Considerate le difficoltà che le politiche monetarie di molte banche centrali hanno incontrato nel tentativo di far uscire dalla stagnazione l’economia mondiale, quali altre iniziative sarebbero necessarie? Pensa che investire nelle infrastrutture sia utile?
«La politica monetaria è uno strumento essenziale per la macroeconomia, ma non è sufficiente per affrontare i problemi che le principali economie del mondo stanno affrontando. Dallo scoppio nel 2008 della Grande crisi finanziaria, la maggior parte dei governi del mondo industrializzato ha fatto un uso troppo contenuto delle politiche fiscali. La teoria e l’esperienza ci dicono che l’uscita da un serio crollo economico può essere agevolata da politiche fiscali espansive, e ancora oggi solo una manciata di Paesi ha fatto un uso sostanziale di questi strumenti.
In aggiunta, gran parte della corrente stagnazione è dovuta all’impatto continuato di un grande accumulo di debito, un accumulo di debiti discutibili. Questa quantità di debito vincola i consumi dei proprietari di abitazioni indebitati, gli investimenti da parte di aziende indebitate, e i prestiti da istituzioni finanziarie che sono sovraesposte.
Una ristrutturazione del debito più sistematica aiuterebbe tanti debitori come i creditori nel tentativo di alleviare l’onere di indebitamento e ridurre questa grande quantità di debito».
Alcuni Paesi occidentali, a cominciare dalla Germania, hanno annunciato piani per aumentare gli investimenti nei trasporti. È un segnale che i governi stanno tornando a puntare su politiche espansive con investimenti infrastrutturali?
«Se le promesse saranno trasformate in fatti, sarà sicuramente un passo in avanti. Ma ci sono due aspetti su questo punto. Il primo riguarda il lungo termine: le nostre società industriali hanno bisogno di investimenti importanti per rinnovare le loro infrastrutture vecchie e inadeguate. Nel breve termine, questi investimenti potrebbero stimolare le nostre economie, solo se non sono vincolati a restrizioni artificiali sul deficit spending.
I tassi di interesse sono a livelli storicamente molto bassi: non c’è ragione per cui i governi non dovrebbero prestare denaro al fine di realizzare investimenti importanti nel settore delle infrastrutture e dell’educazione, che contribuirebbero ad aumentare la produttività sociale».
Oltre al loro utilizzo diretto, qual è l’impatto delle infrastrutture nello sviluppo economico e sociale?
«Un’opera infrastrutturale ben progettata può trasformare un’intera economia. Se parliamo di un’infrastruttura di trasporto, ad esempio, può favorire l’integrazione abbassando i costi commerciali. Se si rende l’energia più accessibile ed economicamente disponibile, questo può portare a una serie di investimenti su attività economiche che si basano sull’energia.
L’infrastruttura è quindi il ponteggio essenziale sulla base del quale le altre attività economiche possono essere costruite.
Lo sviluppo degli Stati Uniti, per fare un esempio ovvio, ha richiesto la costruzione di canali, ferrovie, porti, e strade. Senza questi, la ricchezza di risorse naturali del Paese così come le terre agricole sarebbero rimaste inutilizzate, e il Paese non sarebbe mai entrato nell’economia mondiale».
Le banche multilaterali di sostegno allo sviluppo hanno ancora un ruolo nel finanziamento delle opere pubbliche?
«Sì, specialmente nei Paesi in via di sviluppo dove i governi hanno una straordinaria scarsità di fondi a disposizione. Per le nazioni industrializzate e i mercati emergenti, i governi nazionali saranno la fonte principale di finanziamento insieme ai mercati finanziari privati».
Quali Paesi hanno compreso meglio di altri la necessità di tornare a investire nell’economia reale?
«Non credo di aver ben chiaro quali Paesi abbiamo compreso questa necessità. Sicuramente sembra che il governo cinese sta dimostrando di essere interessato a fare investimenti sostanziali nelle infrastrutture, ma i risultati sono ancora tutti da vedere».
I termini di opportunità di business e di crescita economica, dov’è più conveniente investire?
«Se lo sapessi, non glielo direi! Seriamente, dipende soprattutto dal settore di interesse, dall’orizzonte temporale degli investitori, e da una serie di altri fattori».
Le difficoltà finanziarie di molti Paesi sembrano aumentare la necessità di avere finanziatori privati sostenere opere pubbliche. È d’accordo e, se così, crede che il ruolo dei privati aumenterà nel futuro?
«Assolutamente sì. Penso che in futuro l’implementazione dei principali progetti infrastrutturali passerà sempre di più attraverso le partnership pubblico-privato. Questo certamente porta con sé la speranza che si creino grandi opportunità per il settore privato soddisfacendo allo stesso tempo i bisogni pubblici».
Secondo PricewaterhouseCoopers (PwC), dal 2030 sette paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Messico, Russia, Indonesia e Turchia) sorpasseranno il Pil cumulato dei membri del G7. Questo cambiamento sarà anche accompagnato da uno spostamento di investimenti?
«La maturazione delle economie porta ad un cambiamento dei loro bisogni che è generalmente accompagnato dal passaggio dalla produzione manifatturiera e industriale verso l’export alla soddisfazione della domanda interna. Questo richiederà una riorganizzazione e un miglioramento delle infrastrutture interne sociali ed economiche, compresa la garanzia di livelli più elevati di sanità, disponibilità abitativa ed educazione».