Sono bastate poche parole inserite nel discorso di insediamento del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, per dare “energia” alle infrastrutture d’acqua e in particolare alla costruzione e manutenzione delle dighe americane.
«Garantire acqua potabile pulita e sicura è un diritto in tutte le comunità», ha annunciato Biden promettendo di «investire nella riparazione di condutture idriche e sistemi fognari, nella sostituzione di condutture di servizio, nell’aggiornamento degli impianti di trattamento e nel monitoraggio della qualità dell’acqua». Non solo: nel programma del nuovo Presidente è inclusa anche «la protezione dei bacini idrografici e degli impianti per l’acqua pulita, sviluppando infrastrutture verdi e soluzioni naturali».
Il piano Biden, per quanto non accenni alla costruzione di nuove dighe o impianti idroelettrici, ha ricevuto un attestato virtuale di fiducia dagli operatori pubblici e privati di un settore che nel corso delle ultime Amministrazioni ha collezionato più delusioni che atti concreti, e non solo per la priorità spesso rivolta ad altri settori delle infrastrutture. Uno degli snodi più critici è conciliare i programmi e i fondi federali con i progetti e gli investimenti che i singoli stati riescono ad attivare. Non è raro constatare, infatti, che il governatore di uno stato abbia dovuto rinunciare a un progetto già finanziato dall’Amministrazione centrale al 75-80% perché i suoi concittadini non l’hanno approvato, soprattutto quando si trattava di pagare la parte restante con l’aumento delle tasse locali. Con il risultato che i fondi federali sono stati dirottati su altro.
Le infrastrutture d’acqua sono tra le più esposte nella mappa delle urgenze del Paese. Secondo il National Inventory of Dams (NID), negli Stati Uniti ci sono 91.457 dighe. La loro età media è di 57 anni. Otre 8,000 di queste hanno più di 90 anni e ben il 17% del totale è identificato ad alto rischio. Una stima, resa nota nel 2016 dall’American Society of Civil Engineers (ASCE), indica un fabbisogno di 45 miliardi di dollari solo per la riparazione e messa in sicurezza dei siti più obsoleti.
La promessa di Biden per un’energia sicura e pulita
Tra le varie agenzie governative che hanno parola sul capitolo dighe vi è la Federal Energy Regulatory Commission (FERC), visto che oltre 2.700 dighe americane, il 3% del totale, è al servizio di un impianto idroelettrico. Il Presidente Biden nei suoi primi ordini esecutivi ha nominato Rich Glick a capo della FERC con il preciso scopo di assicurare negli anni a venire energia sicura, affidabile ed economicamente efficiente per gli utenti.
«Questo è un momento importante per compiere progressi significativi nella transizione verso un futuro di energia pulita», ha detto Glick, che proviene dal settore privato delle utilities, con esperienza tra gli altri in Iberdrola e PacifiCorp. Glick, inoltre, ed è stato consulente generale per il partito Democratico al Comitato del Senato per l’Energia e le Risorse Naturali.
Come primo effetto, la FERC ha annunciato l’avvio di un’indagine su come riuscire a garantire che le aziende che possiedono dighe abbiano risorse finanziarie sufficienti per mantenerle in buone condizioni. L’azione è una prima risposta al crollo della diga Edenville nel Michigan, che nel maggio 2020 ha causato a valle anche il cedimento della diga Sanford. Un evento che ha riportato sotto i riflettori le immagini di tre anni prima in California, dove la lesione dello sfioratore d’emergenza della diga di Oroville, ha rischiato di scaraventare un muro di dieci metri d’acqua su tre contee a Nord di San Francisco. L’evacuazione di 180mila persone e la messa in sicurezza dell’impianto da parte del US Army Corps of Engineers (USACE) hanno evitato un evento catastrofico.
Diviene pubblica la lista delle dighe più a rischio
Al Corpo degli Ingegneri, che ripercorrendo la scala gerarchica militare riporta al Presidente degli Stati Uniti in quanto Comandante in Capo, è assegnato un ruolo centrale nella progettazione, costruzione e manutenzione delle dighe americane. Il 25 gennaio, quattro giorni dopo l’insediamento della nuova Amministrazione, ha esteso al pubblico l’accesso alla mappa delle dighe e delle inondazioni, da sempre limitato alle autorità di gestione delle emergenze e alle agenzie federali, con le quali vigeva un accordo di non divulgazione. Nel 1972 il Congresso ha attribuito l’incarico di stilare e gestire il National Inventory of Dams (NID) al Corpo degli Ingegneri che, di fatto, sono considerati la massima autorità in materia.
Sul totale di 91.457 dighe censite, ben 57.934, pari al 63%, sono di proprietà privata, il 20% (18.297) fa capo a governi locali e il 4,1% (3.827) è invece di proprietà federale. Un altro 4,2% (3.845) è controllato da “public utility” e il 7,4% (6.728) è di proprietà di singoli Stati. Le restanti 1.366 dighe sono tuttora “indeterminate” nel censimento della loro proprietà.
Le dighe che proteggono l’America dalle inondazioni
Circa il 20% delle dighe elencate nell’inventario nazionale viene utilizzato principalmente per il controllo delle inondazioni, con un beneficio stimato dall’USACE in 5 miliardi di dollari di danni finora evitati dalle dighe e dagli argini per il controllo delle inondazioni sia nella Central Valley, in California, sia per esempio nella Tennessee Valley.
Nel Midwest, nel Sud e Sud-Est, la costruzione di sistemi di argini si è diffusa maggiormente grazie all’attuazione del Flood Control Act del 1936 da parte dell’USACE che ha incoraggiato lo sviluppo urbano e agricolo nelle fertili pianure alluvionali lungo il fiume Mississippi e nelle zone umide della Florida. Con gli anni l’attenzione dei governi locali e dei contribuenti si è rivolta sempre di più alla bonifica dei territori. È il caso delle note Everglades nella Florida del Sud, dove sono stati varati programmi di grande importanza come il progetto Caloosahatchee C-43 West Basin Storage Reservoir (WBSR), in corso di costruzione da parte di Lane Construction (controllata del Gruppo Webuild) per la riqualifica dei terreni paludosi e il contenimento delle acque reflue.
La realizzazione di un bacino nell’estuario Caloosahatchee, con una diga in terra con perimetro di 26,2 chilometri e un setto separatore dei due bacini di 4,5 chilometri, durante i periodi di pioggia permetterà di contenere le acque contaminate provenienti dai terreni residenziali e agricoli dell’area, mentre nei periodi di secca garantirà l’apporto idrico necessario per mantenere livelli ottimali di salinità.
La scommessa delle dighe Usa per lo sviluppo agricolo
La creazione negli Stati Uniti di in un sistema di dighe destinate allo sviluppo agricolo urbano, energetico e irriguo è stata avviata con l’approvazione del cosiddetto Reclamation Act da parte del Congresso nel 1902, con la conseguente creazione del Bureau of Reclamation e la costruzione di importanti dighe per l’irrigazione e la produzione idroelettrica come la Hoover Dam, completata nel 1936 e ancora oggi una delle opere di ingegneria più visitate negli Stati Uniti. La Hoover Dam è stata progettata per produrre energia idroelettrica, domare le inondazioni lungo il fiume Colorado tra il Nevada e l’Arizona e fornire acqua potabile e irrigazione a milioni di persone attraverso la formazione del Lago Mead, il più grande bacino idrico degli Stati Uniti in volume e fonte principale della città di Las Vegas.
Pur essendo imponente e ben gestita, anche la Hoover Dam ha subito gli effetti del cambiamento climatico e delle richieste idriche sempre maggiori da parte della megalopoli del gioco. Così, nel 2014, il Mead è stato dotato di un’altra infrastruttura unica nel suo genere, il cosiddetto Intake 3, un tunnel idraulico costruito a 200 metri di profondità da Webuild per combattere la siccità del Colorado e riportare il grande bacino a livelli di fornitura idrica sostenibile.
La differente lettura degli impatti ecologici ha portato a metà degli anni ’90 al congelamento dei programmi per nuove grandi dighe negli Stati Uniti, ma ha determinato il rischio crescente di impianti super datati o, in ogni caso, considerati fuori norma rispetto agli attuali controlli legislativi e regolamentari, anche per la grande disparità tra i regolamenti statali e federali sulle dighe, in termini di sicurezza, manutenzione, gestione, ispezione e piani d’emergenza, che variano da stato a stato. Con il risultato di una tendenza a favorire lo smantellamento delle strutture esistenti. Secondo l’associazione American Rivers, che si pone come obiettivo la protezione dei corsi naturali d’acqua, fino al 2019 erano state rimosse 1.722 dighe a livello nazionale, cui si sono aggiunte altre 69 nel 2020.
Una questione, quest’ultima, su cui l’Amministrazione Biden ha promesso di intervenire per assicurare un futuro verde, pulito e sostenibile proprio grazie alle infrastrutture idriche.