Una banca multilaterale di sviluppo concepita per il XXI secolo. Questa la definizione che dà di se stessa, nel suo sito web, l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la banca voluta dal presidente cinese Xi Jinping per promuovere «l’interconnessione e l’integrazione nella regione».
Con una dotazione finanziaria di 100 miliardi di dollari, la AIIB è appena agli esordi, ma già si configura come un player di tutto rispetto. Ampio l’arsenale finanziario a sua disposizione: dal co-finanziamento ai prestiti diretti, dagli investimenti nell’equity ai fondi di garanzia.
Secondo Xi, vero nume tutelare dell’ente insieme al suo primo ministro Li Keqiang, la AIIB «incanalerà più risorse, in particolare investimenti privati, in progetti infrastrutturali» in tutta l’Asia, allo scopo di creare più occupazione, un miglior clima imprenditoriale e un maggior potenziale di crescita economica nel medio-lungo periodo.
Obiettivi ambiziosi, che sembrano un’estensione del “sogno cinese” all’intero continente. E del resto, al di là della propaganda di Pechino, è un fatto che l’Asia abbia una gran fame di infrastrutture. Specialmente alla luce del boom demografico in corso in paesi come l’India e l’Indonesia, dove nel 2025 il numero di abitanti si attesterà rispettivamente a 1,5 miliardi e a 285 milioni.
A Jakarta come a Mumbai o Bangalore, una costante della vita quotidiana sono gli ingorghi stradali, i frequenti blackout, un sistema fognario al collasso: tutti fattori in grado di rallentare lo sviluppo di un paese, e di scoraggiare i tanto agognati IDE (investimenti diretti esteri). Non a caso i progetti già approvati includono, per esempio, il co-finanziamento di un piano per migliorare l’accesso ai servizi pubblici in alcuni slum indonesiani, o la costruzione di una centrale termoelettrica a ciclo combinato in Myanmar.
In base a recenti stime della Asian Development Bank, fino al 2020 l’Asia avrà bisogno, ogni anno, di oltre 700 miliardi di dollari di investimenti, soprattutto strade e ponti, dighe, reti di telecomunicazione ed elettriche. Una cifra gigantesca, che rappresenta allo stesso tempo una sfida, e un’immensa opportunità di business per le aziende di costruzione di tutto il mondo, incluse quelle cinesi, già parecchio attive in Africa (e, di recente, anche in America latina).
Pechino è l’azionista di maggioranza della banca, dato che dispone di 300.972 voti, pari al 28,6992% del totale, ma all’interno dell’istituto sono presenti moltissimi Paesi di regioni differenti, dall’India (8,2807% dei voti) all’Arabia Saudita (2,7285% dei voti). Nutrita è anche la rappresentanza europea perché nell’azionariato della banca figurano Regno Unito, Germania, Francia e Italia. Una varietà che conferma l’interesse nei confronti del mercato asiatico delle infrastrutture, destinato nei prossimi anni a crescere grazie agli investimenti pubblici e privati.