Quei 300 milioni di euro inseriti nell’ultima bozza di Recovery Plan prodotta dal governo italiano e destinati alle infrastrutture idriche del Sud sono solo una piccola parte della mole considerevole di interventi necessari per mettere al sicuro l’approvvigionamento di acqua nel Mezzogiorno d’Italia.
L’annuncio pronunciato nei giorni scorsi dalla ministra per il Mezzogiorno, Mara Carfagna, che ha confermato l’intenzione del governo Draghi di destinare al Sud il 40% delle risorse del Recovery, con una attenzione speciale proprio al tema idrico, si accompagna alla lista delle 57 opere pubbliche prioritarie pubblicata nei giorni scorsi e accompagnata dalla nomina dei 29 commissari straordinari che dovranno assicurare la celerità dei lavori.
Tra queste opere, che valgono complessivamente 83 miliardi di euro, 2,8 miliardi saranno destinati alle infrastrutture idriche, e di questi 501 milioni di euro a opere che ricadono al Sud, nello specifico due dighe, rispettivamente a Enna e Catania, affidate al commissario Ornella Segnalini.
L’impegno del governo, espresso attraverso lo sblocco dei cantieri e le risorse che saranno inserite nel Piano Nazionale di Resilienza e Resistenza, è tuttavia ancora parziale rispetto alle esigenze reali del Mezzogiorno d’Italia, dove proprio le infrastrutture idriche mostrano ormai un gap considerevole rispetto alle esigenze della popolazione e allo sviluppo delle città.
Desertificazione in Italia: un rischio sempre più concreto
Gli ultimi tre anni hanno rappresentato un campanello d’allarme per il paese. Le siccità estive che si sono verificate in molte regioni hanno confermato le teorie degli scienziati secondo cui il processo di desertificazione nella penisola è in atto da tempo. Secondo il CNR (il Centro Nazionale di Ricerca) oggi questo fenomeno coinvolge circa il 20% del territorio nazionale con un picco del 70% per quanto riguarda la Sicilia.
Se a questo dato si aggiungono le rilevazioni dell’Istat, secondo cui ogni anno le perdite delle reti idriche nazionali portano a uno spreco di 4,5 miliardi di metri cubi di acqua potabile (la sola Sicilia disperde il 50,5% dell’acqua immessa in rete), risulta evidente come l’acqua stia diventando sempre più un bene a rischio, che può essere salvato solo grazie a investimenti considerevoli soprattutto sulla rete.
Società private di gestione idrica così come le utilities regionali e comunali fanno la loro parte e oggi – sempre al Sud – producono un fatturato di 4 miliardi di euro, investendo in media 500 milioni di euro l’anno e dando lavoro a 25mila persone. Gli sforzi industriali di questo comparto però non bastano da soli per assicurare l’efficienza delle infrastrutture idriche che avrebbero bisogno, oltre alla naturale manutenzione, di interventi massicci e di profondo rinnovamento.
Abbattere il Water Divide: ecco la scommessa del Mezzogiorno
Il divario italiano tra il Nord e il Sud si ripete anche in tema di acqua. Ad oggi, rispetto ai 14,9 miliardi di euro di fondi pubblici e privati che nei prossimi anni dovrebbero essere investiti nel settore su scala nazionale, solo 3,8 miliardi saranno destinati alle regioni del Sud.
Meno risorse ma un maggiore bisogno di investimenti considerati i dati sulla qualità della rete e delle infrastrutture idriche, che posizionano le regioni del Sud agli ultimi posti della classifica italiana. Oltre al record della Sicilia, dove viene disperso il 50,5% di acqua dalle reti idriche, e della Sardegna, dove il dato della dispersione raggiunge il 51,2%, anche sull’Appennino Centrale italiano la media dell’acqua dispersa nelle reti raggiunge il 48,4% e il 48% nell’Appennino Meridionale.
Il rischio è molto elevato: la scorsa estate l’assenza di piogge e la siccità hanno dimezzato le risorse idriche in tutti gli invasi della Sicilia. Un fenomeno che rischia di diventare prassi per molte regioni del Sud se non si interviene tempestivamente per rimettere in sesto il network infrastrutturale.
Investimenti contro la crisi idrica: un ritardo punito dall’Europa
La centralità degli investimenti idrici all’interno dei piani di recupero dalla pandemia del Covid-19, è confermata dall’attenzione posta dall’Unione Europea proprio sulla gestione dell’acqua da parte dei paesi membri.
Secondo l’Astrid (la Fondazione per l’analisi, gli studi e le ricerche sulla riforma delle istituzioni e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche), l’85% delle procedure di infrazione emesse dalla Comunità europea nei confronti dell’Italia in tema di acqua riguardano proprio le regioni del Sud. Carenza di depuratori, inefficienza dei sistemi fognari, difficoltà nello smaltimento dei fanghi e inadeguatezza delle dighe, sono le problematiche più frequenti cui si assiste nella maggior parte delle regioni del Mezzogiorno.
Secondo l’Istat il servizio pubblico di fognatura comunale è completamente assente in 40 comuni del Sud, dove vivono 394mila persone. Per quanto riguarda invece il servizio di depurazione, lo stesso è assente in 339 comuni italiani, il 66,4% dei quali localizzato proprio nel Mezzogiorno e in particolare in Sicilia e in Calabria. Un problema che interessa quasi 2 milioni di persone in tutta Italia e che proprio al Sud esplode con rischi non solo per l’economia, ma anche per la salute delle persone.