Stato di Pahang, cuore della Malesia, a 200 chilometri dalla capitale Kuala Lumpur e a trenta dal paesino più vicino. Un luogo sperduto, immerso in un clima equatoriale, dove il coro di una chiesa malese ha deciso di riunirsi per dedicare un concerto natalizio a tutto il personale del cantiere. È successo il 23 dicembre dello scorso anno e ha aperto le feste natalizie nel campo di Ulu Jelai, la diga che occupa – direttamente e indirettamente – 3.500 persone.
Alessandro Stefanoni, technical manager alla sua prima esperienza in un grande cantiere lontano da casa, ricorda quei giorni con un pizzico di commozione. «È stato bellissimo – ammette – speciale. Perché ho passato il Natale con mia moglie e i miei due bambini di tre e cinque anni. La sera del 24 abbiamo mangiato tutti insieme e al termine del pasto i bambini si sono seduti intorno a un tavolo e hanno finto di giocare a carte. Quell’immagine mi è rimasta impressa: c’erano bimbi italiani, malesi, indiani, etiopi, americani tutti riuniti intorno a un tavolo». Una scena che si è ripetuta il 25, con il pranzo e la consegna dei regali ai bambini. Stefanoni ci pensa e ricorda: «Vedo la mia famiglia tre, quattro volte all’anno. Passare molti giorni insieme a loro sotto le feste natalizie è stato un momento importantissimo. Sono riusciti a portare il sentimento e il calore del Natale anche qui».
A migliaia di chilometri da casa, famiglia non è più solo il cerchio degli affetti più cari, ma anche il tuo compagno di scrivania, il collega che ti segue nei lavori sul campo, il professionista di nazionalità diversa che lavora al tuo fianco. «Siamo una famiglia allargata – racconta Francesco Gaeta, health, safety and enviroment manager di Ulu Jelai – e il nostro Natale è già iniziato giorni fa, il 4 dicembre, con la ricorrenza di Santa Barbara, protettrice dei minatori, delle polveriere e delle persone che lavorano in cantiere. Da quel giorno di festa, scandito dalla messa, la benedizione e il pranzo tutti insieme, abbiamo cominciato a respirare lo spirito natalizio».
In questi giorni a Ulu Jelai, oltre ai tunnel, gli sfioratori, la diga, il calcestruzzo, gli uomini hanno cominciato a lavorare sugli addobbi. Li mettono ovunque: negli uffici come intorno al gazebo con un gesto semplice e spesso ripetitivo che però ricorda a tutti che le feste sono un momento speciale per chiunque, indipendentemente dall’etnia e dalla religione.
«Per questa Vigilia di Natale – spiega Gaeta – stiamo organizzando un aperitivo/cena che inizierà intorno alle 7 della sera. L’organizzazione è molto minuziosa al punto che il capo campo fa circolare una bozza di menù che deve essere sottoscritta da tutti. Io, ad esempio, pretendo sempre tortellini in brodo, mentre indiani e malesi hanno gusti totalmente differenti. L’aperitivo sarà seguito dalla tombola con i premi messi a disposizione da Salini Impregilo, un momento esilarante perché partecipano tutte le nazionalità presenti nel cantiere (italiani, etiopi, malesi, spagnoli e così via) e per ognuna viene ripetuto il numero che esce nella lingua di appartenenza. Sentire un numero in tre quattro lingue differenti confonde, ma è il bello di stare tutti insieme. Questa per noi è una seconda famiglia».
Il senso del gruppo e dell’unione è un sentimento fondamentale, che va oltre le origini dei singoli. Lo ricorda anche Domenico D’Agostino, administration and finance manager di Ulu Jelai, con un’esperienza passata nei cantieri Salini Impregilo in Nigeria.
«Luci, alberi, luminarie – racconta – sono strumenti che usiamo per sentirci meno lontani da casa. In cantiere siamo un gruppo di persone che vivono insieme e si crea un rapporto di amicizia. Diventiamo come una famiglia allargata, con africani, asiatici, americani, europei. Ed è molto bello vedere che anche altre culture si godono il Natale. Ma forse, è proprio questo il senso della festa».