Non si possono fermare i disastri naturali ma si può limitare il loro impatto sulle persone e sui sistemi economici grazie a infrastrutture solide ed efficienti. È questa la sintesi del nuovo WorldRiskReport 2016, l’analisi realizzata dall’università di Stoccarda per conto delle Nazioni Unite, che evidenzia come gli effetti dei disastri naturali – quando si verificano terremoti, inondazioni o uragani – possano essere limitati grazie ad un sistema di infrastrutture in buono stato e di qualità.
Partendo dagli effetti dei 346 disastri naturali del 2015, che hanno provocato 22mila morti, colpendo quasi 100 milioni di persone e totalizzando un danno economico da 66,5 miliardi di dollari, il Report conferma il ruolo delle infrastrutture come argine strategico alla possibilità che un evento naturale di grande portata si trasformi in un disastro. Un risultato garantito non solo grazie al maggior livello di sicurezza di edifici, strade o ponti, ma anche per la capacità di continuare ad assicurare i collegamenti e garantire quindi i soccorsi e gli approvvigionamenti di generi essenziali.
Il World Risk Index: Paesi più o meno a rischio
Analizzando il livello di vulnerabilità delle infrastrutture rispetto all’esposizione dei diversi Paesi agli eventi naturali, il rapporto ha elaborato – come ogni anno – il World Risk Index, un indice percentuale che elabora una classifica degli stati sottoposti al rischio maggiore sulla base non solo delle probabilità di essere colpiti da un evento naturale, ma anche della capacità di rispondere a questi rischi. I cinque stati che corrono i rischi maggiori sono la Repubblica di Vanuatu (un piccolo arcipelago nel sud del Pacifico), il Tonga (in Polinesia), le Filippine, il Guatemala e il Bangladesh. Ancora più interessante è tuttavia ribaltare la lettura della classifica, andando ad analizzare le ultime posizioni, quelle occupate dai Paesi che – grazie ai loro efficienti sistemi infrastrutturali – sanno ridurre al massimo l’impatto degli eventi naturali.
Tra i migliori sono presenti molti Paesi del Medio Oriente (Qatar in testa alla 171esima posizione, Arabia Saudita alla 169esima, Bahrain alla 165esima e tutti gli Emirati Arabi Uniti alla 163esima). Nella lista degli ultimi 40 figurano molti Paesi europei, tra cui Germania, Spagna, Francia, Norvegia, Svezia, mentre l’Italia occupa la 119esima posizione e gli Stati Uniti la 127esima. Proprio la ricca dotazione infrastrutturale degli Usa permette al Paese – nonostante gli eventi naturali cui è annualmente sottoposto – di mantenere una buona posizione in classifica, tra gli ultimi 50 Stati più esposti al rischio di disastri naturali.
Analizzando i fenomeni più significativi del 2015, lo studio riporta l’esempio del terribile terremoto che il 25 aprile del 2015 ha colpito il Nepal, seguito da una seconda scossa il 12 maggio. Il sisma ha messo in ginocchio circa 8 milioni di abitanti (rispetto alla popolazione totale di 28 milioni), 8.800 persone sono morte e 22mila sono rimaste ferite. Oltre 500mila case sono state distrutte, 250mila danneggiate con un costo per la ricostruzione calcolato in 7 miliardi di dollari. Oltre alle case, anche strade, linee telefoniche, aeroporti sono stati colpiti duramente, con un effetto domino su tutto il paese, che ne soffre ancora le conseguenze.
L’impatto sulle infrastrutture è stato minore, ma comunque significativo, anche per lo sciame sismico che negli ultimi mesi ha colpito l’Italia. A partire dal terremoto che nell’agosto scorso si è concentrato nel centro Italia, fino alle ultime forti scosse che hanno di nuovo colpito l’area ad ottobre, l’impatto è stato significativo rendendo complessi gli interventi di soccorso. Anche in questo caso, come per il terremoto del Nepal, i costi per la ricostruzione sono elevatissimi.
In generale, gli eventi naturali hanno un impatto su tutti i Paesi, anche quelli storicamente meno colpiti o comunque meglio organizzati.
Nel 2015 le inondazioni hanno provocato in Europa danni al sistema stradale e ferroviario per 470 milioni di dollari. Anche in questo caso sono le infrastrutture e la loro capacità di tenuta di fronte ai grandi eventi naturali a fare la differenza nel conto finale dei danni subiti e, spesso, anche nel numero di persone colpite.
Nel terremoto che nel 2008 colpì la regione del Sichuan, in Cina, persero la vita tantissimi bambini perché oltre 12mila scuole crollarono sotto i colpi del sisma.
Richiamando i dati del “Global Competitiveness Report 2015-2016” elaborato dal World Economic Forum, il rapporto dell’università di Stoccarda analizza quindi la qualità dei sistemi infrastrutturali nel mondo e riporta i dati della Banca Mondiale secondo i quali, da qui al 2020, ogni anno sarebbe necessario un investimento extra di 1,5 trilioni di dollari per adeguare i sistemi infrastrutturali dei paesi a basso e medio reddito. In Africa, ad esempio, ci sono solo 65 chilometri di strade asfaltate ogni 100.000 abitanti, contro gli 832 chilometri dell’Europa e i 552 chilometri delle Americhe.
Le conclusioni del rapporto si concentrano quindi sulla qualità delle infrastrutture, in particolare su quella delle infrastrutture critiche, quelle che hanno un’importanza strategica per il loro impatto sul territorio. «Il termine infrastruttura critica – spiega il Rapporto – è infatti utilizzato proprio per enfatizzare questi colli di bottiglia e questi effetti secondari, dal momento che lo stato di singole infrastrutture può avere un’importanza strategica per il funzionamento di sistemi molto più vasti».
Da qui la necessità di investire sull’ammodernamento di queste infrastrutture, individuando gli interventi strategici per uno stato e puntando su questi per ridurre al massimo il rischio. Il fattore di rischio – ribadisce il WorldRiskReport – aumenta infatti non solo in base alla portata dell’evento naturale, ma anche in funzione delle carenze delle opere infrastrutturali. La loro qualità e la loro modernità è forse uno degli argini più importanti per ridurre al massimo l’impatto economico negativo di questi eventi, ma soprattutto il costo pagato dalla collettività in termini di vite umane.