Houston, abbiamo un problema. Sono le infrastrutture del Texas, che versano in cattive condizioni. Si pensi soltanto alle due vecchie dighe nella contea di Harris che lo scorso aprile, a causa delle piogge torrenziali, hanno rischiato il collasso. Costringendo l’US Army Corps of Engineers, cioè i genieri dell’esercito, a intervenire in extremis.
In realtà non si tratta di un problema solo texano. Se l’economia degli Stati Uniti ha un tallone d’Achille, è proprio l’inadeguatezza di molte sue infrastrutture. Non a caso il voto complessivo dato dall’American Society of Civil Engineers (ASCE) alle infrastrutture della nazione è D+, poco più che sufficiente.
E dire che il miglioramento delle infrastrutture è sempre stato uno dei grandi banchi di prova di ogni presidente, da Roosevelt a Obama. E ora dovrà essere Donald Trump, 45° Presidente degli Stati Uniti, a doversi cimentare con quella che è una delle maggiori sfide nazionali: la ricostruzione delle infrastrutture americane.
Uno degli stati da cui bisognerà partire sarà, appunto, il Texas. Lo “stato della stella solitaria”, infatti, non è solo il secondo stato più esteso dopo l’Alaska. Con un Pil che sfiora i 1.600 miliardi di dollari, il Texas è uno dei motori dell’economia americana. Tra i pilastri dello sviluppo locale c’è il settore manifatturiero, che vale il 14,3% del Pil statale, ma giocano un ruolo fondamentale anche settori come le costruzioni (5,3%), il minerario (8,5%) e il terziario avanzato (8,6%).
Tra il 2010 e il 2015 l’economia del Texas è cresciuta mediamente del 3,7% l’anno. Questa è una delle ragioni del boom demografico dello stato, dove oggi risiedono oltre 27 milioni di persone (contro i 25 milioni del 2010: una crescita del 9%). E nella top ten delle aree metropolitane più grandi degli Stati Uniti ben due sono texane: l’area di Houston e quella di Dallas-Fort Worth.
Con numeri come questi è più che naturale che il Texas costituisca uno dei maggiori hub logistico-infrastrutturali d’America: oltre 313mila miglia di strade attraversano lo stato, incluse 11 autostrade interstatali primarie e 7 ausiliari. Ancora: lo stato vanta 380 aeroporti, oltre 10mila miglia di rete ferroviaria e 16 porti di mare, incluso il grande porto di Houston. In Texas hanno sede due importanti linee aeree, l’American Airlines e la Southwest, grosse fonti di reddito per l’economia locale.
Secondo l’ASCE, le infrastrutture texane meritano una C complessiva, ma non mancano le lacune: la rete stradale è sottofinanziata e il suo mantenimento inadeguato (l’8% delle strade è in “poor condition”), quasi 2.000 dighe sono fatiscenti e pericolose, le idrovie sono carenti. Dal 1990 a oggi le miglia quotidiane percorse da automobili sono aumentate del 70%, e quelle percorse da camion del 110%, mentre le miglia di strada sono cresciute di appena il 7%. Non stupisce che le congestioni stradali siano sempre più frequenti, né che ponti e strade siano oggetto di crescente stress strutturale.
I texani sono consapevoli dei problemi: ecco perché lo scorso novembre hanno approvato, con una schiacciante maggioranza dell’83%, la Proposition 7, che dal 2018 al 2032 destinerà annualmente diversi miliardi di dollari allo State Highway Fund, in primis per il mantenimento della rete di strade senza pedaggio già esistente e per la costruzione di nuove strade. Uno dei sostenitori della Proposition 7, il senatore Nichols, lo ha definito «il maggior aumento dei finanziamenti ai trasporti nella storia del Texas».
Un buon punto di partenza al quale si aggiunge da domani il piano di sviluppo infrastrutturale annunciato dal Presidente eletto Donald Trump. A questo proposito i rappresentanti del Texas Department of Transportation si sono già detti pronti a lavorare con la nuova amministrazione nello sviluppo delle infrastrutture critiche e – all’interno di un comunicato pubblicato al termine della tornata elettorale – hanno sottolineato che «dal momento in cui il Texas sta continuando la sua crescita come uno dei posti migliori dove lavorare e vivere, i trasporti rimangono una priorità per il Paese».
Soprattutto, sono le reti idriche la grande debolezza dello stato. Nei prossimi 20 anni, secondo l’ASCE, bisognerà investire quasi 34 miliardi di dollari in acquedotti e altre strutture idriche. Per gli esperti, «l’acqua sarà la risorsa naturale davvero scarsa nel Texas del XXI secolo». Già oggi siccità e carenze idriche sono costanti della vita quotidiana texana, specie nei piccoli centri e nelle regioni occidentali.
Anche per questo la US Enviromental Protection Agency (EPA) ha finanziato la Cockrell School of Engineering presso l’Università del Texas ad Austin. «Le città di tutto il mondo – ha commentato l’amministratore regionale dell’Agenzia Ron Curry – stanno lottando per gestire le inondazioni e l’inquinamento legato al deflusso delle acque piovane, e i cambiamenti climatici rendono tutto molto più urgente. A questo proposito l’Università di Austin svilupperà soluzioni sostenibili per risolvere i problemi idrici del 21° secolo, mentre lavora insieme alle comunità e ai programmatori per promuovere infrastrutture “verdi”».
Tutto questo per evitare che il combinato disposto del cambiamento climatico e dei trend demografici (la popolazione dovrebbe più che raddoppiare nei prossimi 40 anni) aggravino le difficoltà, rendendo ancora più urgente la necessità di sviluppare nuove fonti di approvvigionamento idrico, nuovi sistemi di trattamento e distribuzione, nonché di raccolta delle acque reflue.