L’America punta a ridare smalto al proprio sistema infrastrutturale, che affronta un ritardo non più sostenibile rispetto alla necessità, in taluni casi urgenza, di rifare strade, ponti, ferrovie, tunnel e sistemi idrici, per far fronte alla quale il governo federale ha approvato un piano da 1,300 miliardi di dollari. Il programma di riammodernamento, dopo un dibattito che va avanti da anni, ha escluso dalla lista degli interventi le strutture dedicate alla Difesa ossia cantieri navali, depositi e piste aeroportuali militari, anch’esse datate o non adatte alle nuove tecnologie.
L’interazione tra infrastrutture militari e civili ha trovato, comunque, una prima apertura nell’attuale amministrazione, considerando che le opere civili in molti casi possono avere una importante utilità logistica per le operazioni della Difesa e allo stesso modo le infrastrutture militari possono essere messe al servizio delle esigenze dei cittadini.
Progetti come l’ampliamento dell’Interstate I-14 rappresentano infatti opere utili anche alla logistica della Difesa. Il tratto proposto collegherà oltre una dozzina di basi militari e porti in cinque stati del Sud. Da Fort Wood in Texas, proseguendo per 1.300 miglia tra le highways esistenti I-10 e I-20 attraverso Louisiana, Mississippi, Alabama, fino ad arrivare ad Augusta in Georgia, la nuova autostrada collegherà decine di migliaia di truppe, famiglie e veicoli militari. La nuova via di comunicazione si chiamerà ufficialmente Interstate 14 Corridor, ma i media della Difesa l’hanno già sopranominata “Forts to Port”.
All’interno del budget federale per il 2022, il Dipartimento della Difesa ha proposto una spesa di 26,1 miliardi di dollari per la costruzione di nuove infrastrutture militari e per la modernizzazione di quelle esistenti in modo – si legge nei documenti congressuali – «da offrire all’esercito gli strumenti più adatti per condurre con successo interventi a tutela della vita, della salute e della sicurezza dei cittadini americani. Questo finanziamento sarà utilizzato per sostituire, ripristinare e modernizzare le infrastrutture rendendole anche resilienti nei confronti degli eventi climatici».
Un’esigenza militare: ecco come nacque l’impegno americano nel Canale di Panama
Già in passato è stata sperimentata l’interazione fra tecnologie o infrastrutture nate per scopi militari e poi utilizzate in campo civile e viceversa, com’è stato per Internet, le torri di telecomunicazione, il tracciamento GPS, l’utilizzo di droni. Negli album storici del Dipartimento della Difesa (DOD) si trovano periodi di investimenti significativi nelle infrastrutture militari e periodi di immobilismo. L’investimento più significativo della storia americana risale sicuramente al 1898. All’epoca vi erano tensioni crescenti con la Spagna, che possedeva Cuba come parte dell’impero coloniale. Il 15 febbraio di quell’anno la nave da guerra Maine esplose nel porto dell’Havana. La Navy spedì a Cuba la corazzata Oregon USS, ormeggiata in California. La Oregon impiegò 67 giorni per circumnavigare il Pacifico e raggiungere l’Atlantico caraibico, rischiando di essere travolta da tempeste e acque violente.
La pressione di quel viaggio interminabile fu così forte da permettere al 26° Presidente americano, Theodore Roosevelt, di farsi approvare la costruzione del Canale di Panama per avere una interconnessione rapida tra le due sponde del Paese, tagliando in due l’istmo più stretto dell’intero continente. Il Canale venne completato nel 1914 e ancora oggi viene utilizzato come via di transito delle imbarcazioni militari tra i due oceani, pur essendo un’infrastruttura decisiva per il commercio marittimo. Anche con l’ampliamento del Canale, eseguito nel 2016 dal consorzio di costruttori guidato da Webuild (allora Salini Impregilo), oltre al traffico commerciale, le corazzate e le nuove classi di mega portaerei possono agevolmente raggiungere l’una o l’altra costa degli Stati Uniti.
Le infrastrutture civili al servizio della Difesa
Il senatore repubblicano dell’Alabama, l’87enne Richard Shelby, aveva proposto senza fortuna un emendamento al budget di spesa federale, per un totale di 50,2 miliardi, destinato al miglioramento e ammodernamento di cantieri navali, poligoni di prova, strutture militari, piste dell’aeronautica.
La sua proposta ricalcava un disegno di legge dal nome SHIPYARD Act (Supplying Help to Infrastructure in Ports, Yards, and America’s Repair Docks), presentato in modo bipartisan quattro mesi prima da Wicker, Kaine, Collins, King, Shaheen, Wittman, Gallagher, un gruppo di Senatori e Deputati Democratici e Repubblicani, per ricostruire alcune infrastrutture chiave della US Navy.
Commentando la mancata approvazione dello SHIPYARD Act, il centro studi Brookings ha rilevato come di fatto si focalizzasse troppo (o soltanto) sugli aiuti alla Marina, trascurando gli aspetti commerciali dell’industria navale civile.
Secondo lo studio, nelle discussioni su questo tema è stata enfatizzata l’importanza militare delle navi e data troppa poca attenzione al deterioramento dell’industria cantieristica statunitense.
«La costruzione navale commerciale americana – si legge nello studio – era un’industria vibrante di dimensioni economiche pari alla costruzione navale militare a metà degli anni ’70 e impiegava 180.000 lavoratori nel 1980. Dopo che l’allora presidente Ronald Reagan ha tagliato i sussidi alla costruzione navale commerciale degli Stati Uniti, l’industria è in gran parte scomparsa. Oggi l’America produce meno della metà dell’uno per cento delle navi commerciali mondiali. Il declino della capacità di costruzione navale commerciale si traduce in un aumento dei costi per la Marina nella costruzione e nel mantenimento della sua flotta».
In definitiva, secondo Brookings, il risultato della trascuratezza della navigazione interna e delle infrastrutture portuali porta con sé una maggiore congestione sulle strade e sulle ferrovie, nonché un maggiore inquinamento. Il trasporto è la principale fonte di emissioni di gas serra (quasi il 30%) e il trasporto su camion è molto meno sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto a quello via nave.
«Ampliare gli investimenti – conclude lo studio – e creare un collegamento tra le dimensioni commerciale e militare dell’industria marittima andrà a beneficio dell’economia, dell’ambiente e della sicurezza nazionale dell’America».