Il crollo del ponte “Francis Scott Key” di Baltimora, dovuto all’impatto della portacontainer Dali battente bandiera di Singapore contro un pilone della campata centrale, ha suscitato scalpore e scatenato nuove polemiche. Nonostante l’incidente avvenuto il 26 marzo nella città del Maryland sia stato provocato da una nave lunga 300 metri (985 piedi), il crollo è suonato come l’ennesimo campanello d’allarme per lo stato di manutenzione di queste importanti infrastrutture negli Stati Uniti.
Secondo gli standard nazionali di ispezione del Dipartimento dei Trasporti, più di 42.000 ponti in tutto il paese sono in cattive condizioni pari al 7,5% di quelli attualmente in servizio. Secondo l’American Society of Civil Engineers (ASCE), attraverso queste infrastrutture si registrano 178 milioni di viaggi ogni giorno. La stessa ASCE aveva stimato per il 2021 un fabbisogno di 125 miliardi di dollari per la loro manutenzione, una cifra in parte coperta dai fondi federali stanziati dalla legge Jobs Act varata quello stesso anno per il miglioramento del sistema infrastrutturale americano.
Lo snodo dei grandi poli logistici
Il ponte di Baltimora, tuttavia, inaugurato il 23 marzo del 1977 e sicuramente non uno dei ponti più vecchi degli Usa, è venuto giù in pochi secondi come un castello di carte. Dopo “appena” 47 anni di servizio, il crollo rappresenta un caso rilevante per gli Stati Uniti, visto che non è stato determinato da carenze strutturali ma da un incidente marittimo. Il porto di Baltimora, del resto, è uno dei più trafficati del Nord America e al 9° posto tra quelli con maggior valore delle merci movimentate. Secondo dati citati dell’ASCE il giorno dell’incidente, dal 1960 al 2015 si sono verificati nel mondo 35 grandi crolli di ponti a causa di collisioni di navi o chiatte con un totale di circa 350 vittime. E ben 18 di questi crolli sono avvenuti negli Stati Uniti, segno di un sistema che si sta rivelando non all’altezza della crescita del traffico marittimo, delle dimensioni delle nuove navi e, in definitiva, della sicurezza della navigazione e delle persone che transitano sopra i ponti.
Grandi porti per le nuove vie del mare
Il commercio via mare, negli ultimi dieci anni, ha indotto un cambiamento radicale nei porti statunitensi, molti dei quali hanno dovuto dragare i fondali per adeguarli alle flotte New Panamax che transitano dal nuovo Canale di Panama, uno delle infrastrutture più complesse e importanti dell’ultimo decennio, costruita da un consorzio guidato da Webuild ed entrata in funzione nel giugno 2016, per attraversare il continente passando da un oceano all’altro in meno di dieci ore.
Il Dipartimento dei Trasporti, in un rapporto realizzato in preparazione della nuova via d’acqua centroamericana, indicava Baltimora tra i quattro scali portuali della costa orientale (insieme a Norfolk, New York/New Jersey e Miami) con una profondità d’acqua sufficiente per accogliere queste navi, valutata in 50 piedi (15,2 metri). Una profondità raggiunta sulla costa del Pacifico da Los Angeles, Long Beach, Oakland e Seattle. In alcuni casi, tuttavia, l’accesso allo scalo portuale è impedito da ponti non sufficientemente alti per consentire il traffico marittimo sotto le rispettive campate.
È stato il caso di Long Beach che, malgrado ormeggi profondi, 10 moli super attrezzati e 66 gru New Panamax, non era in grado di beneficiare dell’incremento di traffico marittimo perché il vecchio ponte Gerard Desmond, troppo basso, rappresentava una barriera all’ingresso delle super navi. La città, in congiunzione con il sistema portuale di Los Angeles, dove approda circa un terzo delle merci che raggiungono via mare gli Stati Uniti, non ha perso tempo e invece di migliorare il vecchio ponte ha deciso di sostituirlo e rimuoverlo. Così, nell’ottobre 2020 è entrato in funzione il nuovo ponte strallato, costruito da Webuild. Denominato Long Beach International Gateway è il secondo ponte più alto del suo genere negli Stati Uniti, con le sue due torri che s’innalzano per circa 525 piedi (160 metri). Lungo poco meno di 8.900 piedi (2.700 metri) con una campata principale di 1.000 piedi (305 metri), permette al porto di espandere la propria operatività con innovativi standard tecnologici e strutturali, tuttora non presenti in decine di ponti non vecchi ma, come il Francis Scott Key, arretrati in termini di sicurezza.