La sfida dell’uomo verso la natura è un muro sollevato sulla potenza di un fiume. Uno sbarramento che cambia il corso delle acque, riscrive la morfologia del territorio, e trasforma una risorsa naturale in un bene prezioso per lo sviluppo dei popoli. Tanto per l’agricoltura quanto per l’approvvigionamento energetico.
È questa la missione delle 50.000 dighe di grandi dimensioni tuttora presenti nel mondo, 8.200 delle quali accompagnate a impianti idroelettrici (fonte: The International Commission on Large Dams, l’organismo internazionale che gestisce un registro delle grandi dighe). Opere essenziali per la crescita che hanno vissuto, soprattutto nel secolo scorso, un’evoluzione strabiliante per complessità ed eccellenza della tecnica, al punto da rendere reali anche i progetti sulla carta più visionari.
Dalle grandi dighe etiopi fino ai colossi cinesi e agli impianti idroelettrici che stanno favorendo lo sviluppo di alcuni paesi del Sud America, il settore è cresciuto arrivando a produrre sempre più energia pulita e contribuendo così in modo sostanziale alla riduzione dell’inquinamento atmosferico. Un percorso che non nasce negli ultimi anni, ma affonda nella storia, ai tempi in cui l’uomo studiava il modo per sfruttare le acque dei fiumi, alimentando così le coltivazioni necessarie al suo sostentamento.
Energia per il mondo
L’importanza delle dighe non è solo nelle eccellenze ingegneristiche e costruttive raggiunte per realizzare progetti complessi e ambiziosi, ma soprattutto nella loro capacità di creare energia “pulita”, abbondante ed economica, nata da una fonte rinnovabile come l’acqua.
Attualmente – secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (un organismo che fa parte dell’Ocse) – l’idroelettrico rappresenta la tecnologia più diffusa al mondo nella produzione di energia da fonti rinnovabili. La potenza idroelettrica installata nel Pianeta è pari a 1.000 GW, pari al totale della potenza elettrica europea da tutte le fonti. E negli ultimi cinque anni, sono stati installati annualmente – principalmente in continenti come l’Africa e l’America Latina – 30 GW all’anno. Un grande sviluppo che non sembra destinato a fermarsi, perché l’Agenzia indica che da qui al 2050 l’idroelettrico raddoppierà il suo contributo in termini di energia installata, evitando così 3 miliardi di tonnellate di emissioni annue di anidride carbonica, provenienti da fonti fossili.
È questa la vera missione del settore: costruire grandi opere che abbiano un enorme impatto in termini di sviluppo energetico e contemporaneamente un basso impatto sull’ambiente. Un equilibrio prezioso intorno al quale si gioca l’evoluzione del progresso energetico negli anni avvenire.
Le grandi dighe africane
Kariba, come anche Legadadi, la diga costruita in Etiopia tra il 1964 e il 1970 da Salini Impregilo, sono esempi significativi di sfruttamento energetico della risorsa idrica, un bene prezioso e generosamente messo a disposizione dai grandi fiumi africani.
Partecipe dello sviluppo economico di molti Paesi del continente, Salini Impregilo ha messo a disposizione negli ultimi cinquant’anni tutte le sue competenze e la sua attuale leadership mondiale nel settore hydro, portando a termine alcuni dei progetti più ambiziosi. La diga di Katse, inaugurata nel maggio 1977 in Lesotho, è stata per diverso tempo la più alta d’Africa (185 metri), con un invaso di 2,32 milioni di metri cubi. Ma uno dei Paesi dove l’eccellenza tecnica si è sposata al meglio con la morfologia del territorio, dando vita a impianti idroelettrici con un impatto decisivo sul territorio, è sicuramente l’Etiopia.
Gli impianti idroelettrici di Beles, Gibe I e Gibe II soddisfano da soli il 50% del fabbisogno energetico del Paese. Gibe III, la diga sul fiume Omo, terminata in queste settimane e realizzata sempre da Salini Impregilo, farà crescere la produzione energetica nazionale dell’85%; una produzione che balzerà del 270% quando sarà inaugurata anche Gerd (Grand Ethiopian Renaissance Dam), la diga sul Nilo blu sempre realizzata dal Gruppo che – una volta terminata – sarà la più grande d’Africa e una delle prime dieci al mondo.
Le grandi dighe etiopi hanno un impatto enorme sullo sviluppo di un Paese che, ormai da dieci anni, assiste ad una crescita del Pil che oscilla intorno al 10%. Secondo le previsioni, solo l’energia prodotta da Gerd garantirà un extra sulla bilancia commerciale pari ad 1 miliardo di euro, ottenuto dalla vendita di energia in Paesi come Sudan, Gibuti, Sud Sudan e Yemen.
La corsa cinese
Per via dell’enorme domanda di energia che il Paese ha prodotto negli ultimi anni, la Cina è sicuramente uno dei territori di riferimento per la costruzione delle grandi dighe.
Prima che venga superato dall’impianto Rogun HPP, che – con i suoi 335 metri – sarà la diga più alta del mondo, il record assoluto spetta alla Jinping-I Dam (305 metri). Realizzata sul fiume Yalong, nella regione del Sichuan, la sua costruzione è iniziata nel 2005 e terminata nel 2014. La storia della diga risale però agli anni ’60 del Novecento quando il Sichuan and Shanghai Design Institute in collaborazione con il Ministero delle Risorse Idriche, misero insieme una squadra che avrebbe dovuto elaborare un progetto. La finalità, già da allora, era garantire un approvvigionamento energetico che favorisse l’industrializzazione e l’urbanizzazione della regione, un obiettivo che – seppure con molti anni di ritardo – Jinping-I sta rispettando grazie anche alla sua capacità energetica di 3.600 MW.
Ma la corsa cinese alla costruzione delle grandi dighe ha un inizio in un’opera che ha segnato la storia degli impianti idroelettrici del Paese, anche per la trasmissione delle competenze tecniche alle maestranze locali. Si tratta di Ertan, realizzato da Salini Impregilo e costruito tra il 1991 e il 1999 sul fiume Yalong, un affluente dello Yangtzé. Alta 240 metri, Ertan è ancora una delle più grandi dighe al mondo e, tanto per la complessità quanto per l’impatto (la potenza installata è pari a 3.300 MW), è stata uno spartiacque tra il passato e il futuro infrastrutturale della Cina.
La storia
Nel tremila a.C., nella città di Jawa, in Giordania, le popolazioni del luogo realizzarono un sistema di serbatoi naturali incavati nella terra che venivano riempiti di acqua attraverso una paratoia che bloccava il corso del fiume, creando così degli invasi naturali.
Primitivo e rudimentale, è questo uno dei primi esempi di diga.
Fin da allora tutte le grandi civiltà hanno lottato per imbrigliare l’acqua dei fiumi, a partire dagli Egizi, i Babilonesi, i Persiani, i Greci, i Romani e i Bizantini, perfezionando – con il passare dei secoli – tecniche e modelli costruttivi che hanno permesso la nascita di opere infrastrutturali sempre più complesse e grandiose, ma soprattutto capaci di sopravvivere al tempo.
In Spagna, sono tuttora in funzione alcune dighe costruite tra il 1500 e il 1600. La diga di Elche, ad esempio, realizzata nel 1655; quella di Alicante che risale al 1594 o quella di Almansa del 1584. In tutti i casi sono stati numerosi gli interventi di manutenzione e ristrutturazione, senza però intaccarne la struttura originaria.
Un percorso che conduce fino ai primi del Novecento e alla diga di Assuan, in Egitto, attualmente la più grande diga sul Nilo che fu costruita dai britannici e inaugurata nel 1902. Negli anni si succedettero diversi interventi per aumentare l’altezza della diga, fino al 1946 quando venne decisa la costruzione di una nuova diga a monte della precedente, che terminò nel luglio del 1970. Sono questi i decenni che hanno assistito al primo sviluppo infrastrutturale dell’Africa, con opere che rimarranno nella storia del continente.
Kariba, la grande diga sul fiume Zambesi, è una di quelle. Costruita tra il 1955 e il 1959, la diga è stata per tanti anni una delle più grandi al mondo, con un’altezza di 128 metri e un’arcata di 579, e capace di produrre energia sia per lo Zambia che per lo Zimbabwe. Un record assoluto che per molto tempo ha difeso anche il lago Kariba, il bacino artificiale creato dalla diga che si estende per 280 chilometri e ha una capienza di 180 chilometri cubici.