«L’energia pulita e le infrastrutture per produrla sono l’unica chiave per risolvere il problema del cambiamento climatico insieme al cosiddetto sequestro degli agenti inquinanti. Parliamo di un campo in grande espansione, che richiede però una pianificazione accurata e soprattutto una implementazione sostenibile a livello globale».
La conferma dell’importanza delle energie pulite nella battaglia contro i cambiamenti climatici arriva da chi dell’atmosfera ne conosce praticamente ogni singola particella. O quasi. La ricercatrice della Nasa Antonia Gambacorta ha vinto quest’anno il prestigioso “Nasa Goddard for Outstanding Science”, il premio assegnato ogni anno dall’Agenzia spaziale statunitense agli scienziati che si sono distinti nella ricerca scientifica.
Il “Nasa Goddard 2023” è stato infatti consegnato nelle mani della ricercatrice italiana che da oltre vent’anni vive e lavora negli Stati Uniti proprio per le sue scoperte sull’atmosfera e in particolare per aver scritto un nuovo capitolo sul libro della scienza nel settore delle tecniche di rilevamento a infrarossi e microonde oltre che nei metodi per il recupero della temperatura e dei costituenti atmosferici. In sostanza, l’analisi dettagliatissima dell’atmosfera terrestre per capire e prevedere l’impatto dei cambiamenti climatici.
«Questo premio – racconta nell’intervista rilasciata a We Build Value – significa tantissimo per me, ma anche per la mia famiglia e tutti gli amici che hanno sostenuto la mia decisione di venire in America, e che mi hanno accompagnato durante questo cammino».
Studiare l’atmosfera significa analizzare nel dettaglio l’origine di quei fattori inquinanti che poi sono alla base dei gravissimi shock climatici degli ultimi anni.
«Il problema – spiega la ricercatrice della Nasa – è l’intensificazione degli eventi estremi e anche la ripetizione più frequente di questi eventi. L’avevamo previsto e forse adesso iniziamo anche a sentirlo sulla nostra pelle. Si studia la terra in maniera globale perché tutti gli elementi sono collegati e influenzano questo strato sottile dell’atmosfera dove noi viviamo».
Perché le è stato assegnato questo premio?
«Il premio è il risultato di ricerche fatte in un ambito nuovo che apre a grandi aspettative nel campo del monitoraggio atmosferico. Uno strumento che ci permetterà di osservare l’atmosfera con una risoluzione molto più elevata di quella che possiamo ottenere dagli strumenti attuali. Questo è un impegno per capire sempre di più e sempre meglio l’evoluzione del nostro clima».
Come funziona questo strumento?
«Il punto di partenza è quello di studiare le proprietà atmosferiche a livello globale tramite l’utilizzo di satelliti. Sui satelliti sono presenti sensori che misurano il segnale che la terra emette nel processo di raffreddamento dopo aver ricevuto energia dal sole. La terra è come tutti noi, un corpo che suda. Se ci sono degli elementi intorno che funzionano da coperta (come ad esempio l’anidride carbonica N.D.R.) si suda di più quindi la temperatura aumenta.
Questo è importante perché avere una conoscenza profonda dei processi che avvengono in atmosfera serve ad avere una capacità di analizzare come sta cambiando il clima attuale e prevedere quali saranno le condizioni fra 100 anni, 200 anni».
Come è maturata la decisione di trasferirsi negli Stati Uniti per seguire la sua passione per la ricerca?
«La scelta di andare a lavorare negli Stati Uniti è stata quasi improvvisa. Sono andata a fare la tesi di laurea presso il Dipartimento di Fisica dell’Atmosfera all’Università Federico II di Napoli con il professor Spinelli dove ho fatto questa tesi di ricerca che poi mi ha messo in contatto con la Nasa Goddard per continuare con un dottorato di ricerca. Sono partita nel luglio del 2002 e sono arrivata qui nel Maryland per iniziare questo programma di ricerca. Non dimenticherò mai il primo giorno in cui sono entrata dal cancello della Nasa. Ero molto intimidita perché la Nasa porta un certo carico di attese. Ma già all’entrata ho fatto il mio primo incontro con la cultura americana che invece ti abbraccia».
Quanto impegno e dedizione ci vogliono nella ricerca scientifica?
«Fare un’attività di ricerca richiede tanto impegno, ma richiede anche tanto sostegno per andare avanti, per crederci. Il bello di fare ricerca scientifica è quello di esaminare i percorsi, capire e a volte rendersi conto di aver fatto anche degli errori, ma a volte è meglio fare degli errori occasionali, piuttosto che prendere delle decisioni occasionali».
Lei è un’eminente ricercatrice. Esiste a suo avviso una questione aperta che riguarda le donne in STEM, impegnate nelle discipline scientifiche?
«La questione delle donne nel mio campo, nel campo scientifico e tecnologico, delle donne in STEM, è una questione globale. È una questione che ci porta a ragionare su una necessità, quella di vivere, di accettare le diversità perché adesso facciamo parte di una società più veloce e che ha molte più richieste e il problema della separazione di genere appartiene a una società sorpassata.
Bisogna forse parlare di equità dove per equità si intende il rispetto delle proprie differenze e quindi la possibilità di garantire a tutti accesso alle stesse risorse, in base alle proprie differenze».
Che consiglio darebbe a un giovane che sogna di lavorare nelle discipline scientifiche?
«A un giovane che voglia intraprendere questa carriera, la carriera del ricercatore scientifico, dello scienziato, dell’ingegnere, consiglio di avere tanta curiosità. La natura umana eccelle quando è sé stessa senza paura, e quindi essere un ricercatore significa anche ricercare la ricerca degli altri. È un elemento molto, molto importante. Il consiglio più importante rimane comunque quello di essere coraggiosi, di intraprendere questo cammino e avere voglia di continuare a imparare fino alla fine».