Ha rischiato di essere uno dei più grandi disastri della storia americana. Un’inondazione come non si era mai vista, un rischio di vita per migliaia di persone, un’emergenza che ha portato all’evacuazione di 200mila abitanti della città di Oroville.
Ma l’incidente accaduto nel 2017 alla diga di Oroville, la più alta degli Stati Uniti d’America e una delle più alte al mondo, sembra oggi confinato al passato dopo che i lavori di ristrutturazione sono praticamente conclusi e la diga ha ripreso la sua attività. Lavori compiuti in estrema emergenza che oggi, a oltre due anni dal terribile incidente, hanno trasformato la ricostruzione dello sfioratore nel progetto infrastrutturale più grande e veloce nella storia dello stato.
Oroville: una sfida contro il tempo
La prima riapertura dello sfioratore danneggiato sulla diga di Oroville risale all’aprile scorso, un passaggio chiave ma non definitivo per il ripristino di una piena funzionalità sulla quale ancora oggi tecnici e operai sono al lavoro.
Il nodo chiave dell’opera di messa in sicurezza della diga è stato il rifacimento dello sfioratore, dove l’acqua della diga viene fatta uscire per evitare l’esondazione del bacino. I lavori di ricostruzione hanno previsto che il nuovo sfioratore sia in grado di sopportare un flusso pari a quasi 8mila metri cubi di acqua per secondo, ben oltre i livelli raggiunti anche nei momenti di maggiore crisi. Per farlo è stato necessario più cemento di quanto ne serva per riempire 370 piscine olimpiche, e ancora per rinforzare il cemento sono stati utilizzati 5,6 milioni di chilogrammi di acciaio.
L’opera, costata 1,1 miliardi di dollari, è stata commissionata dal Department of Water Resources dello Stato della California e proprio per la sua complessità ma anche per la rapidità dell’intervento è stata premiata da ENR, una delle più prestigiose riviste del settore, come il miglior progetto infrastrutturale del 2019 in California.
«L’Oroville Spillways Emergency Recovery Project – ha dichiarato a ENR il direttore del progetto, Jeff Petersen – è un esempio incredibile di quello che l’industria delle infrastrutture è in grado di fare anche in tempi brevissimi quando tutti puntano allo stesso obiettivo».
«Per noi – ha proseguito Petersen – la realizzazione massima è arrivata nell’aprile scorso quando l’acqua ha cominciato a fluire di nuovo dallo sfioratore principale. Per 18 mesi oltre 1.000 persone hanno lavorato alla ricostruzione di quest’opera e credo che sia la prima volta che siamo così felici di vedere l’acqua che corre attraverso uno sfioratore».
I lavori sono proseguiti anche negli ultimi mesi e proseguono tuttora. L’obiettivo adesso è controllare bene la risposta dell’enorme invaso della diga al funzionamento dello sfioratore in modo da ottenere tutte le certificazioni ufficiali dagli organismi coinvolti, comprese la California Division of the Safety od Dams e la Federal Energy Regulatory Commission.
L’origine della crisi
La diga di Oroville, inaugurata nel 1968, era stata costruita con uno sfioratore principale e un secondo sfioratore che sarebbe entrato in azione solo in caso di emergenza. Quell’emergenza si è verificata per la prima volta quasi cinquant’anni dopo, nel febbraio del 2017, quando si sono abbattute sulla diga e più in generale in California una serie di piogge battenti (l’inverno più piovoso degli ultimi 100 anni) che hanno aumentato rapidamente il livello del bacino artificiale creato dalla diga senza dare il tempo allo sfioratore principale di far fuoriuscire l’acqua in eccesso. Nel momento di massima pressione l’acqua ha aperto un buco nello sfioratore della grandezza di un campo da calcio e per evitare il peggio è stata deviata verso quello di emergenza che tuttavia non dava tutte le garanzie necessarie per assicurare che non ci fosse alcun rischio per la popolazione.
Per questa ragione le autorità hanno ordinato l’evacuazione di Oroville, la città 75 miglia a Nord di Sacramento, un’operazione di massa che ha coinvolto quasi 200mila persone.
Oroville, un patrimonio per la nazione
La diga di Oroville è una delle grandi dighe americane, la più grande per altezza (raggiunge i 235 metri) e la seconda della California per grandezza del bacino artificiale, dove sono raccolti 4,3 trilioni di litri di acqua.
La sua costruzione, finanziata dal California Department of Water Resources, è iniziata nel 1961 ed è terminata nel 1968, con la realizzazione in parallelo del più grande impianto idroelettrico sotterraneo degli Usa, l’Edward Hyatt Pump-Generating Plant. La finalità dell’opera è infatti triplice: evitare le inondazioni nella valle di Sacramento, gestire l’approvvigionamento idrico della zona (in particolare della San Joaquin Valley e del Sud della California), produrre energia pulita per lo stato della California.
Le dighe della California a rischio
La crisi che ha colpito la diga di Oroville è stato un segnale per tutta la California. Nello stato sono presenti 1.585 dighe e secondo il National Inventory of Dams redatto dallo United States Army Corps of Engineers 17 di queste sono in condizioni gravi.
La maggior parte delle dighe californiane è stata costruita tra gli anni ’60 e ’70 e necessita oggi di interventi urgenti di manutenzione. Tra queste, le più esposte sono la Anderson Dam e la Calaveras Dam, vicino San Jose, ma anche la diga costruita negli anni ’50 sul lago Isabela, per la quale le autorità californiane hanno imposto l’abbassamento del livello di acqua raccolta nell’invaso.
Un problema non solo della California, ma di tutti gli Stati Uniti. Secondo l’Asce, l’American Association of Civil Engineers, le dighe americane hanno un grave problema di invecchiamento. Solo per riabilitare quelle che oggi mettono a rischio vite umane ci vorrebbero 45 miliardi di dollari che diventano 71 miliardi se si considerano gli interventi necessari per tutte le dighe.
Un’emergenza diffusa che, come conferma il caso di Oroville, deve essere affrontata prima che sia troppo tardi.