I ponti americani, icone consegnate alla storia
Da uno Stato all’altro s’incontrano icone incastonate nelle cartoline, come lo Smithfield Street Bridge di Pittsburgh, in Pennsylvania, il primo ponte a traliccio negli Stati Uniti a utilizzare le capriate d’acciaio. Si tratta di un’infrastruttura ultracentenaria (1883) rinnovata e ampliata nel corso degli anni. O come il “Big Mac” o Mackinac Bridge, il ponte sospeso di 8 km che collega le due penisole dell’enorme lago Michigan, quasi ai confini col Canada. O il maestoso New River Gorge, sulle montagne appalachiane nella Virginia Occidentale, per molto tempo il ponte ad arco a campata più lunga del mondo e ancora oggi il terzo più alto in America.
La progettazione e la costruzione dei ponti conserva, inoltre, un ricco album di strutture “coperte”. Una categoria oggi abbandonata o, per lo più, entrata a far parte dei siti da preservare, senza più traffico di veicoli. Il Cataract Covered Bridge in Indiana, costruito nel 1876 è andato in pensione nel 2005, il Cornish-Windsor tra New Hampshire e Vermont, il Sachs in Pennsylvania e il Silk nel Vermont sono i campioni più noti di questa famiglia.
L’America concentra, soprattutto in Florida, la più vasta collezione al mondo di ponti e viadotti che si prolungano direttamente e completamente in mare per collegare le migliaia di strisce di sabbia diventate negli anni attraenti aree residenziali e mete turistiche, dalle coste del golfo del Messico a quelle dell’oceano Atlantico. In tutto, la Florida gestisce 12.355 ponti.
Si tratta di strutture che devono resistere all’impatto di tempeste tropicali o uragani. Il più antico di questi è il celebre Max Brewer Bridge che prende il nome dalla sua lunghezza e collega Miami alle Keys, formando una penisola artificiale che si prolunga verso il Mare Caraibico. Nato come ponte ferroviario, porta il 1912 come data di origine. Settant’anni dopo è stato completamente rimpiazzato e trasformato in una grande via di scorrimento per gli autoveicoli. Per lunghi tratti il nuovo ponte è accompagnato, a distanza parallela di un centinaio di metri, dalla vecchia struttura, oggi utilizzata, laddove possibile, da pedoni e ciclisti.
Il Seven Mile è il capostipite di una lunga serie di ponti altrettanto importanti e belli. La grande baia di Tampa, sulla costa del Golfo, ospita una vera e propria raggiera di attraversamenti artificiali sull’acqua ed espone uno dei ponti più eleganti costruiti negli Stati Uniti negli ultimi decenni, il Sunshine Skyway Bridge. In acciaio e cemento armato, lungo quasi sette chilometri, sale progressivamente per consentire il passaggio delle navi sotto la campata centrale.
Il reticolato di ponti e viadotti che si proiettano nella baia attribuisce al Sunshine Skyway un ruolo cruciale: l’altezza del ponte, infatti, determina l’accesso via mare alla terza città della Florida. Ma, con la realizzazione del nuovo canale di Panama, ultimata nel 2016 da un consorzio di costruttori europei guidato dal Gruppo Webuild, il traffico marittimo è cambiato e l’altezza centrale del Sunshine Skyway non consente il transito delle grandi navi mercantili e da crociera del tipo New Panamax.
La baia di Tampa non presenta i requisiti minimi di 50 piedi di pescaggio per le New Panamax e l’idea di renderla navigabile è stata a suo tempo accantonata. Dunque, quel ponte strallato costruito nel 1987, pur rappresentando una barriera all’ingresso delle grandi navi, non dovrebbe essere messo in discussione. Almeno per il momento.
La situazione è apparsa subito differente, invece, a Long Beach che, con 50 chilometri di lungomare, 10 moli, 66 gru New Panamax, era uno dei pochi porti statunitensi ad avere preparato fin dall’inizio ormeggi adeguatamente profondi per le navi giganti. Inoltre, il vecchio ponte Gerald Desmond non sosteneva più il livello di traffico di autoveicoli verso il porto, che insieme al gemello maggiore di Los Angeles gestisce il 37% dell’intero commercio via mare degli Stati Uniti.