Dalle grandi infrastrutture alle nuove tecnologie: l’America gioca la sua sfida per il futuro sul rinnovamento delle sue eccellenze, il valore aggiunto che ha trasformato il Paese in una guida economica per il mondo.
Ne è convinto Joseph Nye, che negli anni ’80 ha coniato il concetto di soft power, che prevede un’espansione nel mondo degli stati dominanti attraverso la persuasione e la conquista culturale, piuttosto che attraverso l’uso della forza. Nel suo ultimo libro, Fine del secolo americano? (Il Mulino), sostiene che la leadership mondiale degli Stati Uniti non è ancora tramontata e che Washington continuerà a guidare il mondo per i decenni a venire.
Perché gli Stati Uniti continueranno a essere il paese guida a livello mondiale?
«Gli Stati Uniti sono la più grande economia globale con la migliore situazione demografica, energetica e con il più grande avanzamento tecnologico. Guardando l’economia americana, un’economia che vale 19.000 miliardi di dollari e che cresce di circa il 2% l’anno, ci si rende conto che gli Stati Uniti hanno una buona situazione demografica, questo significa che manterranno la loro posizione come terzo paese per popolazione al mondo, mentre altri stati stanno entrando in un declino demografico. Hanno inoltre ridotto la loro dipendenza dall’importazione di energia e si trovano al primo posto nello sviluppo tecnologico di questo secolo, nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie e nell’information technology. Inoltre 15 delle sue università sono tra le prime 20 migliori al mondo. Questi elementi di forza ci suggeriscono che gli Stati Uniti manterranno la loro posizione».
In alcune regioni da più fonti si indica che le infrastrutture americane sono datate e in cattive condizioni. Crede che una delle sfide del prossimo presidente americano sia anche quella di lanciare un piano di ricostruzione e modernizzazione?
«Gli investimenti nelle infrastrutture sono una delle poche aree in cui i due candidati sono concordi. Mi attendo investimenti dopo le elezioni, perché sia Clinton che Trump hanno parlato di aumentare il denaro stanziato nelle infrastrutture e in tutto questo c’è un forte consenso su questo tema. L’ex segretario al Tesoro, Larry Summers, si è speso su questi temi per diverso tempo. Infine credo sia una buona opportunità perché le infrastrutture sono così malconce e anche perché un loro rinnovamento è in linea con la situazione monetaria di questo periodo».
Crede che in futuro Cina e Russia possano seriamente mettere in crisi il primato americano?
«La Russia è molto pericolosa, ma è anche un paese in declino demografico e con problemi economici. La Cina invece sta continuando a crescere ma come sappiamo il suo tasso è già rallentato e rallenterà nei prossimi anni. A mio avviso non riuscirà a diventare più grande degli Stati Uniti nei prossimi decenni, come spiego nel mio libro Fine del secolo americano?. Si parla molto della crescita della Cina e del declino degli Stati Uniti. Con la crisi del 2008, le persone hanno detto, “questo è l’inizio della fine del potere dell’America”. Ma in realtà, la metafora del declino è stata spesso fuorviante. Nella storia recente, c’è stato un’alternanza di momenti in cui si credeva che gli Stati Uniti fossero in declino, almeno ogni 15 anni: nel 1957 con lo Sputnik, nel 1973 con l’embargo sul petrolio, negli anni ’80 con la transizione da un’economia basata sull’industria pesante a quella della Silicon Valley. Ma alla fine nessuna di queste visioni si è rivelata vera».
Come funziona il soft power nella politica americana oggi? Crede possa avere un ruolo nei complessi rapporti con i paesi asiatici e prevenire l’espansione cinese nella regione?
«Gli ultimi sondaggi sostengono che gli Stati Uniti facciano maggiore uso di soft power in Asia rispetto alla Cina. E per Pechino uno dei grandi problemi è proprio legato alle dispute territoriali con i suoi vicini, una questione che diminuisce di molto il suo soft power. L’India, il Giappone, il Vietnam e gli altri paesi asiatici vogliono dall’America una certezza politica per fronteggiare la crescita della Cina. È come se il Messico e il Canada fossero vicini ostili con gli Stati Uniti, cosa che in realtà non accade».
Crede che Stati Uniti e Europa riusciranno a firmare l’accordo TTIP che abbatte le barriere doganali tra le due aree più sviluppate del Pianeta? Crede sia un elemento positivo?
«Credo che sarebbe molto positivo se Stati Uniti ed Europa riuscissero a raggiungere un accorso commerciale che sia ampiamente accettato dall’opinione pubblica di entrambe le aree. Ma per ora, con i postumi del referendum in Europa (quello sulla Brexit, ndr.) e con le elezioni americane in arrivo, non credo che ci siano molte possibilità di un accordo in questo momento».
Molti analisti credono che il prossimo secolo sarà il secolo dell’Africa. Cosa ne pensa?
«L’Africa sta vedendo la più grande crescita demografica del mondo, ma per capire se questo è un elemento vincente o un ostacolo dipende dagli investimenti che saranno fatti in infrastrutture, risorse umane e stabilità politica».