La tempistica non avrebbe potuto essere migliore… o forse peggiore. Mentre il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, arrivava a Pittsburgh, in Pennsylvania, alla fine di gennaio per parlare del piano appena approvato da 1 trilione di dollari sulle infrastrutture, un ponte è crollato appena fuori il centro cittadino.
Nessuna vittima, ma diversi feriti, oltre a un numero considerevole di automobili danneggiate, molte delle quali cadute nel sottostante Frick Park. Il Presidente Biden si è naturalmente subito recato sul posto, incontrando i rappresentanti delle istituzioni locali così come i poliziotti e i vigili del fuoco accorsi subito dopo l’incidente.
Il disastro di Pittsburgh è stata l’ennesima prova utile che ha confermato il bisogno di intervenire per rimettere in sesto strade, ponti, e altre infrastrutture in grado di supportare l’economia americana e – prima di tutto – tutelare la sicurezza dei cittadini.
Parlando con i giornalisti sul luogo del crollo, Biden si è impegnato a rimettere in sicurezza tutti i ponti del paese dopo decenni di abbandono. «Siamo al lavoro per riqualificarli tutti – ha detto – non si tratta di un gioco, ma di una sfida enorme».
Sempre nel corso della stessa giornata il presidente ha spiegato che il tema centrale è ancora una volta salvare delle vite umane. «Ci dobbiamo sbrigare – ha detto – la prossima volta non vogliamo leggere titoli di giornali che parlano di persone uccise dal crollo di un ponte».
Biden rilancia il suo piano da Pittsburgh
L’Infrastructure Investment and Jobs Act, il piano rilanciato da Joe Biden a Pittsburgh, è stato approvato in via definitiva nel novembre scorso e contiene interventi di recupero di ponti, strade e autostrade per un totale di 110 miliardi di dollari.
Solo per la Pennsylvania l’agenzia stampa Associated Press calcola che 1,6 miliardi saranno investiti per la manutenzione dei ponti, mentre decine di miliardi saranno destinati al trasporto pubblico, alla manutenzione delle autostrade e all’espansione della banda larga.
Così come altri disastri recenti avvenuti nel mondo, tra cui quello del Ponte Morandi in Italia, il crollo di Pittsburgh si è trasformato nell’ennesimo allarme sullo stato delle infrastrutture degli Stati Uniti.
«Il problema – ha dichiarato il Governatore della Pennsylvania Tom Wolf in un comunicato stampa rilasciato dopo il crollo – è che l’invecchiamento delle nostre infrastrutture è stato ignorato per anni».
Il rapporto dell’ARTBA
Pochi giorni dopo il fatto, l’American Road & Transportation Builders Association (ARTBA) ha enfatizzato quanto accaduto pubblicando lo studio elaborato dal 2021 National Bridge Inventory Database del Dipartimento dei Trasporti. All’interno del rapporto si rivela che 224mila ponti – il 36% di quelli presenti nel paese – avrebbero bisogno di interventi urgenti o dovrebbero addirittura essere sostituiti. Il costo stimato per questi interventi raggiunge i 260 miliardi di dollari.
Secondo l’ARTBA proprio la Pennsylvania è uno degli stati che conta il numero più alto di ponti di condizioni drammatiche (3.198). Nello stato di New York, dove Lane Construction, la controllata del Gruppo Webuild, sta ripristinando l’Unionport Bridge, il vecchio ponte mobile del Bronx, i ponti che andrebbero manutenuti sono 1.672. In California, dove Webuild ha lavorato alla sostituzione del Gerald Desmond Bridge sul porto di Long Beach, sono invece 1.493.
Infrastrutture obsolete, un problema per le economie avanzate
Il problema delle infrastrutture obsolete – come ad esempio i ponti – non riguarda però solo gli Stati Uniti, ma moltissimi paesi anche tra le economie avanzate. Il rischio, per tutti, è da un lato l’impatto negativo sullo sviluppo economico e dall’altro la messa a repentaglio di vite umane. Per superare l’impasse l’Unione europea attraverso il NextGenerationEU ha trasferito miliardi di euro ai paesi membri per sostenere il rilancio economico dopo la pandemia.
La somma più consistente è stata assegnata all’Italia, che ha bisogno di interventi importanti sul proprio patrimonio infrastrutture, come ha dimostrato lo stesso collasso del Ponte Morandi.
Il paese non ha comunque aspettato l’arrivo dei fondi europei e ha iniziato già prima a investire per rinnovare le opere più vecchie. Grazie a uno sforzo collettivo che ha coinvolto il governo, gli amministratori locali, i sindacati, i fornitori e i cittadini stessi, il Gruppo Webuild è stato in grado di costruire il Ponte San Giorgio di Genova in meno di due anni. La rapidità e l’efficacia della costruzione è stata attribuita a quello che è stato chiamato il Modello Genova, un approccio più collaborativo tra partner pubblici e privati nella costruzione di opere infrastrutturali divenuto ormai un esempio applicato in molti altri cantieri in giro per il paese.