In viaggio tra oriente e occidente

Dal 1973 ad oggi i ponti di Istanbul hanno contribuito alla crescita economica della città

Di notte le luci di Istanbul brillano sul mare e fanno da esca per i pescatori che affollano il ponte Galata prima di tornare nelle loro case nel quartiere di Ortaköy, sulla sponda europea del Bosforo.
Passeggiano per i vicoli stretti, lasciandosi alle spalle la moschea neo-barocca costruita a due passi dall’acqua, mentre sopra i loro occhi il Fatih Sultan Mehmet collega il quartiere con l’altra sponda della città suturando una terra spaccata in due, da un lato l’Europa, dall’altro l’Asia. Il secondo Ponte sul Bosforo,costruito tra il 1985 e il 1994 ha una luce di 1.090 metri ed è collegato con un’autostrada lunga 247 chilometri che unisce la città di Kinali, in Europa, con quella di Kazanci, in Asia.
Il ponte è una fettuccia tra due mondi, un’espressione tangibile del desiderio di scoperta dell’uomo che a Istanbul è divenuto strumento e simbolo di una rinascita culturale, economica e sociale. 

Già 400 anni prima di Cristo i grandi conquistatori si convinsero che la spaccatura tra i due continenti dovesse essere superata. Lo storico greco Erodoto racconta che fu l’imperatore persiano Dario il Grande il primo a pensare di costruire un ponte sul Bosforo. In quel caso il passaggio da una sponda all’altra del mare venne realizzato mettendo in fila centinaia di navi così da costruire una passerella artificiale. Anche Serse, suo successore, decise di allestire un ponte artificiale fatto di barche per assicurare il passaggio delle truppe nella sua campagna di conquista della Grecia. In quel caso, però, venne scelto un passaggio più a Sud, nello stretto dei Dardanelli.
Queste imprese per unire due mondi all’apparenza così lontani, sono espressione di un’idea cullata per secoli fino al 5 novembre del 1973 quando venne inaugurato il primo Ponte sul Bosforo, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla nascita della Repubblica Turca, alla presenza di un milione di persone. Lungo 1.500 metri e alto 64 metri sul livello del mare, il Boğaziçi Köprüsü (questo il suo nome in turco) è stato il primo ponte permanente a unire due continenti.

Bosphorus
Istanbul, Bosforo

È questa la prima e grandiosa risposta della Turchia alla fame di sviluppo di Istanbul, una città che – proprio in quel periodo – stava assistendo ad una incontrollata crescita demografica. All’inizio degli anni Settanta decine di migliaia di persone lasciarono gli altipiani dell’Anatolia per iniziare una nuova vita nella grande città. Grazie al ponte, i nuovi arrivati che si erano insediati sul lato asiatico avevano la possibilità di andare a lavorare sulla sponda europea, dove le opportunità erano maggiori e l’economia più vitale. Questo esodo giornaliero era così comune che, nei primi tempi, era possibile attraversare il ponte anche a piedi, fino a quando il traffico automobilistico divenne così intenso da interdire il passaggio ai pedoni. 

Attualmente 180mila veicoli transitano ogni giorno sul primo ponte sul Bosforo, molti di più rispetto ai 120mila che attraversano il Brooklyn Bridge di New York City.
Questo flusso racconta alla perfezione l’enorme sviluppo economico e demografico vissuto da Istanbul negli ultimi anni 30 anni (nel 1970 la città contava 2 milioni di abitanti; oggi ha superato i 13 milioni). Non solo: tra il 1950 ed oggi, la ricchezza prodotta dalla città è cresciuta ad una media annua del 4,5%, mentre i suoi abitanti pagano il 40% dell’intero gettito fiscale della nazione.
Per sostenere questo sviluppo, strategica è stata la costruzione del secondo ponte sul Bosforo (realizzato da un consorzio di imprese di cui ha fatto parte Salini Impregilo), ideato per dar vita a un anello che permettesse ai pendolari in auto di girare intorno ai quartieri centrali senza attraversarli. Missione compiuta, almeno leggendo i dati, perché nei sette anni successivi alla sua inaugurazione gli scambi commerciali tra le aree circostanti al ponte sono aumentati del 31,8%, mentre dalla sua inaugurazione ad oggi il conglomerato urbano nato intorno alle sue vie d’accesso è passato da 340 a 42.260 ettari.

Infografica Ita

Da questo successo, e dal boom demografico della città (i calcoli del governo di Ankara prevedono che Istanbul raggiungerà i 16 milioni di abitanti entro il 2020), è nato il progetto di un terzo ponte, inaugurato nell’agosto del 2016 dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Le stesse ragioni che hanno convinto il governo di Ankara a investire 1,24 miliardi di dollari per la realizzazione di “Avrasya”, il tunnel lungo 14,6 chilometri e costruito a cento metri di profondità sotto le acque del Bosforo. “Avrasya”, inaugurato alla fine del 2016, è attraversato ogni giorno da 100mila veicoli e ha ridotto i tempi di percorrenza da 100 a 15 minuti.
La costruzione del terzo ponte e del tunnel sembrano l’evoluzione naturale di un percorso iniziato da lontano e rilanciato nel 1937, quando l’architetto francese Henri Prost elaborò il “Piano Prost”, un grande progetto urbanistico voluto da Mustafa Kemal Atatürk, primo presidente della Repubblica Turca, che prevedeva la realizzazione delle grandi arterie stradali, il restauro e la protezione dei monumenti storici, la creazione di nuovi centri urbani come il parco di Gezi, tutti interventi che avrebbero dato vita alla Istanbul moderna.

I ponti sul Bosforo erano parte di questa visione, strumenti di trasporto e simboli di potere, facilitatori di scambi, ma anche traghettatori silenziosi, capaci di accompagnare l’uomo in un percorso spirituale, prima ancora che fisico.
Lo stesso percorso compiuto da Orhan Pamuk che scrive: «Ho trascorso la mia vita ad Istanbul, sulla riva europea, nelle case che si affacciavano sull'altra riva, l'Asia. Stare vicino all'acqua, guardando la riva di fronte, l'altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme. Ho capito che il meglio era essere un ponte fra due rive. Rivolgersi alle due rive senza appartenere».