Petrolio e finanza, deserto e grandi opere, modernità e lusso. Tutto questo è la Penisola Araba, un puzzle di Stati circondato a Nord dal deserto siriano, a Ovest dal Maro Rosso, a Sud dall’Oceano Indiano e a Est dal Golfo Persico. In questo sub-continente che divide l’Africa dall’Asia, Arabia Saudita e Yemen, Oman ed Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain e Kuwait hanno costruito le loro fortune su montagne di oro nero.
Una ricchezza sconfinata (l’Arabia Saudita da sola è il primo produttore al mondo di petrolio) investita per trasformare deserti e steppe in oasi di modernità, spingendo sulla forza delle infrastrutture e delle grandi opere e attirando così capitali e investitori internazionali.
Un risultato raggiunto grazie anche al massiccio sostegno finanziario dei grandi fondi governativi, come l’Abu Dhabi Investment Authority (il secondo al mondo per capitali gestiti) o il Mubadala, che hanno sostenuto la crescita economica ed infrastrutturale del territorio.
Grazie anche a questo negli ultimi anni alcuni Stati della Penisola come gli Emirati Arabi Uniti sono divenuti un polo globale di attrazione delle eccellenze e un luogo dove la storia corre più veloce che altrove.
È la stessa atmosfera che per molti anni si è respirata a New York, da sempre avanguardia del cambiamento. Non a caso Thomas Friedman, premio Pulitzer ed opinionista del New York Times, ha recentemente definito Dubai «la Manhattan del mondo arabo».
In uno dei suoi editoriali pubblicati sulle colonne della “Grey Lady”, l’economista ha definito l’Emirato «un posto dove i giovani arabi che arrivano da tutte le parti della regione possono realizzare tutte le loro aspirazioni nelle arti, nel business, nei media, nell’education e nelle tecnologie con aziende multinazionali, rimanendo fedeli alla loro cultura, alla lingua, al milieu religioso».
La penna di Friedman arriva dove analisti, banche d’affari, global player e colossi della consulenza hanno puntato gli occhi da anni: nel cuore della Penisola Araba.
Nell’ultimo Report annuale sulla “Gioventù Araba”, pubblicato nella metà del 2014, la società Burson-Marsteller ha rivelato che gli Emirati rimangono per il terzo anno consecutivo il Paese più popolare dove vivere, davanti perfino agli Stati Uniti. Investimenti, turismo, innovazione e l’enorme flusso di denari ricavato dalla vendita del petrolio hanno così trasformato quella che un tempo era conosciuta come la “Costa dei pirati” in un nuovo baricentro per l’economia mondiale.
La penisola araba: l’impero tra le montagne
Infrastrutture e crescita
Le avveniristiche linee metropolitane di Ryadh e di Doha, i grattacieli di Dubai, le città sorte dal nulla nel deserto, gli aeroporti e le isole artificiali: tutto questo è il frutto di una visione, ma anche di enormi investimenti economici che non sembrano destinati a diminuire.
Salini Impregilo nella penisola araba
Secondo il Business Monitor International nel corso del 2015 il settore delle costruzioni nella Penisola è destinato a crescere del 10%, spinto da alcuni progetti come il Riyadh Metro Project che prevede la costruzione di sei linee nel sottosuolo della capitale saudita.
In totale, tra il 2012 e il 2016, il totale degli investimenti programmati dai Paesi dell’area è pari a 268 miliardi di dollari, 119 dei quali previsti dall’Arabia Saudita.
Nel solo 2013 i fondi stanziati per le infrastrutture negli Emirati sono stati pari a 35 miliardi di dollari. Nello stesso anno Abu Dhabi ha varato un programma di investimenti con una portata di 90 miliardi di euro da spendere entro il 2018 per la costruzione di abitazioni, scuole e infrastrutture di vario genere. La via rimane quella delle grandi opere, sulla scia del progetto faraonico che il 12 dicembre del 2012 ha portato all’inaugurazione del Khalifa Port, uno dei porti commerciali più grandi e moderni al mondo.
Un ruolo chiave nell’ambizioso progetto di crescita infrastrutturale cullato dalla regione è svolto dal Gruppo Salini Impregilo, capofila e attore primario nella costruzione di alcune delle opere più importanti, dalla metropolitana di Doha a quella di Riyadh (eccellenze tecnologiche nel settore della mobilità), dal Kingdom Centre di Riyadh, considerato ormai uno dei simboli più rappresentativi dello sviluppo dell’Arabia Saudita, alla grande moschea di Abu Dhabi, dotata di 4 minareti e 138 cupole per una superficie totale di 84.000 metri quadri.
Il caso di Masdar City
L’ultima e più innovativa sfida in termini di infrastrutture e urbanistica è rappresentata da Masdar City (in arabo “città sorgente”), una città nata grazie ai finanziamenti della Mubadala Development Company (la compagnia statale di Abu Dhabi) e dal progetto avveniristico realizzato dal prestigioso studio britannico di architetti Foster and Partners.
Il risultato dovrà essere la prima città al mondo a impatto zero, sorta in mezzo al deserto in un’area di sei chilometri quadrati e basata su energia solare e altre fonti rinnovabili.
Il progetto, partito nel 2006, prevede che la mobilità sia garantita da un sistema di trasporti interni totalmente innovativo e che sia vietato l’uso delle automobili.
Secondo le previsioni la costruzione della città, che arriverà ad ospitare 50mila persone, dovrebbe essere ultimata nel 2016, con un investimento complessivo di circa 22 miliardi di dollari.
L’Expo 2020
Infrastrutture, modernità e capacità di attrarre investimenti esteri rimangono i punti focali intorno ai quali si snoda la strategia di crescita degli Emirati. Ecco perché l’Esposizione Universale del 2020 rappresenta una vetrina eccellente e un’occasione irripetibile.
Il 27 novembre del 2013 Dubai è stata scelta dal Bureau International des Expositions (Bie) come sede della 67° Esposizione Universale. Battendo Russia, Turchia e Brasile, Dubai si è aggiudicata un evento che, secondo le stime delle autorità, dovrebbe garantire un ritorno economico pari a 23 miliardi di dollari, contro gli 8,4 miliardi che saranno investiti dall’Emirato stesso.
La grande kermesse internazionale, allestita in un’area di 438 ettari tra gli aeroporti di Dubai e Abu Dhabi, sarà l’occasione per mostrare una volta per tutte al mondo che il futuro si è stabilito tra le dune del deserto.