Spesso è a due corsie, separate solo da una striscia arancione, senza spartitraffico né corsie d’emergenza ai lati. A volte è congestionata, occupata da pullman e tir sovraccarichi. Per molti tratti impervia come quando dai ghiacciai di Ushuaia in Argentina si arrampica lungo le Ande fino alla Colombia, oppure attraverso le foreste pluviali e le spiagge caraibiche del Centro America. Tutto questo è la Panamericana, non una semplice strada, ma una grande infrastruttura costituita da una rete stradale di circa 30mila km (può raggiungere i 48mila considerando anche tutte le sue diramazioni) che taglia le Americhe da Prudhoe Bay in Alaska a Ushuaia in Argentina, interrotta solo per 87 km al confine tra Panama e Colombia nel Tapón de Darién, una regione nel pieno della foresta pluviale, prima di riprendere la sua corsa nel paesino colombiano di Turbo.
Secondo il Guinness dei Primati è il sistema stradale più esteso del mondo, anche se ogni tratta nazionale è diversa dall’altra per caratteristiche tecniche, lunghezza e manutenzione, e la gestione dipende unicamente dal paese di competenza.
Fin dall’Ottocento molti stati americani hanno coltivato il sogno di unire il continente con una rete stradale e ferroviaria unica, da Nord a Sud. Il primo progetto fu lanciato dal governo degli Stati Uniti nel 1880 e prevedeva la realizzazione di una linea ferroviaria da New York a Buenos Aires lunga quasi 11mila miglia.
L’idea di realizzare una ferrovia transcontinentale sopravvisse solo sulla carta perchè nel 1923 la V Conferenza Panamericana, tenuta a Santiago del Cile, cancellò il progetto e lo sostituì con la costruzione di una superstrada, che inizialmente avrebbe dovuto collegare Nuevo Laredo, in Messico, fino a Colón, Panama. Il costo previsto era di circa 55 milioni di dollari americani e per costruirla gli Usa, su spinta del Presidente John Calvin Coolidge junior, promisero un sostegno economico ad alcuni governi dell’America centrale. Nel 1936 gli stati americani firmarono a Buenos Aires il “Pan American Highway”, il trattato che – tra le altre cose – diede il via libera definitivo al progetto.
Ma la Panamericana non è mai stato un progetto comune in grado di unire il continente anche dal punto di vista politico. I primi interventi di costruzione si concentrarono in Alaska e in Messico. Quest’ultimo fu il primo a inaugurare la sua tratta nel 1943 con l’apertura di un percorso stradale lungo 960 chilometri. Proprio in Messico la strada divenne presto un’attrazione al punto da ospitare a partire dal 1950 la “Carrera panamericana”, una corsa automobilistica internazionale, chiusa nel 1954 anche per l’alto numero di incidenti mortali.
Così come il Messico, anche i paesi del Sudamerica si mossero in modo indipendente. Venezuela, Colombia ed Ecuador erano già collegati tra loro attraverso la “Carretera Bolivariana”, che ha continuato ad essere gestita in modo autonomo da ciascun paese. Negli anni Trenta anche il governo peruviano iniziò la costruzione di una strada per collegare il paese da Nord a Sud, integrata con la superstrada fino a Santiago del Cile. Da qui partiva la via per Mendoza, in Argentina, attraverso il passo di Uspallata a quasi 4mila metri sulle Ande, coperta dalla neve per sei mesi l’anno.
Un percorso frammentato che – nel suo insieme – attraversa 14 paesi, dal Canada all’Argentina, e zone climatiche differenti, dalla tundra artica alla foresta boreale, dalle praterie ai deserti fino alla giungla tropicale.
Nell’area nord-americana la Panamericana non è individuata ufficialmente, ma vengono prese in considerazione le autostrade, a partire dalla Alaska Highway, che – attraverso una serie di collegamenti – conducono fino a Nuevo Laredo in Messico. Tra queste le Interstate 35, che passa per Dallas, o la Interstate 25 che invece attraversa Denver (Colorado) fino a Las Cruces, in New Mexico.
Una volta raggiunto il Messico, la strada taglia tutti gli stati del Centro America passando per le loro capitali (Guatemala City, San Salvador, Managua, San José e Panama City) con l’unica eccezione della capitale dell’Honduras. È in questa fase del percorso che la Panamericana diventa impervia e incarna quell’immagine avventurosa che la narrativa le ha assegnato nel tempo. In Costa Rica sale fino a 3.335 metri di altezza raggiungendo il picco chiamato il “Cerro de la Muerte”, anche se il punto di passaggio più alto è stato per molti anni il Passo di Uspallata in Argentina (3.832 metri), sostituito nel 1980 dal Tunnel del Cristo Redentore che passa sotto la montagna ad un’altitudine di 3.200 metri.
In terra argentina inizia il tratto finale, “l’ultimo miglio” che in questo caso però è lungo ben 3.045 chilometri e che parte dalla capitale del Paese fino a Ushuaia, situata nella Isla Grande, l’isola più estesa nella Terra del Fuoco, e considerata dal governo argentino la città più a sud del mondo.
Percorrerla tutta è un atto di coraggio. In tanti ci hanno provato e qualcuno è stato più rapido di altri. Nel 1987 Tim Cahill e Garry Sowerby hanno completato l’intero tragitto in ventitre giorni, ventidue ore e quarantatre minuti, mettendo a segno il record di tempo in automobile, poi raccontato nel libro “Road Fever”.
La loro impresa è scritta nel Guinness dei Primati, anche se sembra poca cosa in confronto alla conquista epica dell’avventuriero britannico George Meegan che – tra il 1977 e il 1983 – percorse l’intera distanza a piedi in 2.425 giorni. Un’avventura senza tempo che ricorda la fuga inarrestabile di Forrest Gump da un lato all’altro degli Stati Uniti al grido di: «Corri Forrest, corri!».