Lo sviluppo economico e la crescita demografica che, nel corso degli anni Duemila, hanno caratterizzato molti stati dell’America Latina, stanno subendo oggi una battuta d’arresto e, per ricominciare a correre, hanno bisogno di nuovi investimenti nelle infrastrutture.
Il tema centrale, secondo la IDB, la Inter-American Development Bank, riguarda lo sviluppo energetico e impone alla regione di raddoppiare la capacità istallata di generazione elettrica entro il 2030, un obiettivo ambizioso che potrà essere raggiunto con un investimento di 430 miliardi di dollari.
L’analisi della Inter-American Development Bank, l’istituzione che dal 1959 sostiene finanziariamente una serie di progetti di sviluppo nella regione, conferma che una delle sfide più importanti dei prossimi anni ha come tema accendere l’America Latina; illuminarne le case, le strade, le fabbriche; mettere in moto gli stabilimenti industriali, le piccole aziende, il commercio. Uno sviluppo energetico che necessariamente dovrà seguire i principi della sostenibilità ambientale, quindi riducendo al massimo i combustibili classici e puntando su una produzione da fonti rinnovabili, a partire dall’acqua (attraverso la costruzione di nuove centrali idroelettriche), dal vento, dal sole e dalle biomasse.
La pila energetica del mondo
Come indica la IDB c’è ancora molto lavoro da fare per colmare il gap energetico, ma la strada intrapresa è quella giusta e la regione sembra destinata a diventare uno dei principali produttori al mondo di energie rinnovabili.
A certificarlo è anche l’International Renewable Energy Agency (Irena) nel suo recente rapporto dedicato proprio al mercato delle energie rinnovabili in America Latina. Il direttore generale dell’Agenzia Adnan Z. Amin, dichiara: «L’America Latina ospita alcuni dei mercati più dinamici in termini di energie rinnovabili, costruiti sullo storico ruolo dell’idroelettrico – la pietra angolare dello sviluppo energetico della regione – e dei biocarburanti liquidi, spinti soprattutto dalla volontà del Brasile di diversificare le sue fonti energetiche per il trasporto».
«Dal 2004 ad oggi – prosegue Amin – gli investimenti in energie rinnovabili nella regione (escludendo i più grandi impianti idroelettrici) sono aumentati di 11 volte, contro la crescita di 6 volte registrata in media nel mondo. Questo trend conferma la rapida evoluzione del mix energetico che coinvolge tecnologie e paesi differenti. Per la prima volta nel 2015, oltre al Brasile, anche Messico e Cile sono entrati nella lista dei primi 10 mercati di energia rinnovabile al mondo».
Tutto questo ha un effetto diretto anche sui posti di lavoro. Attualmente – calcola l’Agenzia – due milioni di persone lavorano nelle rinnovabili nella regione, mentre gli occupati futuri solo per i grandi progetti idroelettrici previsti dovrebbero raggiungere le 500mila unità.
Le esperienze dei singoli Paesi
La fotografia dell’International Renewable Energy Agency, oltre a dare il quadro di insieme, mette a fuoco le performance migliori di alcuni paesi che si sono organizzati e hanno cominciato a pianificare i loro investimenti. Il Brasile ha messo sul piatto 53 miliardi di dollari per modernizzare il sistema energetico e aumentare la sua capacità di produzione in soli tre anni da 25 Gw a 31,5 Gw. Per raggiungere questo obiettivo parte degli investimenti sarà destinata al settore idroelettrico, con l’adeguamento di vecchi impianti e la costruzione di nuove dighe.
Il governo argentino ha invece previsto che dal 2017 l’8% dell’energia nazionale sarà prodotto da impianti idroelettrici, eolici e solari, una percentuale che – secondo i piani dell’esecutivo di Buenos Aires – dovrebbe raggiungere il 20% nel 2020.
Stesso discorso vale per il Cile che sta ricoprendo un ruolo sempre più importante nel settore. L’obiettivo è infatti arrivare al 2025 con una produzione di energia rinnovabile pari al 20% del totale. Per fare questo il governo cileno ha sposato una serie di politiche energetiche, come ad esempio meccanismi di esenzione tariffaria per le imprese che investono nel settore, che hanno contribuito ad attrarre nel corso del 2015 3,4 miliardi di dollari di investimenti esteri, il 151% in più rispetto al 2014.
Investimenti necessari per superare l’attuale stato di arretratezza di molti Paesi e colmare il gap con le esigenze future. Un gap che è stato certificato, nell’aprile scorso, anche dal Fondo Monetario Internazionale. Le analisi del Fondo riportano che la media annuale della capacità di generazione elettrica tra il 1990 e il 2012 è stata di 46 Kilowatt ogni 100 persone per i paesi dell’America Latina, contro i 294 kilowatt di Stati Uniti e Canada. Guardando invece agli sprechi energetici dovuti allo stato degli impianti, tra il 2001 e il 2013 la media di energia sprecata rispetto al totale prodotto è stato del 19% per i Paesi della regione contro il 7% di Stati Uniti e Canada. Va meglio in tema di accesso all’energia elettrica che raggiunge ormai l’88% della popolazione in America Latina, un dato non troppo inferiore rispetto al 100% di quella che abita negli Stati Uniti e in Canada.
Investimenti e rilancio economico
Nel loro insieme questi dati confermano la necessità di investimenti nel settore energetico, un bisogno reale che tuttavia si scontra con la scarsità delle risorse economiche, in particolare di fondi pubblici governativi e di incentivi riconosciuti al settore privato. Per sostenere questo sviluppo c’è infatti bisogno di una serie di interventi strutturali, di cui quello energetico è solo un capitolo. Le Nazioni Unite stimano che il gap infrastrutturale della regione abbia un valore pari al 6,2% del Pil.
Colmare questo gap è una sfida che la regione si trova a dover affrontare in un periodo storico molto difficile. Dal 2009 ad oggi il boom economico dei paesi latinoamericani si è sgonfiato, a partire dalla crisi profonda che ha colpito il Brasile. E le ultime analisi dell’OECD non fanno ben sperare per il futuro. Il Latin American Economic Outlook 2017 dell’Organizzazione prevede infatti che l’anno in corso si chiuderà con una contrazione del Pil regionale variabile tra lo 0,5 e l’1%, e con una ripresa modesta attesa per il 2017. A tirare verso il basso le performance economiche di tutta la regione, sono in particolare il Brasile e il Venezuela.
Ma la regione rimane molto variegata e i singoli stati rispondono in modo differente alla crisi economica. Mentre infatti Brasile, Venezuela, ma anche Argentina faticano, i Paesi geograficamente più vicini agli Stati Uniti si agganciano al traino dell’economia nord americana. Succede per il Messico e per quasi tutti gli stati del Centro America che nel 2016 – sempre secondo l’OECD – assisteranno a una crescita del Pil tra il 2,3 e il 6%. E lo stesso vale per i Caraibi, dove la crescita del Pil dovrebbe oscillare tra lo 0,5 e il 4,5%.
Lo stesso OECD ribadisce però che le difficoltà economiche della regione potrebbero trasformarsi in opportunità qualora si tornasse ad investire. Tutta l’area si è infatti ritagliata un ruolo sempre più importante nello scacchiere economico mondiale, che è stato confermato dalla decisione della Banca Mondiale di tenere nel 2015 il suo incontro annuale a Lima, in Perù, tornando in Sud America per la prima volta dal 1967. Un importante riconoscimento, anche se il futuro della regione, ricca di materie prime e strategica per la sua posizione geografica, dipende oggi in larga misura dalla sua capacità di elaborare un nuovo modello di sviluppo, che riparta proprio dagli investimenti energetici per sostenere la crescita economica.