Dal New Deal di Roosevelt allo “Stimulus Package” di Barack Obama fino al piano Trump da 1 trilione di dollari, le grandi iniziative di stimolo all’economia statunitense hanno sempre rispettato l’equazione infrastrutture uguale lavoro.
Nel paese dove le grandi opere vengono trasformate in simboli, come accaduto a San Francisco con il Golden Gate piuttosto che a New York con il ponte di Brooklyn, il lavoro diventa parte della storia e contribuisce ad alimentare quella mitologia del sogno americano che le stesse infrastrutture hanno contribuito a creare. Così, dietro i volti degli operai fotografati in pausa pranzo mentre sedevano su una trave sospesa nel cantiere del Rockefeller Center, ci sono i numeri di tutti quelli che – come loro – hanno costruito e continuano oggi a costruire l’America.
La Brookings Institution, uno dei più prestigiosi think tank degli Usa, calcola che 14,2 milioni di americani (l’11% della forza lavoro nazionale) lavorano nelle infrastrutture. Un esercito di persone che si concentra soprattutto nelle grandi città: il 64% dei lavoratori è infatti impegnato nelle 100 principali aree metropolitane del paese, con un picco nelle metropoli: le sole New York, Los Angeles e Chicago raccolgono sul loro territorio 1,8 milioni di occupati.
Una concentrazione del lavoro e dei cantieri, che potrebbe crescere ulteriormente qualora gli investimenti previsti dal piano Trump vengano trasformati nei prossimi anni in progetti reali.
La proposta del Presidente
Il mercato statunitense delle infrastrutture sta attendendo che il piano Trump da 1 trilione di dollari venga calato nella realtà di progetti concreti. Oltre al suo impatto sulla modernizzazione della dotazione infrastrutturale americana, l’effetto di un investimento così ingente si vedrebbe in modo massiccio anche sulla forza lavoro.
Il Center on Education and the Workforce della Georgetown University ha calcolato che le misure promesse dal Presidente sarebbero in grado di creare 11 milioni di posti di lavoro, tra diretti e indiretti.
Circa la metà sarebbero occupazioni ad alto livello specialistico e quindi sottoposte alla formazione del personale. Uno dei grandi problemi del mercato delle infrastrutture negli Usa è infatti legato al livello tecnico della forza lavoro. Non basta aprire cantieri e lanciare la costruzione di grandi opere – mette in guarda la Georgetown University – ma serve prima formare operai, tecnici, ingegneri, in modo da farsi trovare pronti per la nuova sfida.
Un grande mercato con pochi lavoratori
Il vero dilemma degli Usa non è quindi solo legato all’arretratezza delle sue infrastrutture, ma anche alla capacità di reclutare sul mercato la forza lavoro necessaria. Nel 2015 il governo Usa ha calcolato che entro il 2022 al settore delle costruzioni sarebbero mancati 4,6 milioni di lavoratori, necessari per garantire il completamento dei progetti previsti nel paese.
Lo scorso anno, la US Chamber of Commerce ha condotto un sondaggio tra le più importanti società di costruzioni attive negli Stati Uniti e il 78% delle aziende coinvolte ha confermato di avere problemi nel reclutamento di forza lavoro qualificata. Nel 2017 – calcola ancora la Camera di Commercio – ogni mese le aziende hanno dovuto fare i conti con un ammanco di 192.000 lavoratori sul mercato nazionale, il 119% di quanto accadeva cinque anni prima, quando i posti rimasti vuoti erano 88.000 al mese.
A questo si aggiunge un altro elemento significativo legato all’età media dei lavoratori impegnati soprattutto nel settore dei trasporti. La metà di questi – secondo lo US Department of Labor – andrà in pensione nei prossimi dieci anni, un tasso doppio rispetto alla media della forza lavoro americana.
Il problema è stato affrontato in modo differente dai singoli stati. Uno dei casi più significativi è quello del Central Iowa, l’enorme hub logistico nello stato dell’Iowa dove si incrociano aeroporti, linee ferroviarie, trasporto su gomma. Qui è stata siglata una partnership di nome Central Iowa Works alla quale hanno aderito imprese, università, istituzioni locali con l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta di lavoro, e di formare i lavoratori. In media il 75% degli individui che seguono i programmi di formazione di Central Iowa Works vengono poi assunti nel settore delle costruzioni.
Nonostante le iniziative dei singoli stati, così come quelle dei grandi player del settore, la US Chamber of Commerce ha richiamato il governo federale sull’opportunità di approvare nuove leggi che favoriscano la formazione di forza lavoro specializzata nel settore. Solo investendo nelle persone potrà essere colmato quel vuoto che oggi impedisce al sistema infrastrutturale americano di tornare ad essere uno dei più moderni ed efficienti del mondo.
Il futuro nelle “green infrastructure”
Un capitolo a parte, ma destinato a crescere in valore economico e impatto lavorativo, è quello delle infrastrutture verdi, dagli edifici costruiti rispettando i criteri di sostenibilità fino agli impianti idrici realizzati per gestire le acque reflue, ridurre l’inquinamento e gli sprechi di acqua potabile. È un settore in grande espansione che già oggi da lavoro a 3 milioni di persone negli Stati Uniti.
L’analisi è stata realizzata da Job for The Future (l’associazione nonprofit leader negli Usa nella formazione verso un’economia e uno sviluppo “green”) all’interno dello studio “Exploring the green infrastructure workforce”. Lo studio calcola che già oggi esistono 30 professioni specializzate solo per questo genere di infrastrutture, dagli operai esperti nel dragaggio ai tecnici degli impianti di pompaggio idrico, fino agli esperti di materiali sostenibili. È un settore in grande espansione dove sono soprattutto le amministrazioni cittadine a giocare una parte importante con investimenti in progetti di recupero urbano.
Il rapporto “Exploring the green infrastructure workforce” cita due tra gli esempi più emblematici.
Il primo riguarda Philadelphia. Entro il 2036 l’amministrazione cittadina ha previsto investimenti per 1,7 miliardi di dollari per realizzare opere idriche in grado di ridurre l’effetto negativo delle precipitazioni atmosferiche. Il secondo caso è invece quello di New York City, dove saranno investiti 2,4 miliardi di dollari nei prossimi 20 anni, sia per rinnovare molti edifici cittadini, ma anche per modernizzare la rete idrica dopo che gli ultimi uragani, da Sandy a Irene, hanno dimostrato che neanche la Grande Mela è al riparo dai rischi del clima.