«La metà della popolazione degli Stati Uniti d’America è composta da donne, ma solo un architetto su cinque e un ingegnere su sette sono donne».
Darlene K. Gee e Charissa Frank sono due veterane delle infrastrutture, lavorano da anni in aziende che hanno partecipato alla realizzazione di alcuni dei più importanti progetti della California e il 14 marzo scorso, dopo una vita in cantiere, hanno deciso di prendere la penna in mano per scrivere un articolo sul “Mercury News” dal titolo “C’è bisogno di più donne leader nei progetti di trasporto” (“More women leaders needed for transportation projects”).
Un’esigenza che le due professioniste motivano proprio in base alla necessità di rendere i progetti infrastrutturali, soprattutto nel settore dei trasporti, più sensibili ai bisogni dell’intera popolazione.
«Il sistema dei trasporti nella Bay Area – scrivono – si sta sviluppando nella giusta direzione, ma dovrebbe essere fatto di più per aumentare l’inclusività e quindi la partecipazione femminile nello sviluppo di progetti complessi».
L’appello lanciato da Darlene K. Gee e Charissa Frank non è caduto nel vuoto, anzi si accompagna a un movimento mondiale che richiama sempre più il settore delle grandi opere ad aprirsi alle donne. Nel giugno del 2017 la World Bank ha ospitato sul suo blog ufficiale un intervento firmato da Julia Prescot, una dirigente del gruppo Meridiam (un fondo di investimento specializzato nel finanziare progetti infrastrutturali nel mondo), nel quale viene raccontata la realizzazione di un impianto energetico in Senegal di nome Senergy, che non solo ha portato per la prima volta il solare nel paese, ma è stato accompagnato da una serie di corsi di formazione dedicati proprio alla specializzazione delle donne nel settore.
Il tema è stato affrontato anche dalle Nazioni Unite, dove le donne svolgono un ruolo importante proprio nello sviluppo dei progetti infrastrutturali.
«Quando viene menzionata la parola “infrastrutture”, l’immagine più comune è quella di un uomo che lavora in un cantiere. E infatti, sebbene il numero di donne laureate in discipline ingegneristiche sia in aumento, sono ancora molto poche quelle che riescono a intraprendere una carriera nell’ingegneria civile».
Chi parla è Shameena Jeewooth, una donna ingegnere che lavora per conto dell’UNOPS (l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata alla realizzazione di progetti infrastrutturali nel mondo) e gestisce un progetto infrastrutturale in Burundi, in un’area dove acqua ed elettricità vengono razionate e la capacità di movimento è limitata. La sua testimonianza è raccolta in un blog delle Nazioni Unite dedicato al tema “Gender and Infrastructure: can we get more women into engineering?”.
«Questo lavoro – ammette – spesso richiede di essere presenti in alcuni dei luoghi più inospitali del mondo. E troppo spesso le donne non hanno le stesse opportunità dei colleghi uomini, perché vengono considerate inadatte o troppo fragili per rimanere ore in cantieri del genere».
Nonostante i numeri siano ancora insoddisfacenti, i vecchi pregiudizi sembrano destinati ad essere superati. Il prossimo 28 e 29 novembre, al Waldorf Hilton di Londra, si terrà un Forum internazionale dedicato al tema “Women in Infrastructure”, al quale prenderanno parte 300 donne che occupano posizioni di leadership in alcune delle compagnie di costruzioni più importanti al mondo.
Alle spalle un movimento internazionale che ha una delle rappresentanze più illustri nel “Women’s Infrastructure Network”, una rete globale con 3.000 membri e che opera in Stati Uniti, Canada, Australia e Regno Unito, per far incontrare donne impegnate nel settore infrastrutturale, tanto nel pubblico quanto nel privato con l’obiettivo di dare il proprio contributo nella predisposizione dell’agenda infrastrutturale delle grandi opere. Affonda invece le sue origini nel passato la Women’s Engineering Society, una società fondata ufficialmente il 23 giugno del 1919 ma operativa già negli anni della Prima Guerra Mondiale con l’obiettivo di sostenere l’apporto delle donne per coprire i ruoli professionali lasciati liberi dagli uomini partiti per la guerra.
Quasi 100 anni dopo la Women’s Engineering Society (WES) è una realtà riconosciuta in tutti gli Stati Uniti e assegna ogni anno il WE50, un premio alle 50 donne più influenti al mondo nel settore ingegneristico.
«Nella scelta delle Top 50 – commenta sul sito ufficiale di WES la chief executive Kirsten Bodley – abbiamo cercato donne che avessero superato ostacoli o scalato posizioni nel settore dell’ingegneria. Inoltre, abbiamo identificato quelle persone che hanno dimostrato un impegno per supportare ed ispirare altre donne a percorrere una strada di successo e di progresso nel settore».
E così i riconoscimenti sono andati alle rappresentanti di aziende e fondi di investimento, università e centri di ricerca, tutte impegnate a dare un contributo di eccellenza e di unicità allo sviluppo dell’ingegneria nel mondo.