Nel paese in grado di sfiorare il 100% di energia pulita, l’idroelettrico rimane il motore di una corsa green che l’Islanda non vuole assolutamente fermare. Se è vero che la prima stazione idroelettrica venne costruita addirittura nel 1904, oggi questa forma di produzione energetica rappresenta l’80% dell’energia totale prodotta nel paese del fuoco e del ghiaccio. E proprio l’acqua dei ghiacciai, che ricoprono l’11% del territorio nazionale, rappresenta il carburante degli impianti attivi in tutto il paese.
Grandi impianti già realizzati e molti altri – idroelettrici e non – ancora da costruire che la Compagnia Energetica Nazionale islandese ha appena annunciato. Entro il prossimo decennio verrà avviata la costruzione del più grande progetto eolico del paese, il parco di Búrfellslundur, dove verranno installate fino a 30 turbine eoliche vicino al monte Vaðalda. Gli altri nuovi progetti programma sono la costruzione della centrale idroelettrica Hvammsvirkjun, che sarà l’ottava nell’area fluviale di Thjorsa (il fiume più lungo dell’Islanda) e Tungnaá; l’ampliamento della centrale elettrica di Sigalda per aumentare la produzione di energia sempre nell’area fluviale di Thjorsa; e un notevole ampliamento della stazione geotermica di Theistareykir, nel nord-est dell’Islanda, che già oggi ha una capacità di generazione di circa 738 GWh all’anno.
Kárahnjúkar, l’impianto dei record costruito da Webuild
Il maggior impianto realizzato nel Paese è quello idroelettrico di Kárahnjúkar, costruito da Webuild tra il 2003 e il 2008 nella regione orientale del paese. Ufficialmente nota come Fljótsdalur Power Station, la centrale è stata progettata per produrre 4.600 GW/h per la fonderia Alcoa, con una capacità installata di 690 MW. Il progetto, da 2,5 miliardi di euro, ha preso il nome dai monti Kárahnjúkar e ha raccolto le acque dei fiumi Jökulsá á Dal e Jökulsá í Fljótsdal con cinque dighe, creando tre bacini artificiali. L’acqua dai serbatoi viene deviata attraverso 73 chilometri (45 miglia) di tunnel idrici sotterranei e lungo una condotta forzata verticale di 420 metri (1.380 piedi) verso un’unica centrale elettrica sotterranea. Tre le cinque dighe, quella che porta il nome proprio di Kárahnjúkar è la più imponente la più grande del suo genere in Europa. Costruita in roccia con paramento di monte in calcestruzzo, è alta 193 metri (633 piedi) ed è di 730 metri (2.400 piedi) in lunghezza.
Lo sfruttamento delle risorse idriche nella zona del monte Kárahnjúkar si è sviluppato sugli altopiani nord-orientali dell’Islanda, a 300 chilometri dalla capitale Reykjavik, a meno di 200 chilometri dal Circolo Polare Artico. Il progetto, uno dei più complessi per impianti di questo tipo, ha richiesto una galleria d’adduzione lunga quasi 40 km (25 miglia) scavata con l’impiego di tre TBM. A causa degli inverni rigidi, per esempio, ad ogni getto di cemento si è dovuto costruire una tenda per tenere tutto coperto e riscaldato. Per realizzare il complesso idroelettrico e la maggiore diga sono state impiegate circa 2.000 persone, ospitate in quattro campi di lavoro, costruiti dove le condizioni climatiche e geografiche lo permettevano.
Proteggere la centrale geotermica dalla lava
Terra di vulcani e di ghiacciai, due facce della stessa medaglia. E proprio la potenza della natura rappresenta da un lato un’occasione da sfruttare per la produzione di energia, dall’altro una potenziale crisi da gestire. Nei giorni scorsi l’Islanda ha offerto infatti uno spettacolo unico nel suo genere, quando il cielo si è tinto nello stesso momento di raggi color rosso-arancione e di lampi blu-verde. Il fenomeno naturale, diventato virale sui social, è stato causato da una maestosa aurora boreale sopra un vulcano in piena eruzione nei pressi di Grindavik, un villaggio di pescatori nella penisola meridionale di Reykjanes. Quest’affascinante spettacolo si accompagna a conseguenti misure per il contenimento o la deviazione dei flussi di lava per evitare l’impatto con centri abitati e infrastrutture varie. In questo caso, sotto minaccia c’è stata la centrale geotermica di Svartsengi, che fornisce calore ed elettricità a circa 30.000 persone e che già a novembre scorso era stata messa in allarme dall’Istituto meteorologico nazionale per le conseguenze di un’eruzione vulcanica. In quell’occasione 4.000 persone sono state obbligate a lasciare il villaggio dopo che le autorità hanno dichiarato lo stato di emergenza. Adesso per rispondere al pericolo di nuove eruzioni, le autorità hanno ordinato la costruzione di una barriera con terrapieni protettivi e lo scavo di trincee: perché, una volta ancora, nulla può fermare la produzione di energia pulita. Neanche la natura.