Due trilioni di euro da investire nelle infrastrutture entro il 2020: è questa l’asticella indicata dalla Commissione europea per sostenere la cresciuta economica degli stati membri. Un obiettivo quasi irraggiungibile senza il supporto degli investitori privati, siano essi venture capital, private equity, investitori istituzionali, decisi a fare la loro parte nello sviluppo delle grandi opere nella regione.
Secondo il rapporto 2016 “Europe’s Economic Foundations: Investing in Infrastructure” realizzato da “Invest Europe”, l’associazione che rappresenta i grandi investitori privati, i fondi specializzati in investimenti nel settore infrastrutturale interessati a questo mercato avrebbero a disposizione un capitale gestito pari a 167 miliardi di euro. Una cifra lontana dall’obiettivo dei due trilioni ma comunque un buon inizio che, unito alle iniziative promosse dalla stessa Comunità europea, può rappresentare un’occasione per il settore infrastrutturale del continente.
«Le infrastrutture europee – dichiara Michael Collins, chief executive di “Invest Europe” nel report – richiedono investimenti pari al 3,6% del Pil del continente (rispetto all’1,25% attuale n.d.r.) per sostenerne la crescita. In un’epoca in cui la spesa pubblica è ridotta all’osso, gli investitori privati aiutano a colmare questo gap, offrendo una risorsa finanziaria e competenze vitali.»
Analizzando il ruolo dei fondi privati nel settore, “Invest Europe” ha calcolato gli investimenti fatti tra il 2010 e il terzo trimestre del 2016 per settore, che hanno cumulato un totale di 39 miliardi di euro. Sulle energie rinnovabili hanno investito 13,6 miliardi di euro; 9,7 miliardi sull’energia; 9,4 miliardi sui trasporti; 2,5 miliardi sulle utilities; 2,3 miliardi sulle telecomunicazioni; 1,4 miliardi sulla salute; un miliardo sulla gestione dei rifiuti, 743 milioni sull’educazione e 599 sull’edilizia pubblica. E adesso il compito delle istituzioni europee è quello di coinvolgerli sempre di più, dando garanzie sugli investimenti e rendendo il mercato più interessante.
Il Piano Juncker: 240 miliardi entro il 2017
La crisi debitoria che coinvolge l’Ue, oltre alle difficoltà economiche esplose dal 2008, ha ridotto in maniera consistente gli investimenti pubblici nelle infrastrutture. Tra il 2010 e il 2013, gli anni più duri della crisi internazionale, gli investimenti dei 28 stati membri si sono ridotti dell’11%. E questo proprio quando le infrastrutture del continente hanno un enorme bisogno di nuovi fondi.
Da qui la decisione della Commissione europea e della Banca Europea degli Investimenti (BEI) di lanciare nel 2014 l’European Fund for Strategic Investment (conosciuto anche come Piano Juncker), un veicolo finanziario divenuto operativo nel 2015 che – grazie a una dotazione pubblica iniziale di 21 miliardi di euro – garantisce i finanziamenti fatti dai privati puntando sull’effetto leva. Secondo i calcoli della Commissione entro la fine del 2017 il fondo avrà mobilitato 315 miliardi di euro di investimenti, 240 dei quali in progetti infrastrutturali.
Al primo bilancio fatto dalla Commissione europea nell’estate scorsa, il fondo aveva già innescato investimenti per 100 miliardi di euro, il 37% dei 315 miliardi totali, avviando 289 progetti.
Intanto il piano è stato rilanciato proprio negli ultimi mesi del 2016 con un nuovo sforzo finanziario che porta lo stanziamento della Commissione a 33,5 miliardi di euro e – secondo i calcoli dei promotori – dovrebbe mobilitare entro il 2020 investimenti totali per 500 miliardi di euro.
Un ritorno interessante per gli investitori
La società di consulenza Deloitte si è interrogata sulle opportunità che i privati possono trarre puntando sulle infrastrutture europee. Il Rapporto “European Infrastructure Investors Survey 2016” analizza proprio questo fenomeno arrivando a conclusioni più che rassicuranti per chi volesse investire nella regione.
Il 90% degli investitori intervistati da Deloitte ha definito la solidità dei loro investimenti nelle infrastrutture come buona. E i rendimenti per chi investe nelle infrastrutture europee si confermano alti. Il 70% degli intervistati ha dichiarato un rendimento fino ad oggi tra il 5 e il 7%; il 10% tra il 7 e il 9%; un altro 10% tra il 9 e l’11%; il 5% tra l’11 e il 13% e un altro 5% inferiore al 5%.
Il Report analizza anche quali settori infrastrutturali hanno garantito i ritorni migliori agli investitori. A guidare la classifica sono gli aeroporti, per i quali quasi il 50% degli investitori ha dichiarato performance particolarmente buone; segue il settore idrico, ferrovie e metropolitane, ed energie rinnovabili.
Inoltre, a differenza di un investimento tradizionale, la partecipazione degli investitori nel settore infrastrutturale è sempre più organica. Secondo il Rapporto il 95% dei soggetti definisce attivo e molto buono il proprio coinvolgimento con le aziende in cui ha investito. Una partecipazione che non si sviluppa tanto nelle aree tecniche, quanto piuttosto nell’ambito della progettazione dei business plan, della finanza e delle scelte industriali.
A guidare la scelta su quali mercati e quali progetti indirizzare questi investimenti è il calcolo dei rischi. Il 38% degli intervistati considera al numero uno il rischio politico, segue il rischio regolatorio (35% degli intervistati), i rischi operativi (15%), i rischi legati alla tassazione (7%) e i rischi in caso di rifinanziamento delle opere (5%).
L’interesse delle compagnie assicurative
Tra i soggetti privati interessati a investire nelle infrastrutture europee si stanno inserendo anche le grandi compagnie assicurative. È questa la previsione di “Insurance Europe”, l’associazione con sede a Bruxelles che riunisce i principali attori del settore assicurativo nel continente, che – all’interno di un’analisi pubblicata nel dicembre scorso – ha raccolto alcune evidenze che confermano il fenomeno. Ad oggi, infatti, le più grandi compagnie avrebbero mostrato l’intenzione di investire nelle infrastrutture europee nel breve periodo almeno 50 miliardi di euro.
La ragione, secondo l’analisi, deriva dalla necessità delle grandi compagnie di diversificare i propri investimenti, cercando alternative economicamente più vantaggiose rispetto ai bassi tassi di interesse previsti dal sistema bancario. Questo interesse si trasforma più facilmente in realtà quando i privati collaborano su progetti sostenuti dall’European Fund for Strategic Investment (EFSI), quindi con partnership siglate con l’Unione europea. «Aumentare gli investimenti dei privati nei progetti infrastrutturali – dichiara Cristina Mihai, capo degli affari internazionali e investimenti di “Insurance Europe” – è un obiettivo primario dell’Eu Investment Plan. Inoltre, mentre è positivo vedere miglioramenti nei piani di sviluppo del patrimonio infrastrutturale, bisogna fare di più per aumentare l’interesse di investitori privati, come ad esempio le compagnie assicurative».
Ancora una volta spetta alle istituzioni europee prevedere – anche per i prossimi anni – nuove misure capaci di abbattere le barriere tuttora esistenti all’ingresso di nuovi investitori, contribuendo così a rendere il mercato comunitario più attrattivo e più aperto.