L'ASCE ha più volte lanciato l’allarme per il cattivo stato delle infrastrutture degli Stati Uniti e per la necessità di investimenti. In che condizioni si trovano le strade, i ponti e le altre importanti strutture del Paese?
«L’Asce pubblica l’American Infrastructure Report Card dal 1998 e diamo dei voti a 16 categorie di infrastrutture. Il Rapporto del 2013, il più recente, parla di una media di D+. Questa categoria definisce le infrastrutture in cattivo stato e a rischio, la maggior parte sotto gli standard e in molti casi giunte alla fine del loro ciclo di vita».
Per dare una risposta al problema quale crede sia l’investimento più urgente da mettere in campo?
«Anche in questo caso facendo riferimento al rapporto, il voto peggiore va alle vie d’acqua interne al Paese e agli argini che raggiungono solo D-, ma anche altre categorie hanno preso una D, come le strade, gli aeroporti e i trasporti pubblici. In generale i problemi più importanti sono all’interno dei trasporti».
Quanti investimenti servono per colmare queste lacune e iniziare un New Deal per le infrastrutture negli Stati Uniti?
«Entro il 2020 servono investimenti per 3.600 miliardi di dollari e pensiamo che 2.000 miliardi siano già stati stanziati. Per questo motivo devono essere investiti altri 1.600 miliardi di dollari».
Continuando a parlare di investimenti, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato un piano ambizioso che prevede un investimento di 1.000 miliardi in infrastrutture. Cosa ne pensa?
«Di sicuro 1.000 miliardi di dollari in dieci anni rappresentano un passo nella giusta direzione, si tratta di un investimento importante ed entrambi i candidati hanno detto che avrebbero voluto fare qualcosa per le infrastrutture. Il presidente Trump ha parlato più volte di questo tema, anche nel corso del suo discorso di insediamento. Ovviamente bisogna ricordare che in un piano così grande il diavolo sta nei dettagli. Ma sì, 1.000 miliardi di dollari sono un passo nella giusta direzione».
Il piano di Trump vuole usare sia fondi statali che capitali privati. Secondo lei tratta di una strada percorribile?
«Crediamo che le collaborazioni tra pubblico e privato siano un importante strumento a nostra disposizione e un modo per finanziare le infrastrutture. Non crediamo tuttavia che debba essere il solo perché è importante che ci siano anche altri investimenti federali e da parte dei singoli Stati. Il Presidente ha detto che proporrà degli sgravi fiscali agli investitori che metteranno il loro denaro. Questa decisione potrebbe diffondere ancora di più la collaborazione tra pubblico e privato. Inoltre abbiamo già visto che è un sistema che funziona, per esempio qui in Virginia abbiamo una collaborazione di successo tra il settore pubblico e quello privato. Infine le persone che usano le infrastrutture le devono pagare con le tasse o con altri strumenti, perché quando hai una collaborazione pubblico-privato servono dei ritorni per gli investimenti fatti, quindi bisogna pagare per le infrastrutture».
Qual è l’impatto di questi investimenti sul Paese, sia in termini di posti di lavoro che per l’economia?
«Il presidente Trump ha parlato di 13 milioni di posti di lavoro in dieci anni e il suo annuncio sottolinea il fatto che le infrastrutture non sono spese ma investimenti con un ritorno significativo. Fanno risparmiare denaro ai cittadini americani, circa 3400 dollari l’anno a famiglia, questo perché passiamo tempo nel traffico, ci sono blackout energetici e perdite d’acqua. Le nostre proiezioni parlano di 2,5 milioni di posti di lavoro entro il 2025, crediamo che possiamo avere un’importante crescita del nostro Pil, pensiamo infatti che possa salire al 3,9% entro il 2025, sempre facendo riferimento ai numeri che abbiamo. Alla fine, dal nostro punto di vista, investire in infrastrutture è fondamentale per l’economia globale e per il successo dell’America».
I singoli Stati sono già molto indebitati. Da dove crede arriveranno i fondi?
«Credo che i fondi arriveranno sia dal governo federale che dalle istituzioni locali. Una delle possibilità è la collaborazione tra pubblico e privato. Nel settore dei trasporti da tempo ci battiamo per un aumento della tassa federale sulla benzina, che è ferma a 18,6 centesimi al gallone e che non viene aumentata dal 1993. Negli ultimi quattro anni 19 Stati hanno deciso di aumentare la loro tassa sul carburante, e ho letto un articolo in cui si sostiene che almeno 21 Stati stiano considerando la possibilità di alzarla in futuro. Si tratta di una delle soluzioni più semplici, veloci e trasparenti per trovare fondi sostenibili sul lungo termine per i trasporti».
L’ASCE parla spesso anche di innovazione. Quale ruolo ha nella strada per arrivare a uno sviluppo sostenibile?
«Crediamo che l’innovazione sia assolutamente importante nella soluzione di questi problemi, insieme a sostenibilità e flessibilità. Le infrastrutture che costruiamo oggi avranno un impatto per i prossimi 50 anni e oltre. Oggi abbiamo più innovazione e tecnologia rispetto a quanto ne avessimo 100 anni fa, quando sono state pensate alcune delle infrastrutture che usiamo ancora oggi. Le nuove tecnologie ci danno la possibilità di ridurre i costi, ma per averle prima dobbiamo investire».