Un concorso internazionale per scegliere il progetto architettonico migliore; venti anni per realizzarlo; un miliardo di dollari per coprire i costi dei lavori. Il Grande Museo Egizio del Cairo non è più un sogno. Ad oggi il mese previsto per la sua inaugurazione è febbraio, un miraggio per molti se si considera che la sua storia inizia nel 2003 quando viene indetto il primo concorso che mette uno di fronte all’altro i più grandi studi di progettazione del mondo. Alla fine, l’onere e l’onore di disegnare la nuova casa dei faraoni cade sullo studio irlandese Heneghan Peng Architects con i lavori di costruzione che iniziano nel 2005.
Il governo egiziano non ha ancora ufficializzato la data, ma gli addetti ai lavori sono convinti che sia ormai una questione di settimane prima che una grande opera dedicata alla cultura e all’arte possa diventare patrimonio di tutti.
Il Grande Museo Egizio del Cairo: un record mondiale per l’arte e l’archeologia
L’interesse mondiale per il Grande Museo Egizio è stato riacceso nell’aprile del 2021 quando il governo ha organizzato la Parata d’Oro dei Faraoni, ovvero 22 mummie reali sono state spostate dal vecchio museo al nuovo. Un evento unico, trasmesso in mondovisione, che ha confermato il valore di questa opera, straordinaria già solo per la sua posizione. Il Grande Museo sorge infatti al limite di un altopiano desertico tra la Grande Piramide di Giza e il Cairo. Il sito, a 20 chilometri dalla città, occupa 48 ettari e si sviluppa su un dislivello di 50 metri perché una delle facciate in pietra si affaccia sul Nilo.
Per entrare al museo si passa attraverso un piazzale monumentale che introduce a un atrio occupato da una statua del faraone Ramses II alta quasi 11 metri e risalente a 3.200 anni fa. Superato Ramses II si entra in contatto con il maggiore spazio espositivo al mondo dedicato a una sola civiltà: 500.000 metri quadrati di aree museali con 100.000 reperti esposti, 20.000 dei quali mai mostrati al pubblico. Intorno alla storia, l’innovazione e la tecnologia di una struttura unica, come la facciata costruita in vetro, marmo e 10.000 tonnellate di alabastro, o i pannelli solari triangolari che ricordano la forma delle piramidi. Il tutto per proteggere un patrimonio sconfinato che l’Egitto condivide con il mondo.
Abu Simbel, proteggere e tutelare l’arte
Nel raccontare il Grande Museo Egizio del Cairo, la memoria corre indietro nel tempo e – senza tornare troppo nel passato – arriva all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso quando in Egitto si è svolta una storica impresa culturale e di altissimo livello tecnico: il salvataggio dei templi di Ramses II ad Abu Simbel. Il 9 gennaio del 1960, appena tre mesi dopo l’inizio dei lavori per la costruzione della grande diga di Assuan, l’Unesco lancia un appello mondiale rispetto al rischio che la nuova diga possa provocare l’inondazione dei templi. Quell’appello viene raccolto da grandi aziende in giro per il mondo anche italiane – poi confluite nel Gruppo Webuild – che mettono insieme alcuni dei loro uomini e mezzi migliori per partecipare all’impresa di salvataggio dei templi. I due templi, che pesano rispettivamente 265.000 e 55.000 tonnellate, vengono prima segmentati, quindi le sculture vengono separate in blocchi, smontate e rimontate in un sito sicuro ossia una collina artificiale rivestita della pietra originaria. Il 21 maggio del 1965, dopo circa due anni di lavori, viene spostato il primo blocco mentre nel settembre del 1968, dopo 40 milioni di ore di lavoro, i due templi vengono ricostruiti alla perfezione e riconsegnati alla collettività.
Quei musei come opere d’arte
Prima ancora della collezione che ospita, il Gran Museo Egizio del Cairo è esso stesso un’opera d’arte. Le sue linee, la sua struttura, le sue tecnologie, l’integrazione perfetta con l’ambiente lo trasformano in un manufatto artistico. Così avviene per molti grandi musei, dal Guggenheim di Bilbao progettato da Frank Gehry allo Stavros Niarchos Foundation Cultural Center, l’incredibile centro culturale realizzato dal Gruppo Webuild ad Atene e progettato dall’architetto italiano Renzo Piano. L’arte e l’archeologia si intrecciano così con la scienza ingegneristica, come accade anche nell’ambizioso progetto di costruzione della nuova stazione della Metro C di Roma a piazza Venezia. L’opera, realizzata dal Consorzio Metro C guidato da Webuild e Vanini Lavori, prevede infatti la realizzazione di una stazione museo, la più incredibile al mondo che si trasformerà in una vetrina sotterranea sulla civiltà degli Antichi Romani.