Gli scambi mondiali stanno cambiando paradigma. La Via della Seta cinese sembra destinata sgonfiarsi, soprattutto rispetto alla sua promessa iniziale di coinvolgere l’Europa in una nuova maxi rete infrastrutturale per le merci e le persone, mentre il conflitto in Ucraina così come quello in Medio Oriente stanno riscrivendo rotte ed equilibri dei traffici merci.
La risposta dell’Europa, ad oggi, è nelle mani delle iniziative dei singoli stati. E mentre la Germania sta investendo moltissimo sullo sviluppo del porto di Amburgo e sulla sua capacità di diventare un hub intermodale, l’Italia punta allo sviluppo dei suoi scali portuali, forte di una posizione di privilegio che gli è data dalla geografia stessa della penisola.
Non a caso Trieste e La Spezia, oggi il primo e il secondo scalo italiano per quantità di merce spostata su rotaia, sono stati per anni sotto l’occhio vigile di Pechino, mentre Genova punta a colmare il suo gap con il completamento del Terzo Valico dei Giovi, l’alta velocità/alta capacità ferroviaria che sta realizzando il Gruppo Webuild e che attraverso un complesso percorso quasi interamente in galleria collegherà Genova e il suo porto prima con Milano, quindi con l’Europa.
Parallelamente continuano a crescere anche i grandi porti del Centro e del Sud: Civitavecchia, da anni in partita con Barcellona per conquistarsi il primato tra i porti turistici del Mediterraneo, e Gioia Tauro, approdo naturale per le merci che arrivano dal Nord Africa e dall’Atlantico.
Il loro sviluppo, nei prossimi anni, sarà essenziale per sostenere l’economia italiana che, come quelle degli altri partner europei, dovrà sempre più fare i conti con i grandi porti per vincere la sfida della crescita.
L’Italia, un porto naturale
Una costa lunga 7.456 chilometri e una posizione centrale rispetto al Mediterraneo assegnano all’Italia una posizione strategica rispetto ai grandi traffici internazionali.
Proprio nel Mediterraneo si concentra il 30% del trasporto marittimo globale e l’Italia con i suoi 58 porti punta a intercettarne una quota significativa. Nei paesi del Nord Europa la struttura degli scambi via mare è invece molto differente perché il grosso dei traffici si concentra intorno a pochi porti. Amburgo, Rotterdam e Anversa intercettano da soli il 70% del trasporto marittimo dei loro rispettivi paesi. In Italia, attualmente il traffico container raggiunge i 10 milioni di TEU, tanti quanti vengono movimentati dal porto di Rotterdam.
Da un lato quindi una grande opportunità offerta dalla posizione naturale del paese, dall’altro un gap da colmare con i competitor del Nord Europa. Per riuscirsi saranno utili in parte i fondi previsti dal PNRR che proprio sui porti italiani conta di investire 9,2 miliardi di euro, un quarto dei quali saranno destinati a migliorare l’accessibilità del traffico marittimo, con ristrutturazioni e dragaggi dei fondali per ospitare le grandi navi.
Tra i progetti più significativi in questo senso c’è la costruzione della Nuova Diga Foranea di Genova, la maxi opera che sarà realizzata da un consorzio guidato dal Gruppo Webuild e che permetterà al capoluogo ligure di avere una infrastruttura più grande e più lontana dal porto rispetto a quella attuale e quindi capace di consentire l’accesso allo scalo alle grandi navi.
La Nuova Diga Foranea, unita al Nodo di Genova, che attraverso il Terzo Valico porterà l’alta capacità ferroviaria in porto, contribuiranno ad accelerare lo sviluppo della città in chiave commerciale permettendo a Genova di tornare a essere quel grande hub dei trasporti che è stata in passato.
I porti italiani: un motore per l’economia del Paese
Sviluppare i porti significa sviluppare l’economia. Oltre alle indicazioni dell’Unione europea, l’assioma è confermato dai dati. Secondo il centro studi Srm, collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, l’insieme della logistica marittima in Italia vale il 9% del Pil nazionale. Oltre alle merci i porti italiani sono stati in grado di movimentare nel 2022 anche 61,3 milioni di passeggeri, di cui 9 milioni di crocieristi. Non solo: sempre secondo l’analisi dai porti italiani passa il 40% del totale dell’import-export nazionale, equivalente a 377 miliardi di euro.
La centralità di queste infrastrutture è quindi evidente, così come evidente è la sfida che da qui ai prossimi anni i porti italiani dovranno ingaggiare prima di tutto in Europa. Una sfida che si consuma non solo con i porti del Nord ma anche con quelli africani, come il porto marocchino di Tanger Med, che oggi vanta la più elevata capacità di movimentazione container del Mediterraneo e una delle free zone più dinamiche al mondo.
L’Italia in cerca della sua leadership
Nello scacchiere degli scambi via mare il Mediterraneo gioca un ruolo sempre più centrale rispetto ai mari del Nord. Tra il 2008 e il 2021 la quota di traffico container europea intercettata dagli scali nordici è scesa dal 46 al 38%, mentre quella dei porti mediterranei è cresciuta dal 35 al 44%.
Questo contesto può rappresentare una grande opportunità proprio per i porti italiani che nel 2023 si sono confermati leader europei nel traffico marittimo a corto raggio. In questo particolare settore l’Italia movimenta infatti il 14% delle merci che passano per l’Europa, davanti ai Paesi Bassi (13,5%), alla Spagna (10%) e alla Francia (7%).
Molto forte è anche la vocazione dei porti italiani alla intermodalità e quindi al rapporto tra trasporto via mare e trasporto via terra, in particolare quello su rotaia. Come per il caso del Terzo Valico dei Giovi, le grandi infrastrutture italiane possono favorire la crescita del sistema Paese in questo settore, riducendo anche i tempi di attesa delle merci nei porti. Attualmente in media nei porti italiani le merci attendono 1,34 giorni, contro gli 0,62 giorni dei Paesi Bassi e gli 0,9 giorni della Spagna.
Avere infrastrutture di collegamento più moderne, più rapide e più efficienti contribuirà ad abbattere questi tempi, aggiungendo un ulteriore fattore competitivo al Sistema Paese e contribuendo alla conquista di nuove quote di mercato nei traffici internazionali.