Come saranno le città del futuro? Sostenibili e sensibili, in quanto costruite per adattarsi ai bisogni attuali e futuri delle persone, e capaci di utilizzare i dati messi a disposizione dalle tecnologie per migliorare la vita dei cittadini.
È questa l’idea di Carlo Ratti, architetto, ingegnere, esperto delle nuove tecnologie applicate all’urbanistica. Per spiegarla il direttore del Senseable City Lab presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Boston è intervenuto martedì 20 novembre al Workshop internazionale dal titolo “Flexible Cities. Advancing Australia”, organizzato da Salini Impregilo in collaborazione con l’University of Technology Sydney - UTS. Al centro dell’incontro, nel corso del quale è stato presentato il rapporto realizzato da Economist Intelligence Unit (“Flexible Cities. The Future of Australian Infrastructure”), il modello Australia che può rappresentare un esempio di sviluppo urbano flessibile e sostenibile.
Un tema che Carlo Ratti approfondisce in questa intervista esclusiva rilasciata a “We Build Value”.
Sydney, Melbourne, Brisbane, Perth: alcune delle principali città australiane sono al centro di importanti progetti di rilancio urbanistico. Qual è il modello di sviluppo che questi centri urbani stanno sperimentando?
«Non credo che ci sia un unico modello. La grande domanda è: quale scenario seguire, quello di un’espansione orizzontale – che porterebbe al consumo di greenfield (territori vergini) – o quello di un’espansione verticale, aumentando dunque la densità urbana. Personalmente tendo a preferire questa seconda opzione.
Tra i tanti modelli, mi piace citare come esempio virtuoso quello di Melbourne, basato sull’aumento della densità abitativa. Negli anni ’80, il centro della città era molto trasandato e c’era un grande bisogno di voltare pagina. Fu proprio il mio amico Rob Adams, che aveva vissuto in Sud Africa e poi era diventato Architetto Capo della città australiana, che mise in atto una diversa strategia urbana, che, in pochi anni, sarebbe stata in grado di ribaltare la situazione. L’idea era fare in modo che i residenti ritornassero a vivere nel centro, usando la maggiore densità urbana come motore per una rinascita. In aggiunta a questo, un nuovo sistema di trasporti, giardini e aree pubbliche ha contribuito a trasformare radicalmente le dinamiche di interazione, facendo di Melbourne quella città che è oggi, sempre in cima alle classifiche mondiali sulla qualità della vita».
Gran parte degli investimenti nelle infrastrutture in Australia, tanto da fondi federali quanto da fondi statali, sembrano indirizzati al trasporto su ferro. Metropolitane, prima di tutto, e treni leggeri. È questa la strada per rendere le metropoli sostenibili?
«Credo che andremo verso una diversificazione dei mezzi di trasporto, facilitata anche da un uso sempre più crescente dei dati. I dati digitali possono infatti consentire alle persone di scegliere da un ampio "portfolio di trasporto", un menù di opzioni basato su informazioni in tempo reale: la libertà di scegliere tra andare in bicicletta, condividere una macchina, camminare, prendere un taxi su richiesta, usare la metropolitana o il treno e fare l'autostop con gli amici. In questo nuovo scenario, investire nel trasporto su ferro è certamente importante».
L’esempio di Parigi, dove è in corso la realizzazione del Grand Paris Express (il più grande progetto di mobilità sostenibile al mondo), sembra confermare questa tendenza. Il caso della capitale francese ci dice che anche le grandi città europee possono avere una loro rete di trasporto metropolitano capillare ed efficiente?
«Certamente. Credo sia tempo di scoraggiare l’uso dell’auto privata, a favore di modelli di mobilità più sostenibili, dal car/bike sharing, all’uso dei trasporti pubblici, e un domani non troppo lontano l’auto a guida autonoma, anche condivisa».
In che modo la tecnologia e le nuove scoperte possono migliorare la qualità dei servizi di trasporto nelle grandi città. Ci può fare qualche esempio?
«Pensiamo alle auto a guida autonoma. Il beneficio che porteranno non sarà tanto legato al fatto che non saremo più obbligati a tenere le mani incollate al volante ma soprattutto all’impatto che avranno sull’infrastruttura stradale. Un’auto che si guida da sola funzionerà infatti in modo diverso: dopo averci portato al lavoro la mattina potrebbe rimettersi di nuovo in strada, per dare un passaggio a nostro figlio, al figlio del vicino, o a chiunque altro in città. Si creerebbe, insomma, un sistema ibrido a metà tra trasporto pubblico e privato, che permetterebbe teoricamente di ridurre il numero di veicoli in circolazione.
Cambiamenti simili potrebbero interessare anche le aree parcheggio. In uno studio sviluppato dal nostro laboratorio del MIT di Boston a partire dai dati della città di Singapore - uno dei luoghi oggi all’avanguardia nel campo della mobilità - abbiamo osservato che, in uno scenario con automobili autonome, lo spazio destinato ai parcheggi potrebbe diminuire fino al 70 per cento, mutando il panorama metropolitano. Immaginiamo se ogni parcheggio non più necessario potesse ospitare un albero o un piccolo giardino. O se la strada stessa potesse cambiare configurazione a seconda dell’uso: pochi mesi fa, ad esempio, con lo studio CRA abbiamo lavorato con SideWalk Labs (azienda del gruppo Google) per sviluppare a Toronto un progetto di strade con pavimentazione auto-riconfigurabile, in cui una stessa porzione della carreggiata potrà cambiare funzione in una stessa giornata: corsia per pendolari alla mattina, area pedonale alla sera».
Uber sta testando l’utilizzo di macchine volanti per il trasporto dei clienti. Soluzioni di questo genere potranno mai essere adottate nei centri urbani?
«Devo essere sincero, anche se gli oggetti volanti popolano i cieli di molte visioni fantascientifiche - a partire da quelli della "Metropolis" ritratta al cinema da Fritz Lang negli anni Venti - non credo che le macchine volanti rappresentino una credibile alternativa nel futuro della mobilità. Ci sono infatti molte limitazioni, a partire dalle leggi della fisica: per tenere a mezz’aria una persona di 60 o 70 chilogrammi è necessario spostare una grandissima quantità d’aria. Per questo gli elicotteri sono così rumorosi e consumano così tanto… Ne bastano una decina in volo per rendere invivibile il centro di una città… immaginiamo il rumore, e persino il pericolo, se dovessero diventare decine o centinaia di migliaia».
Se è vero che il futuro del nostro pianeta si giocherà nelle città, come saranno le città del futuro?
«Dovranno per forza essere più sostenibili. Le città hanno un grande impatto su scala globale. Direi che sono 4 i numeri che ne caratterizzano l'importanza: 2-5-75-80. Al livello globale, le città costituiscono il 2% della superficie terrestre ma accolgono il 50% della popolazione e sono responsabili per il 75% del consumo energetico e per l'80% delle emissioni di CO2. Se le miglioriamo, anche solo leggermente, possiamo avere un grande impatto sull'intero pianeta.
Da questo punto di vista le nuove tecnologie ci permettono di usare meglio le infrastrutture esistenti, attraverso la condivisione. Oggi, in media, una macchina viene tenuta in movimento soltanto per il 5% del tempo. Il restante 95% invece è inutilizzata, parcheggiata da qualche parte. Se, come accennavo prima, le auto a guida autonoma aumentassero la domanda di condivisione potremmo creare sistemi urbani più sostenibili».
In che modo la grande quantità di dati che viene prodotta in una città può essere utilizzata per migliorare la vita dei cittadini?
«Avviene già oggi. Usando i dati dei telefoni cellulari ad esempio possiamo sapere le condizioni del traffico in tempo reale. Qualcosa che avevamo sperimentato in anteprima in Italia con TIM e il nostro progetto Real Time Rome, nel lontano 2006. Era stato il primo pilota al mondo in cui dati provenienti dalle reti di telecomunicazione venivano usati su grande scala e in modo condiviso per capire meglio una città – nel caso specifico, Roma.
Oggi quegli stessi dati, con algoritmi simili, ci permettono di vedere su Google Maps quali strade sono intasate e quali no – e di cambiare di conseguenza i nostri percorsi in tempo reale. Ecco in futuro io credo che grazie ai dati avremo molti più “feedback loop” di questo tipo, che ci permetteranno di prendere decisioni rapide su come vivere meglio.
Un’ultima riflessione: quello di comprendere meglio i flussi è un vecchio sogno dell’architettura. Ildefonso Cerdà, il padre della moderna Barcellona, era uno dei molti che sognavano un urbanismo più quantitativo: “La costruzione delle città […] diventerà a breve una vera e propria scienza.” Oggi, con la diffusione di reti, sensori e strumenti elettronici come il cellulare, moltissimo sta cambiando nella nostra comprensione dinamica della metropoli».
Qual è il progetto di sviluppo urbano attualmente in corso nel mondo che più l’appassiona?
«Quello che sto seguendo più da vicino: il piano di trasformazione dell'ex sito Expo 2015 di Milano, da cui nascerà MIND-Milano Innovation District. Il nostro studio di progettazione Carlo Ratti Associati sta lavorando con Lendlease. Al confine tra Rho e Milano nascerà un grande quartiere che ospiterà centri di ricerca e dell’innovazione, che si concentreranno intorno a un parco lineare tra i più estesi d'Europa. Sarà anche il primo quartiere progettato per automobili senza guidatore».