Il Gujarat è uno stato indiano che affaccia ad ovest sul mar arabico. Dalla storia all’arte, raccoglie moltissime eccellenze, anche se tutti ormai lo conoscono come “lo stato urbanizzato dell’India” perché per la prima volta nella storia di questa nazione avrà presto più persone che vivono nelle città rispetto a quelle che popolano i villaggi. Questo perché il Pil pro capite della gente del Gujarat cresce ad un ritmo doppio rispetto alla media indiana e i processi di urbanizzazione si sono accelerati.
Yixing, in Cina, è una città sorta nel IV secolo d.C. ma la sua struttura urbana è stata rivoluzionata da quando è divenuta il punto di riferimento della provincia di Jiangsu, proprio al centro della regione Nanjing-Shanghai-Hangzhou da 1,2 miliardi di abitanti.
Dalla parte opposta del globo, Filadelfia è la seconda più grande città della East Coast: 1,5 milioni di abitanti e un riconoscimento di cui andare orgogliosi, quello di “città più verde d’America”. Per ottenerlo l’amministrazione ha sviluppato “Greenworks Philadelphia”, un ambizioso piano di sviluppo urbano basato sulla sostenibilità ambientale attraverso 166 iniziative che vanno dalla riduzione degli sprechi energetici al calo nell’uso di automobili private, fino allo sviluppo di sistemi di mobilità integrata.
Questi tre esempi raccontano, in modo e con sviluppi differenti, il boom delle infrastrutture nei grandi conglomerati urbani, il loro impatto sulla vita dei cittadini e lo sforzo richiesto ai governi ma anche all’industria delle grandi opere per stare al passo con la rapidità del cambiamento. Un tema che sarà affrontato nell’ottobre prossimo a Pechino all’interno della “International Conference on Sustainable Infrastructure 2016”, partendo da un dato assoluto: nel 2050 circa 7 miliardi di persone vivranno nelle città e il 60% di queste aree urbane è ancora da costruire.
Un boom da gestire
Se è vero che quello infrastrutturale è uno dei settori che traina la crescita economica mondiale, è altrettanto vero che lo sviluppo urbano è uno dei motori di questo boom. A spingere la realizzazione di opere complesse, dalle arterie stradali alle linee metropolitane sono proprio i bisogni crescenti delle città in espansione. E uno studio della società di consulenza McKinsey rivela che da qui al 2030 nel mondo dovranno essere spesi 57 trilioni di dollari per lo sviluppo infrastrutturale e che la maggioranza di questi investimenti finirà nei centri urbani.
In India, ad esempio, la popolazione urbana era costituita da 340 milioni di persone nel 2008 e raggiungerà i 590 milioni nel 2030. Per rispondere a questo boom sarà necessario costruire ogni anno tra i 700 e i 900 milioni di metri quadri di nuove abitazioni, e investire 1,2 trilioni di dollari per costruire tra i 350 e i 400 chilometri di linee metropolitane, e 25mila chilometri di nuove strade all’anno. In Cina, la
popolazione urbana è destinata a crescere dai 636 milioni del 2010 ai 905 del 2030. E da qui al 2050 il Paese dovrà investire tra i 110 e i 125 miliardi di euro all’anno per migliorare le infrastrutture urbane.
Ma ripensare le politiche di sviluppo urbano non è solo una questione che tocca i Paesi in via di sviluppo o quelli che stanno vivendo un potente boom demografico. Negli Stati Uniti, ad esempio, il tema è molto dibattuto e tanto gli Stati quanto le città hanno cominciato a dare le loro risposte. A Washigton D.C., ad esempio, il progetto Anacostia River Tunnel interviene sulla qualità delle acque dei fiumi che attraversano la Capitale evitandone l’inquinamento.
A pochi chilometri da Las Vegas, sbarrando il fiume Colorado, è stato realizzato Lake Mead, il più grande lago artificiale degli Usa, dal quale viene portata acqua potabile alla città.
Cina e India, quindi, ma anche Stati Uniti, confermano un trend generale e diffuso in tutto il mondo, ma soprattutto destinato a riscrivere le politiche di sviluppo infrastrutturale dei prossimi decenni.
Il sostegno internazionale
La battaglia per lo sviluppo dei prossimi anni si combatte nelle città. Attualmente dentro gli agglomerati urbani viene consumato l’80% dei materiali e dell’energia prodotti e viene spedito nell’atmosfera il 75% delle emissioni di carbone. E – come rivela la Banca Mondiale – l’80% del Pil mondiale viene generato dalle città.
Ecco perché le politiche di sviluppo urbano sono oggi una delle sfide più complesse inserite nella “Global Sustainability Agenda”, sottoscritta da molti organismi internazionali, tra cui le Nazioni Unite e la Banca Asiatica delle Infrastrutture.
Molte città hanno risposto a questa chiamata in modi differenti, e hanno modernizzato i loro sistemi di trasporto. Sta succedendo a Riyadh, con la realizzazione di una modernissima linea metropolitana che coprirà 176 chilometri e costerà circa 20 miliardi di dollari; a Lima, a Sidney e a Copenhagen, dove è in corso la costruzione di un anello metropolitano (Cityringen) che trasporterà 240mila passeggeri al giorno. Per affrontare queste sfide sono scese in campo ormai
da anni anche le istituzioni finanziarie che sostengono lo sviluppo, a partire dalla Asian Development Bank e della Banca Mondiale. La prima ha avviato da tempo progetti per finanziare lo sviluppo urbano in alcuni Paesi come l’Indonesia dove la crescita delle città è particolarmente frenetica.
La Banca Mondiale ha invece ampliato il raggio degli interventi, spaziando dall’Asia al Sud America fino all’Africa. Vietnam, Giordania, Tanzania, Honduras, Azerbaijan, Pakistan sono solo gli ultmi beneficiari dei progetti di sviluppo urbano finanziati dall’istituto.
Interventi che spaziano in tutti i settori legati al mondo delle infrastrutture, quindi edilizia, trasporti, energia, mobilità, telecomunicazioni, servizi sanitari. La domanda è elevatissima e i progetti delle istituzioni finanziarie internazionali da soli non bastano per soddisfarne neanche una minima parte. Perché il numero dei Paesi che stanno vivendo processi rapidi di urbanizzazione è in costante crescita.
Una corsa frenetica
Il futuro dei Paesi a maggiore sviluppo urbano nel mondo è contenuto in un report pubblicato nei primi giorni di febbraio Una corsa frenetica dal titolo “The Evolution of National Urban Policies: a Global Overview”. Al suo interno viene fornito un esempio diretto di come gli investimenti infrastrutturali possano cambiare il volto delle città e vengono identificate le aree del mondo che più di altre sono interessate da questa rivoluzione.
In Sudamerica un caso simbolo è sicuramente quello brasiliano perché il Paese ha vissuto prima di tutti gli altri nel continente il processo di urbanizzazione, iniziato già dagli anni 40 del secolo scorso. Tra il ’40 e il 2010 il numero di città con oltre 20mila residenti è passato da 59 a 867. E ad oggi le città con oltre un milione di abitanti ospitano il 54% della popolazione totale. Lo sviluppo urbano è stato sostenuto prima nel 2007 con il lancio del PAC (Growth Acceleration Programme), il più ambizioso programma mondiale (20 miliardi di dollari stanziati) per far uscire 2,5 milioni di famiglie dalle favelas. Nel 2009 il governo ha poi lanciato un secondo programma, destinato allo sviluppo urbano per la classe media e chiamato “Minha Casa, Minha Vida” (“My House, My Life”). Il target stavolta è ancora più ambizioso: 3,4 milioni di nuove case e un investimento di 90 miliardi di euro.
In Africa sono numerosi i Paesi impegnati nello sviluppo urbano come affrancamento dalla povertà e strumento di sviluppo. L’Etiopia è uno di questi. La popolazione urbana cresce al ritmo del 3,6% annuo e nel 2050 sono previsti nelle città 42 milioni di nuovi abitanti. Per dare un’idea di quanto il tema sia ormai diffuso nella collettività, nel primo anno di corso del Master di laurea sui programmi di sviluppo urbano all’università di Addis Abeba hanno partecipato 3.000 studenti. E in Etiopia l’impegno e gli investimenti del governo nella realizzazione di grandi dighe, come Gibe III (che sarà inaugurata tra poco tempo) o Gerd (la più grande diga d’Africa tuttora in costruzione) puntano proprio a garantire effetti benefici in termini di vita, di accesso alle fonti energetiche, ma anche di attività d’impresa nelle grandi città come Addis Abeba.
Un percorso simile è quello compiuto negli ultimi anni dalla Nigeria, dove la scoperta di materie prime come il petrolio ha contribuito a trovare i fondi necessari per sostenere progetti di sviluppo urbano. A questo proposito nel 2012 è stato introdotto il National Urban Development Policy (lanciato per la prima volta nel 1992) che ha come obiettivo la costruzione di nuove strade, l’utilizzo di nuovi mezzi pubblici, la realizzazione di palazzi e in generale la messa in sicurezza delle città. Questo impegno è culminato negli ultimi anni quando il governo nigeriano ha sposato il progetto di cambiare capitale del Paese da Lagos a Abuja, una città che si è sviluppata soprattutto negli anni 80 come alternativa alla congestione e alla povertà di Lagos. L’idea era quella di costruire città più sicure ma anche più vivibili, con una maggiore partecipazione della cittadinanza agli eventi culturali. E infatti proprio ad Abuja è stato realizzato a partire dal 2005 il Cultural Centre e Millennium Tower, un complesso destinato ad ospitare il più importante Museo di arte Africana del Paese e uno dei più importanti al mondo, oltre a un auditorium per 2mila spettatori.
Oggi Abuja è già un centro importante dove risiedono gli organi governativi e le ambasciate internazionali, mentre su Lagos è stato lanciato ormai da qualche anno un progetto di rinascita infrastrutturale basato sulla creazione di un’area capace di ospitare 250mila nuovi residenti creando 150mila posti di lavoro. Anche in questo caso il governo ha investito molto, convinto di poter trasformare la città in una metropoli mondiale.
Le sfide del futuro
I profondi cambiamenti che stanno rivoluzionando il volto delle città hanno bisogno di essere gestiti e accompagnati per evitare gli effetti collaterali del sovraffollamento, come la congestione del traffico, l’inefficienza dei sistemi di mobilità, l’inquinamento atmosferico, la nascita di aree periferiche e degradate. Per affrontare questi rischi, le Nazioni Unite e la Banca Mondiale hanno individuato
la strada da seguire, inserendola nella “Global Sustainability Agenda”. I punti chiave sono i seguenti: lotta ai cambiamenti climatici, intesa come l’impegno delle città a sviluppare sistemi di trasporti poco inquinanti, approvvigionamenti energetici efficienti per le industrie, produzione di energie rinnovabili, utilizzo delle risorse idriche senza sprechi; inclusione sociale e qualità della vita, che comporta lo sviluppo di infrastrutture legate all’edilizia che non creino zone degradate ma favoriscano l’inclusione, e la garanzia di un accesso universale a tutti i servizi, da quelli sanitari a quelli di mobilità; uno sviluppo “verde”, conseguito favorendo la nascita di industrie sensibili al tema dell’ambiente e di cluster tecnologici, e infine la diffusione delle tecnologie intelligenti (smart technologies), che permettano lo scambio di informazioni, l’accesso a internet e la condivisione di servizi innovativi.
Sono queste le sfide del futuro, tutte da vincere prima dell’appuntamento epocale, quando cioè il mondo si scoprirà molto simile ad una grande città.