Harvey, Irma, Maria, Nate. Nomi impressi nella memoria recente dei cittadini americani perché sono gli stessi dei più terribili uragani che negli ultimi anni si sono abbattuti sugli Usa. Le loro razzie nelle città e nelle campagne sono solo la punta di un iceberg ben più ampio e pericoloso che, partendo dai cambiamenti climatici e dagli eventi atmosferici che ne derivano, punta dritto contro le infrastrutture idriche del Paese e la loro gestione.
Per far fronte al problema, la FEMA (Federal Emergency Management Agency) ha recentemente pubblicato una bozza del “National Mitigation Investment Strategy”, un piano di interventi per ridurre al massimo l’impatto negativo degli eventi atmosferici che sarà reso operativo dal prossimo autunno.
Secondo le analisi del governo federale, infatti, nel 2017 si sono verificati 44 eventi catastrofici che comprendono inondazioni e uragani, con un incremento di circa il 20% rispetto ai 36 del 2016.
Il problema riguarda milioni di persone. Il rapporto “Estimates of Present and Future Flood Risk in the Conterminous United States”, realizzato dall’Università di Bristol nel Regno Unito, indica che 41 milioni di cittadini americani che vivono nei pressi di corsi d’acqua sono esposti al rischio di inondazioni, un numero tre volte superiore rispetto alle stime precedenti.
Il dato ha messo in allarme le autorità federali e statali che, ormai da anni, stanno lavorando sulla gestione delle risorse idriche, investendo risorse per sostenere progetti di messa in sicurezza delle infrastrutture.
Il rischio inondazioni
La maggior parte delle infrastrutture idriche americane (tubature, dighe, argini, porti) è stata costruita nella prima metà del secolo scorso, come spiegato alla Commissione Lavori Pubblici del Senato il 17 gennaio scorso da Ryan Fischer, Principal Deputy Assistant del Segretario alla Difesa Usa.
Le inondazioni possono rappresentare un grave pericolo per le infrastrutture americane di ogni genere, dalle strade ai ponti, dai corsi d’acqua agli impianti di trattamento idrico. Tra il 1998 e il 2014 la FEMA ha investito 48,6 miliardi di dollari in un programma pubblico che prevedeva interventi di ristrutturazione a edifici, strade, ponti, dighe e altre infrastrutture danneggiate dalle tempeste o dalle inondazioni.
Il programma, per quanto dotato di una autonomia considerevole negli interventi, rimane una minima parte rispetto allo sforzo profuso dagli Usa per contrastare gli effetti nefasti dei cambiamenti climatici.
Gli investimenti necessari
In diverse occasioni la FEMA ha ribadito che gli investimenti nelle infrastrutture idriche americane non sono solo necessari ma garantiscono un consistente risparmio economico nel lungo periodo. Secondo i calcoli del National Institute of Building Sciences, per ogni dollaro investito oggi con lo scopo di ridurre l’impatto negativo degli eventi atmosferici, si risparmiano 6 dollari nel futuro sugli eventuali costi necessari per far fronte ai disastri stessi.
In termini di investimenti, il primo obiettivo è colmare l’enorme gap tra lo stato attuale delle infrastrutture e quello auspicabile, un problema che riguarda un po’ tutto, dalle tubature ai sistemi di acqua potabile, passando per gli argini dei bacini e le dighe.
L’ultimo report dell’Asce “Failure to Act” spiega che rispetto a quattro anni fa le infrastrutture idriche, energetiche e di trasporto hanno mostrato solo qualche modesto miglioramento o sono rimaste stabili. Questo mancato miglioramento ha un costo economico: il report lo calcola in 3.400 dollari all’anno per famiglia ma fra dieci anni, se non si interviene, il costo arriverà a 5.100 dollari.
Le infrastrutture idriche Usa, un patrimonio da tutelare
Negli Usa il sistema idrico si estende per un milione di miglia ed è formato da 156mila condutture e tubature, 52mila delle quali riforniscono le case di almeno 286 milioni di americani. Le altre tubature portano acqua a strutture come campi, stazioni di servizio, ospedali, scuole, imprese, industrie. Rispetto a questa enorme rete infrastrutturale, l’impatto dei mancati investimenti è consistente. A questo proposito, l’ASCE certifica che negli ultimi anni si sono verificati in media 240mila guasti tecnici all’anno e perdite di acqua pari a 7,5 trilioni di litri.
Per mettere in sicurezza questa rete, servirebbe un investimento complessivo di 150 miliardi di dollari tra il 2016 e il 2025, con un gap – rispetto alla cifra stanziata finora – di 105 miliardi.
L’assenza di investimenti non solo avrebbe un impatto sullo stato delle infrastrutture e quindi sul loro funzionamento, ma si rifletterebbe negativamente anche sul benessere del Paese che – da qui al 2025 – perderebbe 4 trilioni di dollari di PIL.
Un pericolo, quindi, anche per l’economia americana che rischia di rimanere sott’acqua.