Innovativi e sostenibili, i materiali del futuro secondo la “unstoppable woman” della scienza

Intervista alla professoressa Elza Bontempi, tra le ricercatrici più autorevoli al mondo secondo Stanford University.

Legno, nuovi tipi di metallo, plastiche rivisitate, perfino la canapa e il micelio (l’apparato vegetativo dei funghi). I materiali di costruzione del prossimo futuro cambieranno il mondo delle grandi opere e lo faranno in nome della durabilità e della sostenibilità. Esperimenti che sono all’ordine del giorno nei grandi cantieri, come quelli del Gruppo Webuild, al lavoro su miscele green di calcestruzzo e su altre soluzioni in grado di assicurare risultati importanti come nel caso dei green building di nuova generazione con cui l’impatto ambientale viene ridotto del 30%.

«Studiare i materiali utilizzati nella costruzione di grandi opere – spiega Elza Bontempi, professoressa ordinaria di Fondamenti Chimici delle Tecnologie all’Università degli Studi di Brescia – significa guardare alla sostenibilità come pilastro fondamentale che, insieme alla durevolezza e alle prestazioni, può garantire non solo la riduzione dell’impatto ambientale dell’opera stessa ma anche migliorarne l’efficienza energetica e le prestazioni».

La Bontempi, impegnata in prima linea su questo fronte, è tra le voci più importanti del settore delle costruzioni; a tal punto che la Stanford University l’ha collocata nel 2024, per il quarto anno consecutivo, tra il 2% dei ricercatori più autorevoli al mondo. Bontempi fa parte anche delle “Unstoppable Women”, le innovatrici italiane che guidano il cambiamento secondo il magazine a tema innovazione Sturtupitalia.com.

Come è cambiato il mondo dei materiali negli ultimi 20 anni?

«Nella storia, le innovazioni in generale procedono di pari passo con l’introduzione di nuovi materiali. Molte epoche hanno preso il nome dai materiali che le hanno caratterizzate, (l’età della pietra, del ferro, l’età del rame e quella del bronzo). In tempi a noi più vicini possiamo anche ricordare “l’età del silicio” e “l’età della plastica”. Negli ultimi 20 anni il mondo dei materiali ha subito trasformazioni significative, sempre più sinergiche con l’innovazione tecnologica, guidate dalle nuove esigenze ambientali e dalle sfide globali. Ma c’è anche da dire che ora siamo di fronte a una crisi di disponibilità delle materie prime, proprio per l’eccessivo utilizzo che ne abbiamo fatto in questi ultimi anni; tant’è che per alcune di loro siamo a rischio approvvigionamento. Il paradigma, insomma, è cambiato: non c’è più la dipendenza da un singolo materiale ma da tanti, e di cui facciamo un alto consumo ma che va necessariamente ridotto, altrimenti la sostenibilità per le generazioni future sarà problematica».

Quali sono i materiali di costruzione del futuro nel mondo delle grandi infrastrutture?

«Ci sono molti materiali utili per costruire in modo sostenibile e per il risparmio energetico. Ad esempio, il calcestruzzo – che è il materiale più consumato al mondo dopo l’acqua – può essere sostituito da materiali con minore impronta di carbonio. Un’altra interessante novità è la possibilità di impiegare materiali che derivano dal riutilizzo dei rifiuti, sequestrano la CO2 e possono avere un grande vantaggio dal punto di vista delle prestazioni funzionali ma anche energetico/ambientali. Una delle principali novità è l’introduzione del Passaporto Digitale dei prodotti da costruzione, che servirà a tracciare le caratteristiche ambientali e tecniche dei materiali. Questo sistema faciliterà l’identificazione e la gestione dei materiali riciclati, contribuendo a promuovere pratiche più sostenibili nel settore».

I materiali di costruzione quindi possono davvero cambiare l’impatto ambientale di una ferrovia, di un’autostrada o di un ponte?

«Sicuramente i materiali innovativi possono offrire diverse opportunità per ridurre l’impatto ambientale e migliorare l’efficienza energetica e la durata delle infrastrutture. Nel caso delle grandi opere l’idea del riciclo dei metalli è già una realtà, ma anche i rifiuti da demolizione sono un problema che le aziende produttrici stanno cercando di risolvere verificando la possibilità che possano essere reimpiegati. Ci sono poi materiali innovativi ad elevate prestazioni, come i compositi con fibre di carbonio, che offrono una grande resistenza e, di conseguenza, un aumento delle prestazioni in termini sia di leggerezza sia di resistenza meccanica. E poi i materiali pensati per resistere all’usura e i cosiddetti materiali intelligenti, ovvero quelli in grado di auto ripararsi.

A parte il materiale in sé, anche una progettazione modulare può essere utile per far sì che la vita di un’infrastruttura possa essere lunga. Se ad esempio un materiale perde di caratteristiche o ha problemi di corrosione e deve essere cambiato velocemente, deve poter essere smontato e rimontato in modo facile. Ci sono poi i materiali per l’efficienza energetica, soprattutto in ambito acustico e termico, che derivano “dalla natura”. Infatti, cominciano a essere utilizzati materiali che favoriscono la crescita di vegetazione riducendo innanzitutto l’impatto visivo, ma anche la temperatura all’interno degli ambienti e migliorando la qualità dell’aria e quindi diminuendo l’inquinamento atmosferico. Questi materiali di costruzione innovativi e sostenibili sono molto importanti per le grandi infrastrutture, non solo per ridurre l’impatto ambientale ma anche per migliorare il ciclo di vita, la performance, l’efficienza energetica, la resilienza e la longevità delle infrastrutture stesse».

Utilizzando materiali sostenibili nelle costruzioni, come si calcola il loro reale impatto sulla riduzione CO2?

«L’impatto è misurabile non solo per le emissioni di CO2, ma anche per il livello di inquinamento acustico, visivo e termico. Per questo il termine sostenibilità è molto complesso e contiene al suo interno diverse sfaccettature. Per essere sostenibili, infatti, i materiali di costruzione devono avere differenti caratteristiche lungo tutto il ciclo di vita, dalle fasi di estrazione delle materie prime alla produzione, lo smaltimento, il riciclo e anche il trasporto».

Quali sono le proprietà che i materiali di costruzione devono avere per essere considerati sostenibili?

«I parametri da valutare sono diversi. Anzitutto i materiali devono essere ottenuti con limitato utilizzo di risorse e ridotte emissioni di CO2. Inoltre devono essere riciclabili o anche riutilizzabili. Per essere sostenibile un materiale deve avere anche una lunga durabilità, la cui definizione ovviamente dipende dal tipo di materiale utilizzato. Se parliamo di infrastrutture i materiali devono resistere agli agenti atmosferici per lunghi periodi prima di essere sostituiti; poi devono essere sicuri, quindi contribuire alla capacità di resistenza al fuoco, e non devono rilasciare sostanze tossiche. Inoltre, dobbiamo considerare l’efficienza energetica e la capacità di isolamento, sia in termini di ridotte dispersioni termiche in inverno sia di raffreddamento in estate. I materiali sostenibili devono garantire un impatto ridotto sul suolo e sulla biodiversità. Nella definizione di sostenibilità c’è poi una parte relativa al trasporto; quindi, sarebbe importante che i materiali non provenissero da località troppo lontane».

Cosa vuol dire per lei essere tra le ricercatrici di riferimento nel settore dei Materiali e una delle donne italiane che guidano il cambiamento?

«Sono grata di essere stata inserita in questi contesti perché rappresentano un importante riconoscimento per il lavoro che ho fatto in questi anni e per l’impegno che ho profuso nelle attività di ricerca. Però vivo tutto questo anche come una responsabilità verso le nuove generazioni, in particolare verso le giovani donne, perché un tipo di carriera del genere può ispirare e motivare le ragazze a intraprendere percorsi STEM come il mio. Sappiamo che in Italia – ma non solo – c’è ancora poca presenza femminile negli studi di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica Vorrei quindi che il mio esempio possa servire a dimostrare che, con passione e dedizione, è possibile superare qualsiasi barriera e ottenere risultati significativi in ambiti complessi e tradizionalmente dominati dagli uomini».

Quanto pesa il gender gap nelle discipline STEM?

«Sicuramente il gender gap c’è, in Italia come in altri paesi dove può essere più o meno evidente. In ogni caso però è importante parlarne e cercare di portare questo discorso sempre più all’attenzione dell’opinione pubblica. Se parliamo di segregazione orizzontale, riferendosi quindi a disparità nella partecipazione di uomini e donne nelle discipline STEM, nonostante alcuni progressi, le donne sono ancora sottorappresentate, ma c’è una tendenza al miglioramento. Mentre nella segregazione verticale, quindi se pensiamo agli ambiti di carriera a più alto livello, purtroppo c’è ancora una disparità molto forte, per cui trovare leadership femminili a livelli dirigenziali è molto difficile. Questo è un vero peccato perché così si perdono talenti che potrebbero dare, invece, un contributo importante».