Il sorpasso si consumerà nel 2030. È questo l’anno in cui, secondo PricewaterhouseCoopers, gli E7 (le 7 economie emergenti più importanti del pianeta) scavalcheranno in termini di prodotto interno lordo cumulato i G7 (i paesi attualmente più sviluppati al mondo).
La sfida contro il club dei potenti (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Canada e Giappone) riunito per la prima volta nel 1975 a Rambouillet, vicino Parigi, è stata lanciata dalle economie emergenti almeno dal 2006, quando all’interno del Stern Review Report di PricewaterhouseCoopers, venne coniato per la prima volta il termine E7, indicando un gruppo costituito da Cina, India, Brasile, Messico, Russia, Indonesia, Turchia. Da allora ad oggi molte cose sono cambiate e la corsa delle 7 più importanti economie emergenti si è fatta più serrata al punto da spingere la società di consulenza statunitense a rivedere le previsioni e accorciare i tempi del sorpasso, anticipando il traguardo al 2030.
Sebbene manchino ancora diversi anni, il meccanismo è in moto ormai da molto tempo e si accompagna alla nascita di un mercato alternativo a quello delle economie sviluppate, dove gli investimenti privati e lo sforzo finanziario dei governi per colmare il gap infrastrutturale sono elevatissimi. Cambiano così i mercati di riferimento, e i tassi di crescita delle economie (molto più elevati tra i paesi emergenti) sono lì a dimostrarlo.
Prove di una nuova leadership
La corsa degli E7 sta lasciando sul campo dei mercati internazionali una serie di evidenze che, secondo PricewaterhouseCoopers, confermano al 2030 la data prevista per il sorpasso.
In primo luogo – ribadiscono gli analisti della società – nel 2030 il Pil cinese supererà quello statunitense. Nonostante il leggero rallentamento degli ultimi trimestri, il prodotto interno lordo della Cina continua a crescere a ritmi elevati bruciando, anno dopo anno, le tappe che lo portano ad avvicinarsi a quello americano. Oltre a questo ci sono molti altri segnali della corsa dei Paesi emergenti: nel 2030 sette delle 12 più grandi economie del mondo apparterranno a quelli che sono oggi mercati emergenti (E7).
Guardando invece alle condizioni attuali, gli scambi commerciali interni ai Paesi E7 crescono ad un ritmo cinque volte maggiore rispetto a quelli interni al G7, e il numero di individui appartenenti alla classe media nella regione Asia Pacifico ha superato quello di Europa e Stati Uniti insieme. Dal 2021, questa classe media emersa nelle economie emergenti rappresenterà un mercato annuale, per la sua capacità di acquisto di beni e servizi, da 6 trilioni di dollari.
Gli effetti sulle infrastrutture
La crescita del Pil è un effetto dello sviluppo economico, ma è anche essa stessa un acceleratore che porta nuovo sviluppo e nuovi investimenti. Ne sono convinti i top manager di molte grandi aziende mondiali intervistati da PricewaterhouseCoopers proprio sul tema.
Dall’analisi della società emerge che oltre il 50% dei Ceo globali è convinto che il soprasso delle economie emergenti si accompagnerà ad un aumento del costo del lavoro nei mercati dove questo sorpasso si compie. Inoltre, tutti gli intervistati confermano che dal 2020, dieci anni prima del traguardo fissato al 2030, il 70% delle multinazionali avrà almeno un quartier generale in Asia.
Ma quello che più conta sono gli effetti che questo ribilanciamento del potere economico globale avrà sugli investimenti nelle infrastrutture. PricewaterhouseCoopers stima che entro il 2025 la spesa mondiale nelle infrastrutture arriverà a 9 trilioni di dollari all’anno, con una cifra approssimativa di 78 trilioni che sarà spesa entro il 2025. In quest’ambito il mercato dell’Asia Pacifico (dove sono attivi alcuni dei più importanti E7 come Cina, Indonesia e in parte India) vale il 60% della spesa totale, mentre l’Europa arriverà a contare meno del 10%.
Una tendenza destinata a consolidarsi nel tempo, almeno secondo quanto riporta anche la Banca Mondiale. L’ultimo report dell’istituto dedicato al tema “Infrastructure Investment Demands in Emerging Markets and Developing Economies” calcola che, nonostante questa concentrazione di spesa nelle economie emergenti, il gap nella spesa annuale per le infrastrutture valga ancora 452 miliardi di dollari.
Questo contribuisce a riscrivere la mappa dei grandi investimenti e delle grandi opere che inevitabilmente si verranno a concentrare nei Paesi capaci di esprimere meglio di altri una crescita economica solida e duratura.
La promessa dell’Africa
Il gioco delle previsioni internazionali non si ferma certo agli E7. Analisti, economisti e investitori sono già al lavoro per scovare i mercati più interessanti del futuro, quelli che – oltre ai colossi emergenti – mostrano i segni più evidenti di una crescita vitale e stabile. Tra questi, forse la regione più attraente è l’Africa Sub-Sahariana.
Nell’ultima analisi del Fondo Monetario Internazionale, pubblicata nell’aprile scorso, gli economisti indicano che – sebbene nel 2015 il tasso di crescita medio del Pil della regione si sia fermato al 3% - nell’ultima decade non è mai sceso al di sotto di un range che va dal 5 al 7%.
Le ottime prospettive di crescita economica così come i rapporti commerciali che si stanno sviluppando con altre economie emergenti sono stati sottolineati, tra i primi, da Ian Bremmer sulla rivista americana “Fortune” in un articolo pubblicato nel 2015.
«Un’altra regione che rappresenta una grande promessa – scrive Bremmer, esperto di rischio globale e Presidente e fondatore di Eurasia Group – è l’Africa Sub-Sahariana, già oggi casa della classe media che cresce più rapidamente al mondo. Gli investitori continuano a pensare all’Africa quasi interamente come un esportatore di petrolio, gas, metalli e minerali, ma i servizi stanno conquistando un ruolo sempre più importante nel continente. E anche la governance in molti Paesi sta migliorando rapidamente. Il Report “2013-2014 Doing Business” della Banca Mondiale ribadisce che l’Africa Sub-Sahariana ha beneficiano più di altre regioni dei miglioramenti normativi».
Dopo il tramonto dei Brics e una volta conclusa l’epoca d’oro degli E7, anche l’Africa Sub-Sahariana si mette in fila per dar vita a un nuovo gruppo di Paesi pronto a dare battaglia sui mercati internazionali.