Il vecchio ferro da stiro in ghisa (in inglese flat-iron), il naso ferrato sulla punta della locomotiva a vapore americana per scansare mucche e bufali, il cosiddetto “cowcatcher” o, ancora, una misera fetta di torta. In oltre 120 anni di vita, il Flatiron Building è stato soprannominato in vari modi per la sua particolare base a triangolo che l’ha reso uno degli edifici più noti al mondo e tra i più amati da abitanti e visitatori di New York.
Oggi, quello strano palazzo di 22 piani al n. 175 della 5th Avenue, nel punto d’incontro e di taglio con la Broadway, sta per entrare in una nuova era. Ogni giorno, anche dall’osservatorio sulla vetta dell’Empire State Building, il Flatiron è fotografato, copiato da artisti, postato sui social. Anche se da tempo è coperto da impalcature. Pochi tra i suoi fan sanno che è quasi completamente vuoto. Solo i locali al piano terra sono ancora occupati da negozi. Dal primo fino all’ultimo piano gli spazi invece sfitti dal 2019, quando l’unico inquilino di tutto l’edificio, il gruppo editoriale MacMillan Publishers poco prima della pandemia se n’è andato.
Il futuro di un’icona americana
Il Flatiron, che è sempre stato adibito a uffici, si prepara a diventare un palazzo per residenze di lusso. L’annuncio è stato dato poco prima della fine dell’anno e già la fame (cronica) di abitazioni nel cuore di Manhattan si è messa in moto. I piani ufficiali non sono stati ancora presentati e non si conoscono le intenzioni dei proprietari. Più unità abitative per piano o solo un appartamento? In tutto una ventina di residenze o un totale di 40-50? Solo in vendita o anche in affitto? È probabile che si debba attendere ancora qualche mese per avere una tipologia ben definita e, soprattutto, approvata dalla City.
Alto 87 metri, progettato dall’architetto di Chicago Daniel Burnham in stile Beaux-Arts, disegnato per occupare tutto un difficile lotto triangolare compreso tra la 23rd Street, la Fifth Avenue e Broadway guardando verso il Madison Square Park Conservancy, l’edificio ha subito incuriosito i newyorchesi che presero a scommettere sulla sua resistenza alle forti raffiche di vento che stagionalmente colpiscono proprio il punto in cui il Flatiron è largo solo 2 metri, salvo ricredersi dopo la pubblicazione di una rivista che ne lodava proprio la struttura a triangolo, vista nelle costruzioni come la forma geometrica più solida.
Il quartiere, cui il Flatiron dà il nome, è uno dei più costosi e ambiti della Grande Mela per l’edilizia residenziale. Dopo l’abbandono della MacMillan, la sorte del Flatiron sembrava segnata, anche perché molte società hanno ridisegnato gli spazi per uffici subito dopo la pandemia. La riprogettazione di uffici ha portato alla luce una verità scomoda per il Flatiron e allo stesso tempo l’opportunità di un ricco futuro: la sua struttura è vecchia, meglio ripensarne del tutto il suo utilizzo. Non più uffici, avanti con le abitazioni di lusso.
Tre anni di lavori per far rinascere il vecchio Flatiron
L’annuncio della seconda vita per il Flatiron è stato dato dalla Brodsky Organization, un’azienda newyorchese specializzata nella ristrutturazione di edifici e quartieri storici della città. Dean Amro, una delle figure principali della compagnia, ha spiegato al New York Times che la conversione del Flatiron potrebbe durare tre anni. Dopo l’approvazione del Dipartimento di Pianificazione Urbana, che potrebbe richiedere un anno, si potrà passare alla demolizione di strutture interne e alla ricostruzione in chiave abitativa.
La Brodsky Organization, dopo uno stallo fra il gruppo di proprietari e un’asta andata a vuoto con un acquirente a sorpresa (il finanziere Jacob Garlick, che non è poi riuscito a pagare il prezzo offerto), ha stretto una partnership con i quattro azionisti principali del Flatiron, tra i quali la GFP Holdings di Jeffrey Gural e il Gruppo Sorgente della famiglia italiana Mainetti. La nuova partnership ha sottolineato alla stampa di voler lavorare a stretto contatto con la Landmark Preservation Commission proprio perché il Flatiron è un edificio simbolo di New York.
Malgrado l’ammirata estetica esterna, gli uffici del Flatiron, secondo varie dichiarazioni dopo l’uscita della casa editrice, erano ritenuti come piccole gabbie per conigli (o, secondo i più critici, per topi) con ascensori angusti e scale fuori misura, l’aria condizionata non centralizzata che costringeva ad avere grandi e rumorosi condizionatori alle finestre, e vecchi serramenti fatti da intelaiature di legno rivestite di rame, con polvere e spifferi d’aria che facevano volare ovunque i fogli dei manoscritti affidati alla casa editrice. Impiegati e autori, però, vedevano in questo disordine, con libri e fascicoli ammucchiati ovunque, proprio il bello del Flatiron.