A guardarla dall’alto assomiglia al Pozzo di San Patrizio, l’incredibile scavo profondo 54 metri costruito a Orvieto, in Italia, tra il 1527 e il 1537 e divenuto meta turistica per centinaia di migliaia di visitatori. Proprio al Pozzo di San Patrizio si sono ispirati infatti i progettisti dello studio RSHP (Rogers Stirk Harbour + Partners) di Londra per disegnare le forme della stazione di Capodichino, capolinea previsto della linea 1 della metropolitana di Napoli.
Un cilindro che sprofonda sottoterra per quasi 50 metri circondato lungo le sue pareti curve da scale elicoidali che conducono alla superficie, proprio come nell’incredibile opera voluta da Papa Clemente VII per avere un accesso sicuro all’acqua nel caso Roma venisse di nuovo assediata.
L’incredibile forma della stazione di Capodichino è solo una delle caratteristiche di un’opera il cui valore sta nella sua capacità di chiudere il progetto di trasporto metropolitano di Napoli, ovvero donare alla citta una linea sotterranea che dalle stazioni del centro arrivi fino all’aeroporto.
Un progetto affidato al Gruppo Webuild, che proprio sulla linea 1 ha costruito già altre sei stazioni, da Università a Museo, da Mater Dei a Toledo, ovvero alcuni dei manufatti che permettono oggi di definire la metropolitana di Napoli una vera e propria opera d’arte.
Nel fondo del Pozzo di San Patrizio
A guardarla dal fondo l’impressione è quella di trovarsi nel mezzo di un’elica gialla che corre verso il cielo. Le scale sono ormai montate e si muovono sinuose verso l’alto mentre i lavori procedono a 50 metri di profondità per assicurare alla linea 1 l’arrivo nell’ultima stazione, quella di Capodichino.
I tecnici di Webuild sono al lavoro per realizzare le strutture, gli impianti e le finiture d’opera, compreso l’ultimo pozzo per la TBM, che chiuderà l’anello metropolitano collegando la Linea 1 alla linea arcobaleno della Metro Campania Nord Est, dopo aver già realizzato i due pozzi per i tunnel in direzione Poggioreale. La sola stazione è costituita da un manufatto a forma di Omega sovrastato da una copertura ad hangar in struttura mista, ovvero acciaio, vetro e calcestruzzo con una pianta di 57 per 50 metri e posizionata a 10 metri di altezza dal livello della strada.
Nelle fasi di scavo grande attenzione è stata posta al tema della sostenibilità ambientale, infatti, grazie a un apposito piano di utilizzo delle terre, 200 mila metri cubi di terre (un volume equivalente a quello della piramide di Micerino in Egitto) sono stati trasportati e riutilizzati sul distretto della città metropolitana di Napoli, in ex cave di tufo a cielo aperto, allo scopo di tombarle e riqualificare urbanisticamente e paesaggisticamente il territorio.
«Quella di Capodichino è sicuramente una stazione strategica – commenta Carlo Di Costanzo, project manager – è infatti il terminale che consentirà da ogni parte della città di giungere all’ aeroporto, con una riduzione significativa dei tempi di percorrenza, ma anche e soprattutto delle emissioni in atmosfera, grazie agli abbattimenti drastici dei flussi di traffico dei veicoli su strada, oggi di forte criticità soprattutto nei periodi di alta stagione, creando sempre attraverso la linea 1 il collegamento tra tre snodi chiave per la mobilità integrata di Napoli, ovvero il porto, la stazione ferroviaria di Napoli Centrale e appunto lo scalo aeroportuale».
Un viaggio nell’arte e nella cultura
Viaggiare nella metropolitana di Napoli significa viaggiare non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Si parte dall’età imperiale del III secolo d.C. si passa per l’età bizantina del VII secolo, si arriva all’età aragonese del XV secolo d.C. e poi improvvisamente si compie un balzo indietro di cinquemila anni piombando nel mezzo dei campi arati che risalgono al IV millennio a.C. Un viaggio punteggiato di ritrovamenti archeologici che sono stati al centro di una complessa e capillare operazione di recupero prima di essere messi a disposizione della cittadinanza e dei turisti proprio all’interno delle stazioni. Le indagini archeologiche hanno interessato gli scavi superficiali posti sull’impronta delle singole stazioni, in particolare nella stazione Museo per 4 mila metri cubi; per 14.300 metri cubi nella stazione Università; per 9.600 metri cubi nella stazione Toledo e infine nella stazione Capodichino per 1.500 metri cubi. Operazioni che hanno permesso di reinserire parte di questi ritrovamenti all’interno delle stazioni e addirittura di allestire un intero ambiente museale denominato “Stazione Neapolis” posto nella parte di collegamento tra la stazione Museo e la stazione Cavour, dove sono oggi in mostra alcuni dei reperti rinvenuti durante i lavori della costruzione della linea metropolitana, completamente libero ed accessibile gratuitamente al pubblico.
Il valore archeologico dell’opera viene poi arricchito dalla bellezza delle stazioni, progettate da architetti di fama mondiale e realizzate proprio con l’intenzione di trasformare la metropolitana di Napoli in un’opera d’arte. È il caso ad esempio della stazione Toledo, definita dal quotidiano inglese “The Daily Telegraph” e dalla CNN la stazione della metropolitana più bella del mondo. Un giudizio confermato dai riconoscimenti ottenuti: nel 2013 vince il premio Emirates lead international award come “Public building of the year” e nel 2015 ottiene l’Oscar delle opere in sotterraneo assegnato dalla International Tunneling Association.