L’Australia come modello per i sistemi di sviluppo urbanistico del futuro. E le sue principali città, Sidney, Melbourne, Brisbane, Perth, come esempi di metropoli da costruire intorno alla “flessibilità”, ossia alla capacità di cambiare rapidamente per rispondere ai bisogni attuali e futuri dei cittadini.
Una strada di sviluppo di città flessibili segnata, secondo quanto indicano i numeri a livello globale: attualmente una persona su cinque vive in una metropoli con oltre un milione di abitanti; l’85% del Pil mondiale viene generato nei centri urbani; e, da qui al 2050, 2,5 miliardi di persone migreranno dalle aree rurali a quelle metropolitane alla ricerca di nuove opportunità. Un boom demografico che trova la sua sintesi estrema proprio in Australia dove, entro il 2046, le più grandi città moltiplicheranno la loro grandezza: Sidney passerà da 5 a 7,5 milioni di abitanti; Melbourne da 4,5 a 7,3; Brisbane da 2,5 a 5 e Perth da 2 a 4,2.
Un’evoluzione sostenibile solo se le città saranno costruite sul principio della “flessibilità”, e quindi rimodulabili sulle esigenze anche future dei cittadini. È questo il focus dello studio “Flexible cities. The future of Australian infrastructure”, realizzato da “The Economist Intelligence Unit” (EIU – una divisione del prestigioso magazine inglese) e presentato a Sidney presso la University of Tecnology Sydney (UTS). L’evento, organizzato da Salini Impregilo (gruppo leader nel settore delle infrastrutture complesse), ha visto la partecipazione di Carlo Ratti, esperto delle nuove tecnologie applicate all’urbanistica, architetto e ingegnere, direttore del Senseable City Lab al MIT di Boston e fondatore dello studio Carlo Ratti Associati - CRA (Torino e New York).
Al centro del dibattito il rapporto dell’Economist, secondo il quale solo una pianificazione di lungo periodo con investimenti massicci in infrastrutture e tecnologia può migliorare i servizi offerti e preservare il tenore di vita dei cittadini australiani.
Flessibilità come modello di sviluppo
Il boom demografico delle grandi città australiane avrebbe costi elevatissimi se non fosse gestito in chiave sostenibile. Secondo i calcoli del Bureau of Transport, Infrastructure and Regional Economics, il congestionamento del traffico costa 16,5 miliardi di dollari australiani (equivalenti a 11,8 miliardi di dollari USA) all’anno in termini di produttività persa, destinati a diventare 35 miliardi entro il 2031 se non saranno prese misure urgenti.
Il problema è più sentito nelle grandi città come Sidney e Melbourne, dove – durante le ore di picco – il tempo trascorso in macchina dagli automobilisti aumenta del 50%.
Di fronte alla crescita demografica e alla conseguente pressione sui servizi che questa comporta, il report dell’Economist auspica la costruzione di città progettate per rispondere alle esigenze del futuro, ed esplora come l’Australia si stia adeguando ai trend più attuali in termini di design, progettazione, realizzazione e manutenzione delle infrastrutture. È questa la strada da seguire per rendere le città più flessibili, in grado quindi di adattarsi alle esigenze attuali e future dei loro residenti, attraverso la realizzazione di quelle infrastrutture che il report definisce “future proofing”, a prova di futuro.
«L’Australia – si legge nello studio – ha ottime probabilità di vincere le sfide che affronta, perché sta puntando più di molti altri paesi sulle infrastrutture, un’attitudine che la rende un modello per altri stati (…) e permette di realizzare infrastrutture più intelligenti, flessibili e moderne per le grandi città».
Tecnologia e infrastrutture per trasformare le città
Infrastrutture fisiche (metro, ponti, strade, ferrovie) e nuove tecnologie: un binomio che il report dell’Economist considera strategico per costruire “città flessibili”.
Grazie alle tecnologie è infatti possibile raddoppiare la capacità di trasporto di strade o linee ferroviarie, senza necessariamente intervenire sul tracciato fisico.
A Melbourne, ad esempio, la rete ferroviaria e metropolitana è stata migliorata attraverso l’adozione di sistemi di controllo che segnalano l’aumento del flusso dei passeggeri e di conseguenza richiedono una variazione della frequenza dei treni. Così, nelle ore di picco viaggiano più treni, uno dopo l’altro. Lo stesso è stato fatto a Perth, dove la frequenza di passaggio dei convogli può aumentare del 150% sullo stesso tragitto.
Accanto a questo sforzo per sviluppare nuovi sistemi tecnologici e adattarli alle reti infrastrutturali, l’Australia sta pianificando investimenti di lungo termine tanto su scala federale, quanto da parte dei governi e delle amministrazioni statali.
Esempio di piani a lungo termine Sydney Metro, il più grande progetto di trasporto pubblico del paese, che prevede di ampliare la rete metropolitana di Sidney con la costruzione di nuove linee. Una volta completata nel 2024, la rete avrà a disposizione 31 nuove stazioni e 66 chilometri di percorso, aumentando la capacità di trasporto dalle periferie al centro della città, che passerà dai 120 treni all’ora di oggi a 200 entro il 2024, con un incremento del 60%.
Più al nord sulla costa, la città di Brisbane è pronta a investire 944 milioni di dollari australiani in una nuova metropolitana, ma la visione di lungo periodo degli amministratori cittadini è tale che già si parla di quadruplicare il tracciato previsto nel nuovo progetto.
Tecnologia e infrastrutture viaggiano quindi insieme, moltiplicando i benefici per la collettività, non solo nel presente ma anche nel futuro, e trasformando lo sviluppo delle città in un modello replicabile anche nel resto del paese.
Dalle città un modello per il paese intero
Il futuro delle infrastrutture australiane è quindi segnato. E accompagnato da un fermento reale che – come certifica il Report dell’Economist Intelligence Unit – parte proprio dalle città per arrivare a coinvolgere l’intero paese, anche grazie al sistema di norme che facilita l’ingresso di investitori internazionali.
«Il governo federale così come le amministrazioni locali – commenta lo studio – sono aperti all’adozione delle best practice internazionali e hanno contribuito a migliorare in modo significativo il sistema delle regolamentazioni. Il risultato è un mercato attrattivo, aperto a soggetti stranieri che stimola la competizione e incoraggia l’innovazione».
Ma per raggiungere questi obiettivi – mette in guardia il report – non bastano solo le imprese o i finanziamenti, servono anche le competenze professionali. Ed è questa, oggi, l’unica nota dolente per un paese che assomiglia a un cantiere aperto sul domani. In questo cantiere c’è bisogno di professionisti dotati di una serie di competenze che rientrano nella categoria STEM: scienze, tecnologia, ingegneria, matematica.
Un gap che esiste ma sul quale istituzioni, università e aziende sono già al lavoro per colmare il vuoto e dare l’ennesima prova di un modello di sviluppo progettato immaginando il futuro.