Ogni storia ha un inizio. Quello del nuovo Canale di Panama risale al 15 luglio del 2009 quando l’Autorità del Canale di Panama sigla il contratto con il GUPC (Grupo Unidos por el Canal), il consorzio che si è aggiudicato l’appalto per la costruzione dell’opera.
In meno di un mese partono i lavori per il “terzo set di chiuse”, dando il via a un cantiere enorme con numeri da capogiro: 74 milioni di metri cubi di scavi, 290.000 tonnellate di ferro, 5 milioni di metri cubi di calcestruzzo, oltre 100 milioni di ore di lavoro. Un lavoro imponente e complesso che risponde ai criteri della sostenibilità ambientale.
L’allargamento non deve impattare negativamente sull’ambiente e sul consumo idrico, ma è fondamentale per esaudire l’esigenza di Panama di restare un nodo nevralgico del commercio marittimo mondiale, e il nuovo Canale risponde a questa domanda. Le sue dimensioni permettono il passaggio delle navi Post-Panamax, lunghe 1.200 piedi, larghe 160 e con un pescaggio di 50 piedi. Questo significa che il carico trasportato viene di fatto triplicato passando da 5.000 a 12.600 Teu (i container twenty foot equivalent unit).
Per portare a termine il progetto viene ideato un sistema di 16 paratoie (otto sul versante Atlantico e otto su quello Pacifico), pesanti tra le 2.500 e le 4.000 tonnellate ciascuna e alte fino a 33 metri. L’apertura e la chiusura delle paratoie, accompagnata al riempimento e allo svuotamento dei bacini di acqua realizzati al lato del Canale, garantiscono il sollevamento delle navi fino al livello del lago Gatùn e il conseguente abbassamento per ritornare al livello del mare. Per entrare nel lago Gatùn le navi vengono sollevate di 27 metri e la stessa operazione si ripete al contrario, al momento dell’uscita. I movimenti delle paratoie sono un esempio di meccanica e tecnologia perché ogni manovra, al passaggio delle navi, deve essere eseguita con precisione millimetrica, e ogni chiusa ha solo cinque minuti per compierla.
Genesi di una grande opera
Il loro movimento anticipa quello dell’acqua che, sfruttando il sistema dei vasi comunicanti, passa dalle enormi vasche all’interno del Canale. L’acqua, di conseguenza, riempie le chiuse, solleva l’imbarcazione e termina in mare insieme alla nave. Da qui l’idea di ideare un sistema (chiamato Water Saving Basins) per disperdere la quantità di acqua minore possibile attraverso la costruzione di un canale secondario che corre parallelo a quello di transito, raccoglie l’acqua che sta uscendo e la riporta nelle vasche laterali. In questo modo si ottiene un risparmio di acqua del 60% e il transito delle navi, che in condizioni equivalenti a quelle del vecchio Canale avrebbe richiesto l’utilizzo di circa 500 milioni di litri, si realizza con circa 200 milioni.
«Tutta l’opera funziona a gravità – commenta Giuseppe Quarta di Salini Impregilo e Ceo del GUPC – senza neanche una pompa. L’acqua esce dalle vasche e riempie il Canale, sollevando l’imbarcazione. Quando questa passa al livello successivo, seguendo lo stesso principio dei vasi comunicanti, l’acqua si riduce tra le chiuse e torna a riempire le vasche. La cosa incredibile di questo Nuovo Canale è che usa meno acqua dell’altro. Il 60% dell’acqua utilizzata viene infatti riciclato. Nonostante la sua immensa grandezza, questo è un progetto a bassissimo impatto ambientale».
Copyright © Edoardo Montaina by Salini-Impregilo per tutte le immagini del Numero Speciale “Il Nuovo Canale di Panama”