatto dell’opera sulla vita di Melbourne
Nonostante le complessità in termini di lavori, l’impatto dell’opera per la città è enorme: l’impianto è infatti in grado di pompare ogni anno 150 miliardi di litri di acqua potabile nelle case di Melbourne, rispondendo così alla crisi idrica della regione. La quantità di acqua trattata è infatti equivalente a 60.000 piscine olimpiche e pari a circa un terzo del fabbisogno complessivo annuale della metropoli. Questo permette di utilizzare l’acqua trattata in parte per approvvigionare la città e in parte per creare delle scorte utili in caso di siccità e di crisi idrica.
La portata dell’impianto è tale da rappresentare il più grande intervento infrastrutturale nella storia recente di Melbourne dalla costruzione della Thomson River Dam, la grande diga completata nel 1983. Da quell’anno al 2007 le riserve idriche della regione sono passate dal 97,8% del fabbisogno annuale a poco più del 20%, a conferma dell’impatto devastante che da un lato la siccità e dall’altro l’aumento demografico hanno avuto sulle disponibilità idriche della metropoli.
La via australiana alla dissalazione
La tecnica della dissalazione è una soluzione industriale sempre più strategica per rispondere alle costanti crisi idriche che colpiscono molte regioni del mondo. Non solo quelle più aride come l’Africa e il Medio Oriente ma anche aree sviluppate come la California o appunto l’Australia che, in determinati periodi dell’anno, vengono colpite da violente ondate di siccità.
Ad oggi, secondo i dati del Global Water Intelligence il più grande produttore di acqua dissalata al mondo è l’Arabia Saudita con 22,9 milioni di metri cubi al giorno. Seguono gli Stati Uniti (15,5 milioni di metri cubi) e la Cina (12,2 milioni di metri cubi). In Italia il Gruppo Webuild, attivo nel mondo con la controllata Fisia Italimpianti, ha lanciato l’iniziativa “Acqua per la vita” proponendo la costruzione di nuovi impianti sul territorio. Anche l’Australia sta investendo molto su questa tecnologia. Oltre all’impianto di Melbourne, oggi sono attivi nel paese circa 30 impianti, alcuni di grandi dimensioni come il Perth Seawater Desalination Plant (completato nel 2006) che serve la città di Perth. Stesso discorso vale per il Kurnell Desalination Plant, che con la sua capacità di produrre 250 milioni di litri di acqua potabile al giorno assicura il 15% della domanda idrica di Sydney. Nel complesso la quasi totalità degli impianti è alimentata con fonti rinnovabili, perlopiù energia eolica, confermano l’ispirazione sostenibile di queste opere così essenziali per rispondere al fabbisogno idrico delle persone.