Settanta miliardi di dollari per rimettere in sicurezza le dighe d’America. Un maxi investimento necessario per evitare che queste infrastrutture strategiche per gli Stati Uniti vengano abbandonate al degrado, mettendo a rischio non solo l’economia ma anche la vita delle persone.
La denuncia è stata lanciata nei giorni scorsi dall’Association of State Dam Safety Officials (ASDSO) che monitora da anni lo stato di salute delle dighe. Nel suo aggiornamento 2019 dal titolo “The Cost of Rehabilitating Our Nation’s Dam”, l’Associazione ha prima mappato le dighe in crisi e poi calcolato il costo degli interventi di manutenzione. Il risultato finale sono 65,89 miliardi di dollari per le dighe non-federali, quelle gestite dai singoli stati, e 4,78 miliardi di dollari per quelle federali.
Nell’ambito di queste due categorie l’Associazione indica inoltre il costo degli interventi più urgenti, quelli necessari per mettere in sicurezza le dighe che presentano rischi elevati. E così nel breve termine sarebbero necessari 20,42 miliardi da destinare alle dighe non federali e 3,35 miliardi a quelle federali.
Un appello lanciato alla politica, all’Amministrazione Trump che nelle scorse settimane ha rilanciato in accordo con i Democratici il piano delle infrastrutture, ma anche ai governi dei singoli stati che hanno la responsabilità maggiore sulle dighe del paese.
L’allarme nella giornata nazionale sulle dighe
L’allarme sullo stato di queste infrastrutture arriva in occasione del 31 maggio, National Dam Safety Awareness Day, ossia la giornata dedicata alla tutela e alla preservazione delle dighe negli Stati Uniti d’America. Non un giorno qualunque perché il 31 maggio del 1889 il crollo della South Fork Dam vicino alla città di Johnstown, in Pennsylvania, causò la morte di 2.200 persone. Quest’anno cade il 130° anniversario di quella tragedia, e non è un caso se la ASDSO abbia rilanciato il suo aggiornamento annuale sulla condizione delle dighe proprio in prossimità di questa ricorrenza.
Dighe, un patrimonio per gli Usa
Gli Stati Uniti contano 90.000 dighe sparse su tutto il territorio e molti stati ne hanno centinaia, se non migliaia. L’età media delle dighe americane ha raggiunto i 56 anni e l’aumento della popolazione, collegato al maggior lavoro richiesto alle stesse infrastrutture nella gestione dell’acqua, sta contribuendo ad accelerare il processo di invecchiamento. Ad oggi le dighe a rischio di incidente sono 15.000. Di queste, oltre 11.000 corrono rischi elevati, che non comporterebbero necessariamente la morte di esseri umani, ma sicuramente avrebbero un impatto significativo sull’economia del territorio.
Il ruolo dei privati
La denuncia dell’ASDSO non è rivolta però solo nei confronti del governo federale e degli stati, ma anche dei privati. Se la condizione delle dighe è un problema pubblico, è anche vero che la maggioranza di esse è gestita da società private. La FEMA, l’ente ferale per la gestione delle emergenze che fa capo al Department for Homeland Security, calcola che il 56,4% delle dighe americane è di proprietà privata; il 24,9% è gestito da enti locali o dai governi statali; il 2,4% dalle utility pubbliche; il 4,7% dal governo federale e il restante 11,6% da altri soggetti non definiti.
Per sostenere l’impegno a riqualificare le dighe americane, la FEMA promuove programmi per la costituzione di partnership pubblico-private con la partecipazione dei governi statali, e in particolare del governo federale, ai piani di ristrutturazione delle aziende. Si tratta di un progetto rilanciato nel 2002 con l’approvazione del Dam Safety and Security Act, ma ad oggi garantisce solo in parte la preservazione delle dighe americane, che avrebbero invece bisogno di interventi massici e immediati.