Il Presidente Xi Jinping e il “Piano Marshall cinese”
Recentemente nominato per un secondo mandato quinquennale alla guida del Partito Comunista Cinese, il Presidente Xi Jinping è stato descritto dalla rivista The Economist come l’uomo più potente al mondo. Il suo obiettivo è lasciare un’eredità unica e di lungo periodo, attraverso due iniziative correlate: il sogno di trasformare la Cina in una “moderna potenza socialista” entro il 2050 e la Belt and Road Initiative (BRI) per promuovere il commercio e gli investimenti internazionali e sviluppare un collegamento nei trasporti che riporti alla luce l’antica Via della Seta (leggi l’articolo sulla Nuova via della Seta).
Conosciuto da molti come il Piano Marshall cinese, la BRI coinvolge 65 paesi, copre oltre due terzi della popolazione mondiale e per questo è il più ambizioso programma di geo-economia della storia recente, specialmente in un momento in cui gli Stati Uniti sembrano meno attivi sul fronte globale.
Il progetto include la realizzazione di opere che favoriscano il commercio, ma anche partnership culturali con università e programmi destinati a facilitare lo scambio di talenti. Ma il cuore dell’iniziativa rimangono le infrastrutture fisiche: strade, ferrovie, porti, impianti energetici, gasdotti. Per questo genere di infrastrutture, i cinesi sono pronti a mettere sul piatto investimenti massicci e ad oggi il totale delle risorse che verranno stanziate sembra destinato a raggiungere i 4 trilioni di dollari americani.
Infrastrutture per la crescita: la nuova Via della Seta
Lungi dall’essere casuale, il focus sulle infrastrutture risponde ad una strategia di lungo periodo, collegata allo straordinario sviluppo cinese iniziato nel 1979 e accellerata ancora più vigorosamente dal 2001 dopo l’ingresso della Cina nella World Trade Organization.
La teoria che, nella letteratura economica e politica, si aggancia a questa esperienza è che un elevato livello di investimenti infrastrutturali anticipa e sostiene la crescita. Secondo la maggior parte degli esperti (ad eccezione di alcuni economisti di Oxford), la Cina è sotto questo punto di vista un modello da emulare e non sorprende pertanto che abbia deciso di investire risorse ingenti all’estero in un progetto di grandi infrastrutture, come la Belt and Road Initiative.
In soli quattro anni (la BRI è stata presentata ad Astana e Giacarta nel 2013), la Cina ha conquistato il ruolo di più grande investitore nell’area euroasiatica anche se, come dimostra il progetto Reconnecting Asia, realizzato dal Center for Strategic and International Studies, ci sono altri attori. Nel Sud Est Asiatico la competizione più accesa è con il Giappone, che in molti paesi sta investendo perfino più della Cina.
In Asia Centrale hanno un ruolo importante la Asian Development Bank così come altre banche multilaterali di sviluppo, ma anche la stessa Turchia che, benché ancora in modo contenuto, comincia a farsi vedere.
Guardando invece ai Balcani, all’Europa dell’Est e all’Europa Centrale, progetti come l’acquisizione del porto del Pireo in Grecia e lo sviluppo della linea ferroviaria ad alta velocità Budapest-Belgrado stanno generando molta curiosità da parte di investitori e banche di sviluppo, anche se in Europa sono ancora i fondi europei, la European Investment Bank in primis, a mantenere una posizione dominante in molti paesi.
Numerosi progetti in via di realizzazione sono comunque co-finanziati dalla Cina o dalle banche di sviluppo multilaterali, che con i finanziamenti portano anche standard elevati tanto per la governance quanto per la tutela dell’ambiente.
Investimenti cinesi a Milano: la lista è lunga
La stessa Italia si sta posizionando al centro di quello che, parafrasando lo scrittore britannico Rudyard Kipling, potrebbe essere definitivo il “BRI Game”. Il Primo Ministro italiano Paolo Gentiloni è stato uno dei 30 leader (e l’unico rappresentante del G7) a partecipare al Forum BRI organizzato da Xi nel maggio scorso. Anche se in molte altre città europee sono presenti comunità cinesi più importanti, e in Italia città come Firenze e Venezia attraggono più turisti dalla Cina, Milano sta puntando ad avere un ruolo chiave nel richiamare investitori e imprenditori cinesi.
La lista degli investimenti cinesi a Milano è lunga e varia, e inizia con l’acquisizione nel 2015 da parte della ChemChina della Pirelli (che allora fu la più grande operazione cinese in Europa), per estendersi ad altre iniziative di investimento come quelle di Zhu Chong Yun nella casa di moda Krizia; di Fosun, che ha acquistato uno dei palazzi simbolo della città; di un gruppo guidato dalla Beijing Baofeng Technology, che ha preso il controllo di MP & Silva, la media company sportiva che gestisce i diritti della National Football League, della Formula 1 e della Premier League inglese.
La presenza cinese nel capoluogo lombardo è ormai molto diffusa, tanto che perfino nei servizi di bike-sharing Milano è stata la prima città europea in cui sono presenti due aziende cinesi, la Mobike e la Ofo.
Tutto ciò non deve sorprendere: nel Chinese Dream del Presidente Xi c’è molto di più che acciaio e alluminio, petrolio e rame, e in questa direzione il ruolo dell’Italia e di Milano può essere veramente strategico.
Il 15 ottobre 2017 la partita di calcio tra Inter e Milan è stata significativa tanto per l’Italia quanto per la Cina, e certo non solo per l’esito del match (vinto dall’Inter con un gol all’ultimo minuto del giocatore argentino Mauro Icardi). Per la prima volta in 109 anni, infatti, il derby di Milano – uno dei più prestigiosi al mondo – è stato giocato da due team passati in mani straniere.
Le ragioni che hanno convinto il gruppo cinese Suning (proprietario anche del Jiangsu Suning nella China Super League) e il tycoon del real estate Li Yonghong a investire oltre 1 miliardo di dollari nei due club sono differenti, ma confermano che anche il calcio vuole giocare un ruolo nella realizzazione del sogno cinese in settori non tradizionali.
La visione di Xi (egli stesso un grande appassionato di calcio, tanto da farsi immortalare sorridente in un selfie con la stella del Manchester City Sergio Aguero) prevede che la Cina diventi una grande potenza globale in tutti i settori dell’economia e della società, non solo nell’industria.
Nel corso del 19° Congresso del Partito Comunista, Xi ha parlato di un paese dove i servizi ad alto valore aggiunto, come ad esempio l’intrattenimento, contribuiscono alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile, e di uno stato che sia capace di proiettare pacificamente la propria influenza attraverso un “soft power”, che passa anche per gli sport.
Investire nel football europeo, uno dei passatempi più popolari al mondo, è sicuramente uno strumento efficace per il governo cinese, al fine di consolidare un nuovo modello di sviluppo incentrato sui servizi, sui consumi e sui beni intangibili. Si parla di cifre importanti: secondo Deloitte Global, il calcio europeo ha generato nell’anno 2016/2017 ricavi per 30 miliardi di dollari, e questo al netto di tutto il merchandising acquistato dai fan prima e dopo gli eventi sportivi.
E il calcio rende sempre più tangibile il nuovo ruolo cruciale che Milano può giocare nelle intense (e magari a volte tese) relazioni della Cina con l’Europa.
La città offre quello che ancora manca alla Cina: non solo rappresenta la frontiera dell’innovazione, ma simboleggia anche l’eccellenza nel design e l’abilità di trasformare l’industria manifatturiera del XX secolo in una competitività basata sulla qualità e il lusso che sopravvive nel lungo periodo. Non bisogna dimenticare che Milano è all’avanguardia tecnologica anche per quanto riguarda Industria 4.0 e non a caso la Tsinghua University sta aprendo un laboratorio (il secondo fuori dalla Cina dopo quello di Seattle) in cooperazione con il Politecnico.
Questa collaborazione pragmatica potrà convertirsi in cooperazione win-win, come amano dire i cinesi, fondata sulla fiducia e sulla reciprocità?
Molto dipende da fattori che vanno oltre le mere considerazioni economiche e finanziarie. Se gli investitori cinesi avranno successo a Milano, una location sofisticata, allora potranno fugare i sospetti che siano solo interessati a fare business in modo veloce e speculativo, senza preoccuparsi troppo del rispetto delle regole e delle best practice globali.
In questo senso, la modalità con cui la ChemChina ha integrato le sue operazioni con la Pirelli, quotando alla Borsa di Milano il business primario, in un frangente in cui stavano contemporaneamente gestendo l’acquisizione di Sygenta, dimostra che le multinazionali cinesi stanno imparando velocemente ad operare in mercati per loro nuovi.
Se Milano e i milanesi apriranno le loro braccia ai cinesi, senza perdere di vista la propria identità e i propri interessi di lungo termine, la città italiana potrà rafforzare le sue ambizioni di diventare una metropoli globale all’estremità occidentale della Belt and Road Initiative. Per questo andranno ulteriormente migliorati i collegamenti e la connettività.