La storia dei migranti italiani è anche la storia dell’Australia moderna. Migliaia di operai e ingegneri arrivati in un paese lontano per rifarsi una vita e finiti a costruire – oltre che il proprio futuro – anche quelle grandi infrastrutture che sarebbero diventate la spina dorsale di un continente innovativo e ricco.
Ponti, strade, dighe, impianti idroelettrici, ferrovie: molte delle grandi opere australiane realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso portano la firma delle migliaia di italiani che avevano attraversato il globo per fuggire alla povertà del Secondo Dopoguerra.
Una storia che assomiglia quasi a una tradizione, tramandata di padre in figlio, e capace di arrivare fino ad oggi, a quegli ingegneri e tecnici che ancora nel 2022 sono impegnati nella realizzazione delle più moderne opere presenti in questo continente.
Partendo dall’Opera House di Sydney, la cui costruzione è iniziata nel 1959, si arriva fino al parco naturale delle Snowy Mountains, circa cinque ore di macchina dalla capitale, dove oggi ingegneri italiani fanno parte del team che sta realizzando lo Snowy 2.0, uno dei più grandi impianti idroelettrici del paese.
È un viaggio nel tempo e nello spazio, attraverso la vecchia e la nuova Australia, un paese costruito insomma anche grazie all’impegno e al talento degli italiani arrivati da lontano.
Italiani in Australia: il miraggio australiano del Dopoguerra
Nel Secondo Dopoguerra l’Italia era un paese sconfitto e povero. E gli italiani un popolo sopraffatto dalle difficoltà economiche e alla ricerca di una nuova terra dove lavorare e crescere.
E così tra il 1947 e i 1976 almeno 300mila migranti italiani sono approdati sulle coste australiane. Circa un quinto del totale è arrivato con l’Italian Assisted Migration Scheme del 1951, un piano di accoglienza stipulato tra il governo australiano e quello italiano dell’epoca.
Nel 1971 erano invece 290mila gli italiani registrati al Census del paese, un numero destinato a diminuire negli anni fino ai 163mila di oggi, mentre almeno 1,1 milioni di persone hanno dichiarato di avere un antenato italiano nel loro albero genealogico.
A quel tempo, per gli abitanti dell’Australia il secondo paese d’origine era l’Italia, dopo l’Inghilterra. Secondo il Census australiano, la quasi totalità dei migranti italiani degli anni Cinquanta e Settanta fu impiegata nella costruzione delle grandi opere infrastrutturali, a conferma del loro ruolo svolto proprio nel settore delle costruzioni sul quale gli italiani avevano una esperienza e una capacità tecnica avanzate.
La Highway 1 e le altre opere: nei cantieri delle grandi infrastrutture australiane
Lavorare nel cantiere della Highway 1 – la rete di autostrade che circumnaviga l’Australia – era come sentirsi parte della storia. Quando nel 1955 è stato creato il National Route Numbering System, ovvero l’unificazione del sistema stradale australiano, l’Highway 1 era il cuore di un ambizioso progetto di mobilità federale. E oggi, questa autostrada, lunga quasi 14.500 chilometri, tocca tutte le capitali degli stati a parte Canberra.
Nei suoi cantieri hanno lavorato moltissimi operai e ingegneri italiani, provenienti soprattutto dal Sud del paese. Stessa cosa anche nei cantieri del West Gate Bridge, il ponte che attraversa il Yarra River di Melbourne, noto per essere stato il teatro del peggior incidente sul lavoro della storia australiana. Il 15 ottobre del 1970 una spanna del ponte in costruzione collassò provocando la morte di 35 operai.
A parte il triste caso del West Gate Bridge, la storia dei cantieri australiani è sinonimo di sviluppo e di grandi opere come la metropolitana di Melbourne, che hanno contribuito ad accelerare il processo di crescita di un paese divenuto tra i luoghi con qualità della vita migliore al mondo.
Dagli anni Settanta a oggi, la sfida degli italiani nei cantieri di Snowy
Fabrizio Lazzarin ha 47 anni e lavora in Australia dal 2018. «Sono arrivato a Sydney dopo sei anni trascorsi nei cantieri africani – racconta – e fin da subito ho apprezzato la bellezza di questa città».
Lazzarin è un ingegnere di Webuild, selezionato per partecipare fin dalle prime fasi all’assegnazione del progetto Snowy 2.0 e alla sua realizzazione. Stiamo parlando di un maxi progetto che prevede la costruzione di un impianto di pompaggio e di nove impianti idroelettrici capaci di generare 2.000 MW di energia pulita, arrivando a coprire il fabbisogno di 3 milioni di abitazioni per oltre una settimana.
«Dopo il primo anno – prosegue – mi ha raggiunto qui la mia famiglia, mia moglie e i miei due figli di 7 e 13 anni, e stiamo ricostruendo la nostra vita qui».
Fabrizio trascorre cinque giorni della settimana nel campo base di Cooma, a cinque ore di macchina da Sydney, avamposto per raggiungere il cantiere di Snowy. Qui svolge la sua attività di Deputy Project Director e Technical Director, quindi si occupa di verificare lo stato di avanzamento dei lavori, la qualità, e di supervisionare anche gli aspetti tecnici. «Noi italiani in cantiere siamo circa 50, e naturalmente rappresentiamo un gruppo coeso, anche se abbiamo legato con tutti».
Webuild lavora nell’ambito della joint-venture Future Generation e fin dall’inizio l’obiettivo condiviso è stato quello di mettere a fattor comune competenze e talenti.
«L’Italia ci manca – ammette Lazzarin – ma questo è un paese con una natura meravigliosa, un’amministrazione pubblica che funziona molto bene e città bellissime. Siamo lontani, ma siamo parte di un grande progetto, moderno e sostenibile, e questo ci rende orgogliosi».
Lo stesso orgoglio che ha segnato la storia di vita delle migliaia di italiani che hanno messo la loro firma e il loro sudore sulle grandi opere australiane.