Nel 1955 il Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower disse che «un sistema di trasporto moderno ed efficiente è essenziale per incontrare i desideri di una popolazione che cresce, di un’economia in espansione e della nostra sicurezza nazionale».
Sessanta anni dopo la sfida americana delle grandi infrastrutture si rinnova, complice la crisi economica che negli ultimi anni ha contribuito alla contrazione degli investimenti nel sistema trasportistico del Paese.
Secondo il Rapporto “An economic analysis of transportation infrastructure investment”, preparato dal National Economic Council e dal Council of Economic Advisers della Casa Bianca, il 65% delle principali strade americane versa in condizioni non buone, un ponte su quattro richiede interventi strutturali significativi oppure non è più in grado di sopportare la mole attuale di traffico, e il 45% dei cittadini americani non ha accesso ai mezzi pubblici di trasporto. Non solo: ogni anno gli americani trascorrono 5,5 miliardi di ore nel traffico con un costo per le famiglie in termini di carburante extra e di tempo perso calcolato in 120 miliardi di dollari. Solo la Nike, il colosso Usa dell’abbigliamento sportivo, spende ogni settimana 4 milioni di dollari per i ritardi che si accumulano nel trasporto della merce.
Tutto questo – spiegano gli analisti della Casa Bianca – in un Paese che ha oltre 4 milioni di miglia di strade e 600.000 ponti.
Un problema inevitabilmente legato alla carenza di investimenti che, ormai da moltissimi anni sembra caratterizzare il settore. Nel lontano 1962 la spesa pubblica per le infrastrutture era pari a 3% del Prodotto interno lordo; oggi siamo all’1,4%, meno della metà. E il calo è stato certificato anche dagli organismi internazionali. L’ultimo Global Competitive Index del World Economic Forum inserisce gli Stati Uniti al decimo posto nel mondo per gli investimenti nei trasporti, al 18° per le strade e al 19° per la qualità delle infrastrutture, una posizione avanti all’Italia, ma dietro a Paesi come Irlanda, Grecia, Polonia, Slovenia.
La questione, ancora una volta, è economica. A questo proposito, nel 2014, il Presidente Barack Obama ha previsto all’interno del Grow America Act un piano quadriennale di investimenti nel settore infrastrutturale per 302 miliardi di dollari, poi ampliato a sei anni. Un’iniziativa ancora più importante perché viene varata pochi mesi prima che l’Highway Trust Fund (il fondo per finanziare il trasporto su strada) cominci ad esaurire le sue risorse.
Il piano di Obama è stato rilanciato il 2 febbraio scorso, quando il Presidente ha presentato la sua proposta di budget 2016 per il governo federale. All’interno dei 4 trilioni di dollari totali, 94,7 miliardi (il 31% in più rispetto ai 72,1 miliardi stanziati nel 2015) dovrebbero andare al Department of Trasportation, aggiungendosi ai finanziamenti previsti dal Grow America Act.
Del resto, il percorso per il rilancio infrastrutturale non inizia oggi. Nel 2009, nel pieno della crisi economica, il Recovery Act ha convogliato 48 miliardi di dollari nel cosiddetto Tiger program (Transportation Investment Generating Economy Recovery), permettendo al Department of Transportation di investire nelle situazioni più critiche. Secondo il ministero Usa il programma ha contribuito a migliorare 42.000 miglia di strade, di intervenire su 2.700 ponti e di stanziare fondi per 12.220 veicoli pubblici di transito.
Nei suoi piani di sviluppo sul settore, il governo Usa insegue un duplice obiettivo: da un lato modernizzare le infrastrutture e dall’altro favorire il rilancio del business e dell’occupazione.
I dati del Bureau of Labor Statistics americano rivelano che il 68% dei posti di lavoro creati dagli investimenti nelle infrastrutture sono nelle costruzioni, il 10% nel settore manifatturiero e il 6% nel commercio retail. Il resto viene spezzettato su voci minori.
Nel corso del 2014 gli investimenti hanno favorito la nascita di 186.000 nuovi posti di lavoro nelle costruzioni, ma il tasso di disoccupazione al 9,9% rimane ancora molto elevato rispetto alla media americana. Guardando agli effetti della crisi, dal 2007 ad oggi il numero dei lavoratori è crollato del 20% e ci vorranno anni per tornare ai livelli precedenti.
Un ritorno più immediato dei piani di investimento si avrà invece probabilmente sulle condizioni economiche delle famiglie americane.
Gli analisti della Casa Bianca hanno calcolato che la voce trasporti nel totale delle spese medie familiari occupa la seconda posizione dopo la casa e prima del cibo. In media ogni anno una famiglia americana spende 17.041 dollari per la gestione della propria abitazione, 8.999 dollari per i trasporti e 6.598 dollari per il cibo.
Oltre il rilancio economico, oltre le esigenze della forza lavoro e la modernizzazione dei sistemi infrastrutturali, c’è un’altra motivazione che influenza le scelte dell’establishment e dell’opinione pubblica americani sull’opportunità di tornare a “costruire l’America”. Una filosofia esplosa nel New Deal che segue la Seconda Guerra Mondiale, quando la rinascita economica del Paese veniva inseguita con investimenti massicci del pubblico e con l’impegno e la dedizione del privato. Questa grande spinta trova forza nella consapevolezza che il grande cammino di sviluppo che ha permesso agli Usa di raggiungere una leadership mondiale in molti settori è nato proprio dall’impegno dei suoi uomini nella costruzione di grandi opere.
La foto scattata il 19 settembre del 1932, e pubblicata un paio di settimane dopo sul “New York Herald Tribune”, dei manovali in pausa pranzo in cima al principale edificio del Rockefeller Center; o ancora le immagini dell’inaugurazione del ponte di Brooklyn nel 1883 e del Golden Gate di San Francisco nel 1937, hanno fatto il giro del mondo divenendo il simbolo di un Paese in movimento, impegnato con le sue forze migliori a costruire il suo futuro.