Un trilione di dollari da investire nei prossimi 25 anni. In parte destinato agli impianti di acqua potabile, in parte alla gestione delle acque reflue. È questa la cifra necessaria per superare la crisi idrica degli Stati Uniti, secondo i calcoli della National Water Resources Association e della American Water Works Association, due tra le più prestigiose associazioni impegnate nel settore idrico.
Un trilione di dollari per evitare i 240.000 guasti che ogni anno colpiscono la rete idrica del paese, e obbligano a interventi in urgenza che costano annualmente 2,6 miliardi di dollari. Tappare i buchi, quindi, e così rimettere in sesto tutto il sistema, dalle dighe agli acquedotti, dagli impianti di potabilizzazione alle fogne. Interventi necessari se è vero che – come denunciato nella Waterweek 2018, la settimana di lavoro dedicata al rischio idrico negli Usa – nel caso contrario il costo per la collettività sarebbe altissimo e nei prossimi venti anni potrebbe portare ad una perdita di Pil pari a 4,1 trilioni di dollari.
Un gigante ancorato al passato
Il sistema idrico americano è sottoposto a uno stress enorme, che cresce di giorno in giorno con l’aumento della popolazione e lo sviluppo dell’economia. Attualmente questo sistema fornisce acqua per irrigare 55 milioni di acri (pari a 22,2 milioni di ettari) e rispondere ai bisogni domestici di 315 milioni di persone.
Dalle grandi industrie alle piccole imprese, dalle amministrazioni pubbliche ai singoli cittadini, la domanda cresce in modo costante, con una offerta che arriva da una rete infrastrutturale obsoleta.
Secondo la Brookings Institution (uno dei più prestigiosi think tank statunitensi) il 40% degli acquedotti del Paese ha oltre 40 anni. Alcune infrastrutture risalgono addirittura alla Prima Guerra Mondiale, e un quinto dell’acqua trasportata viene persa, per un totale di 7 miliardi di galloni al giorno (pari 27 miliardi di litri).
Questa situazione necessita di interventi immediati, un obbligo da affrontare immediatamente se è vero che la popolazione Usa raggiungerà i 400 milioni di persone entro il 2050 e questo comporterà un ulteriore aumento della domanda di acqua e una conseguente pressione sulle infrastrutture esistenti.
Chi investe nell’acqua
Nonostante l’attualità e la gravità del problema, il governo federale riveste un ruolo ancora residuale per quanto riguarda gli investimenti nelle infrastrutture idriche. Attualmente infatti solo il 4% dei fondi destinati al settore sono federali, mentre la quasi totalità viene dagli stati, dalle amministrazioni locali e dai privati.
Un peso determinante è quello delle utility idriche: la Brookings Institution calcola che le 30 più importanti utility idriche degli Stati Uniti d’America hanno raggiunto un giro d’affari di 52 miliardi di dollari e danno lavoro a 289.000 persone.
Da loro arriva la quasi totalità degli investimenti nel settore, che evidentemente non sono però sufficienti per rispondere ai bisogni della rete e quindi della collettività.
A conferma che la partita riguarda soprattutto i privati, arrivano anche i dati sulle dighe. Dalla National Inventory of Dams (l’archivio nazionale delle dighe Usa) emerge che solo il 3,7% delle 90.000 dighe presenti sul territorio americano è di proprietà del governo federale; il 7,3% dei singoli stati e il 20% delle amministrazioni locali. Il resto, pari quasi al 70%, è gestito da privati. Sono le imprese private, chiamate a svolgere un servizio pubblico, che devono rispondere di un sistema di dighe decisamente obsoleto: 62.700 opere su un totale di 90.000 sono infatti state costruite prima del 1970 e il 17,1% è stato dichiarato dall’ASCE (American Society of Civil Engineers) esposto a un forte rischio.
Il costo dei mancati investimenti
Non investire nel settore ha un duplice effetto: il primo sulla vita di tutti i giorni, tanto delle persone quanto delle aziende, chiamate a fare i conti con la scarsità di acqua; il secondo di tipo direttamente economico, perché una gestione inefficiente porta con sé un inevitabile aumento dei costi.
E infatti, dal 2010 ad oggi, il costo dell’acqua per ciascun cittadino americano è aumentato in media del 48%.
Anche questo ha contribuito alla diffusione di una percezione collettiva secondo la quale è ora di intervenire sulle infrastrutture idriche del Paese, inserite ormai da molti nella lista delle emergenze nazionali. E infatti, secondo la Brookings Institution, l’88% degli americani considera necessario intervenire con urgenza per risolvere i problemi della rete idrica del paese e appena il 17% delle utility impegnate nel settore giudica la dotazione economica attuale adeguata per soddisfare i bisogni della collettività.
La risposta è negli investimenti, che dovranno arrivare al più presto per evitare che il sistema collassi.