Nell’ambizione e nell’esigenza di “ricostruire il mondo”, c’è un fattore che nessuno può più ignorare. Si tratta del rispetto dei parametri legati alla sostenibilità nella realizzazione di nuove infrastrutture, un’esigenza non nuova, ma che oggi e soprattutto nei prossimi anni farà sentire il suo impatto anche sul conto economico delle grandi opere.
Questo impatto è stato calcolato da McKinsey&Company nel recente studio dal titolo “Financing change: How to mobilize private-sector financing for sustainable infrastructure”. Dal rapporto emerge un primo dato macro che già da solo fotografa la questione: tra il 2015 e il 2030 la domanda di nuove infrastrutture avrà un valore economico di 90 trilioni di dollari, quasi il doppio del valore attuale delle infrastrutture esistenti che si ferma a 50 trilioni. All’interno di questa cifra McKinsey calcola che 14 trilioni di dollari dovranno essere spesi per colmare quello che viene chiamato il “sustainability premium”, ossia il rispetto dei principi di sostenibilità imposti ormai da molti governi e moltissime organizzazioni internazionali.
Nello specifico, secondo la società internazionale di consulenza, ogni progetto – già nella sua fase iniziale – dovrà prevedere un extra-budget pari al 6% del valore finale, necessario per aderire agli standard di sostenibilità. E questo – segnalano gli analisti – è quanto sta già avvenendo in progetti come l’ampliamento stradale di quarta generazione lanciato in Colombia, o il progetto di generazione di energia eolica del lago Turkana in Kenya.
Le esigenze mondiali
Rispettare i principi di sostenibilità nella costruzione di grandi opere non è più un’ambizione della singola azienda o di un committente più sensibile di altri.
Il 2015 – ripercorre il report “Financing change” – è stato infatti l’anno della consacrazione dello sviluppo sostenibile anche nel settore infrastrutturale. I paletti di queste nuove regole da seguire sono stati messi dalle Nazioni Unite in due momenti: il primo nella Development Agenda emersa nel mese di luglio a valle del vertice di Addis Abeba e il secondo nella formale adozione (risalente al settembre scorso) dei Sustainable Development Goals. Un cammino che è culminato a dicembre 2015 con la Conferenza di Parigi dove 190 Paesi, responsabili per il 98% delle emissioni mondiali, hanno condiviso una strategia comune e globale sul cambiamento climatico.
La Conferenza di Parigi dovrebbe portare a primi risultati già tra il 2018 e il 2020, ma è certo che il modello di produzione industriale sta già cambiando e che questo cambiamento è inevitabilmente destinato a influenzare anche il settore delle grandi opere.
Il baricentro nei “middle-income countries”
Fino a ieri nel mondo venivano spesi 3 trilioni di dollari all’anno in progetti infrastrutturali. Questa cifra è destinata ad aumentare già dall’anno in corso, toccando i 7,7 trilioni di dollari, perché a tanto – secondo i calcoli di McKinsey – ammonta la domanda mondiale. Una parte di questa spesa aggiuntiva dipende dal rispetto dei principi di sostenibilità nella realizzazione di grandi e ambiziosi progetti.
Gran parte di questo “gap sostenibile” è concentrato in quelli che le Nazioni Unite definiscono “middle-income countries”, Paesi con un reddito medio che varia tra i 1.045 e i 12.745 dollari. Sono questi i mercati dove la costruzione di nuove opere è più frenetica e dove quindi si concentra ben il 60% della spesa extra in infrastrutture prevista nei prossimi 15 anni.
In particolare, guardando al tipo di progetti infrastrutturali, il Rapporto McKinsey indica il settore energetico come quello più coinvolto in questo importante cambiamento. Il 50% dei nuovi fondi richiesti per progetti sostenibili sarà infatti dedicato proprio al settore energetico, dove tra le opere più rispettose dei nuovi target figurano quelle idroelettriche che permettono di produrre energia sfruttando la potenza dell’acqua.
Istituzioni, governi e privati
Lo sforzo economico richiesto per adeguare la dotazione infrastrutturale ai cambiamenti sociali ed economici in corso nel mondo, viene ripartito tra i vari attori presenti sul palcoscenico internazionale. Attualmente, rispetto ai 3 trilioni spesi all’anno, la quota di investimenti realizzati da privati varia tra 1 e 1,5 trilioni. Il resto è invece stanziato dai governi, attraverso piani di sviluppo infrastrutturale, e dalle istituzioni internazionali, a partire dall’International Finance Corporation della Banca Mondiale.
E sono proprio le istituzioni internazionali che oggi stanno dando la linea dei nuovi investimenti e alzano l’asticella delle richieste sul piano della sostenibilità. È quanto sta facendo la European Bank for Reconstruction and Development che ha assegnato molte risorse a progetti improntati allo sviluppo della produzione di energia sostenibile.
Un ruolo analogo è quello ricoperto oggi da molti governi, sempre più sensibili al tema. Un caso significativo, in quest’ambito, è quello dell’Australia dove il governo ha richiesto alle imprese che stanno realizzando la North West Rail Link di rispettare i criteri più avanzati in termini di sostenibilità nella selezione dei materiali, nelle forniture energetiche, nell’uso dell’acqua, nei trasporti e nella gestione dei rifiuti.
Un impegno per il futuro
Un’infrastruttura sostenibile non è soltanto un progetto che rispetta determinati parametri di tutela dell’ambiente, ma qualcosa di più. Il concetto di sostenibilità si declina in fatti in modi differenti e comprende anche gli aspetti sociali ed economici.
In tema sociale, rispettare i diritti umani in fase di costruzione, proteggere gli interessi della collettività, realizzare opere che abbiano un impatto sugli stili di vita degli abitanti del territorio, sono tutti imperativi che un’infrastruttura sostenibile dovrebbe rispettare. Lo stesso accade sul versante economico, dove la sostenibilità di una grande opera rappresenta la sua capacità di favorire lo sviluppo e fare da volano alla ricchezza prodotta. Tutte sfide ambiziose che dovranno essere affrontate nei prossimi quindici anni.